Ormai è diventato famoso per via di un’immagine diventata virale, diffusa dai carabinieri di Treviso, il turista austriaco che, volendo farsi un selfie con la Paolina Borghese di Antonio Canova, ha rotto alcune dita del modello in gesso riproducente la sorella di Napoleone Bonaparte.

Il visitatore, accortosi del danno, è poi scappato, ma è stato rapidamente riconosciuto e rintracciato. Ora dovrà pagare il restauro e verrà anche penalmente perseguito. È stato considerato un atto da criminale, proprio per il fatto di non essersi autodenunciato ed essersi dileguato. 

La Gipsoteca canoviana fa parte del più ampio Museo Canova e raccoglie i modelli in gesso di numerose sculture dell’artista veneto. Essendo composti da uno dei materiali più fragili al mondo, è facile che si rovinino ed è necessaria particolare attenzione, anche da parte dei visitatori.

La storia del modello risale al 1804, quando il principe Camillo Borghese commissionò al Canova una statua per celebrare le nozze con la sorella di Napoleone I, avvenute l’anno precedente. La scultura in marmo, che ritrae Paolina nei panni di Venere vincitrice della sfida di bellezza indetta da Paride, è tuttora collocata a Villa Borghese, dal 1838.

Il gesso che funse da modello preparatorio fu invece collocato a Possagno già nel 1829, lì trasportato dal fratello dello scultore pochi anni dopo la sua morte e la chiusura dello studio romano. Nel 1917 però la prima guerra mondiale e la battaglia che sconvolse il monte Grappa durante il Natale di quell’anno fu fatale per l’opera. Un bombardamento la danneggiò pesantemente, tanto da lasciarla senza testa, e lesionate alcune parti del drappo, della mano e dei piedi.

Il danno causato dal turista austriaco

Due secoli dopo la sua realizzazione, la Fondazione Canova di Possagno ne dispose il restauro integrativo, la cui esecuzione fu possibile anche grazie all’uso del reverse engeneering, un processo di digitalizzazione in 3D che consente di ripristinare le parti mancanti o alterate dallo stato di conservazione.

Con la consapevolezza che il più recente episodio vandalico ad opera di un turista sia solo uno di una lunga serie, dobbiamo considerare che un danno ad un bene artistico ha delle conseguenze economiche, ma soprattutto sull’opera vera e propria. Per quanto si possano pagare i migliori restauratori del mondo, essa non potrà mai tornare allo stato precedente. Il segno rimarrà sempre, indelebile, lo si può mitigare alla vista ma, per rispetto della storia stessa del bene, non è possibile nasconderlo. Il danno arrecato può avere inoltre delle ripercussioni non solo sull’estetica, ma anche sulla sua stabilità strutturale e di conservazione. 

E allora quali misure bisogna adottare affinché si riesca ad evitare tutto ciò? È difficile dirlo: niente si può veramente salvare dai danni causati dall’uomo. Né si possono inscatolare le opere: nel caso di Possagno, la vera suggestione del museo è proprio la disposizione disordinata dei gessi all’interno del museo. In generale se si rinchiudono le opere in vetrine viene a mancare la fruibilità e il rapporto visitatore-opera. Le gabbie di vetro dovrebbero essere l’ultima delle possibili soluzioni.

L’interno della Gipsoteca canoviana,
foto di Elena Guerra

Neanche nascondere le opere al pubblico può essere considerata una soluzione: certo, si tolgono da un inevitabile degrado dovuto all’esposizione, al tempo e alla cattiva fruizione da parte di alcuni visitatori, ma in questo modo non se ne promuove il valore culturale.

La conservazione è anche composta dalla memoria che viene a mancare se le opere spariscono dalla vista: in questo modo esse perdono importanza per la cittadinanza e si rischia che le azioni di monitoraggio e di restauro diminuiscano, sino a una sorta di “morte intellettuale” per la cultura collettiva.

Ma tornando al punto: non esiste nessuna misura infallibile contro i malintenzionati e i visitatori sbadati, come suggerisce anche la direttrice della gipsoteca, Moira Mascotto. Tuttavia, se è difficile aumentare la sicurezza e se va contro l’arte nascondere il patrimonio, qualcosa si può fare.

È auspicabile che il pubblico di visitatori sia educato al rispetto delle opere, che comprenda il valore non quantificabile della bellezza che ci è stata lasciata dal passato. E capisca che compiere un’azione a loro danno ha conseguenze cui non è possibile rimediare.