Una legge regionale che regolamenti e salvaguardi i corsi d’acqua minori come fossi e scoli che, se trascurati, sono tra le cause degli allagamenti in città e nei centri abitati. La mancanza di manutenzione ordinaria di questi corsi d’acqua, non inseriti nel reticolo idraulico, aumenta il pericolo di allagamento di tutto il veronese, della sua viabilità e ne aumenta il rischio di dissesto idrogeologico.

L’Ordine degli Ingegneri di Verona, attraverso la propria Commissione idraulica, dopo aver svolto un’analisi della delle carenti normative vigenti riferite al reticolo idrografico minore, ha sviluppato una proposta di legge regionale per la redazione di piani comunali di protezione idraulica.
La proposta di legge è stata presentata oggi nella sede dell’Ordine degli Ingegneri dal presidente Andrea Falsirollo e dai componenti della Commissione idraulica Roberto Penazzi e Simone Venturini e dei consiglieri regionali firmatari della legge Stefano Casali, Maurizio Colman, Alessandro Montagnoli e Stefano Valdegamberi.

La necessità di salvaguardare il reticolo idrografico minore deriva dalla sua importante funzione di contribuire a trattenere la pioggia, regolare l’afflusso dell’acqua nella rete idraulica secondaria e principale, ridurre il pericolo di esondazione dei corsi d’acqua a regime torrentizio e contribuire al contenimento degli effetti delle piene, riducendo i danni da esse provocati.
«Succede sempre più di frequente – evidenzia il presidente Andrea Falsirollo – che a ogni evento piovoso intenso avvengano inondazioni o cedimenti della sede stradale. Ciò fa parte di un problema complesso di cui fa parte anche la rete idrografica minore che presenta notevoli deficienze spesso causa di danni su vaste porzioni di territorio nelle campagne e nelle zone edificate. La Commissione idraulica ha effettuato un importante lavoro di analisi che ha portato alla proposta di legge oggi presentata che prevede prima di tutto una mappatura del reticolo idrografico minore e poi l’intervento dei Comuni con appositi Piani di protezione idraulica sostenuti dalla Regione.»

Un momento della conferenza stampa di stamane

«Per reticolo idrografico minore intendiamo quello disposto su terreni privati, per il quale, spesso, non esiste né una mappatura né una analisi di dimensionamento. Al contrario, spesso, la sua conformazione è mutata nel tempo, anche a causa di interventi non corretti effettuati dai proprietari ed a causa di una scarsa memoria delle sue funzioni idrauliche fondamentali – precisa Simone Venturini –. Oggi, di questo reticolo si sa poco, in termini di sviluppo planimetrico (talora addirittura scomparso) ed ancor meno delle sue caratteristiche dimensionali (sezione e pendenza) sicché gli eventi meteorologici intensi – che sempre più frequentemente si verificano – non trovano una adeguata infrastruttura idraulica minore in grado di convogliare correttamente le portate verso i ricettori principali. Ciò che la legge dovrà attivare, e che è nelle intenzioni della Commissione Idraulica che ne ha sviluppato la proposta alla Regione Veneto, è la redazione di studi atti a definire nel dettaglio il reticolo idrografico minore (privato), le sue caratteristiche dimensionali (sezioni e pendenza) in funzione del bacino che è deputato a drenare, allo scopo di far redigere poi ai Comuni (anche per il tramite del Consorzio di Bonifica) un Piano di ripristino funzionale del reticolo stesso.»

Nubifragi con bombe d’acqua e precipitazioni violente sono le conseguenze dei cambiamenti climatici anche nella provincia veronese, come in tutta Italia, dove l’eccezionalità degli eventi atmosferici è ormai la norma, con una tendenza alla tropicalizzazione che si manifesta con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense.

Ma non è tutta colpa del “maltempo” e della crisi climatica. Le cause dei danni arrecati dalle recenti alluvioni «sono da ricercarsi nella canalizzazione dei fiumi (in un alveo ridotto tra le sponde artificiali la velocità diviene elevata e il picco di esondazione viene raggiunto velocemente), nei sottopassi che producono un deficit di funzionamento dal punto di vista della capacità di smaltimento delle acque nelle piene improvvise» ha dichiarato recentemente Ilaria Falconi, tecnico ISMEA presso il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. «Non è continuando ad intubare o deviare il corso dei fiumi, ad alzare argini o ad impermeabilizzare altre aree urbane che possiamo dare risposta ad equilibri climatici ed ecologici complessi che hanno bisogno di analisi nuove e moderni programmi a lungo termine di adattamento. È necessario quindi porre come obiettivo centrale dei Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) la programmazione di misure di mitigazione dello stato di pericolo geologico-idraulico» ha aggiunto Falconi.

Purtroppo negli ultimi decenni si è assistito, invece, a una pianificazione territoriale ed urbanistica insufficiente e non adeguata all’obiettivo primario.

«La nostra proposta di legge è un tassello nelle norme che regolano il corretto uso del territorio e assieme al Piano Tutela delle Acque, alla norma dell’invarianza e compatibilità idraulica, alla legge sulla Bonifica tenta di porre ordine in un campo trascurato negli anni e che i cambiamenti climatici hanno riportato in primo piano» sottolinea Roberto Penazzi.

La proposta di legge serve a integrare la disciplina vigente regionale in materia di demanio idrico e di funzioni dei Consorzi di Bonifica, e ha l’obiettivo di tutelare il suolo in riferimento alla protezione idraulica del territorio, dettare disposizioni per l’individuazione del reticolo idrografico minore con indicazione degli interventi da effettuare per il suo utilizzo, come il ripristino e la manutenzione. La legge è inoltre finalizzata all’individuazione e alla precisazione delle competenze sui corsi d’acqua appartenenti al reticolo idrografico minore non demaniale che, innanzitutto, deve essere identificato, cartografato e censito.

Il Consorzio infatti interviene solo se i corsi d’acqua sono inseriti nel reticolo, ma se la Regione non li inserisce, lo stesso non ne effettua la manutenzione.

I comuni predispongono e approvano il Piano comunale di protezione idraulica per una serie di compiti, tra cui la mappatura del reticolo idrografico minore e le sue connessioni con le reti di tubazioni di drenaggio urbano, il regolamento di Protezione Idraulica Comunale e sovracomunale che individui le attività vietate e soggette ad autorizzazione sui corsi d’acqua del reticolo idrografico minore (privato) e disciplini le funzioni di Protezione idraulica e la pianificazione degli interventi di Protezione Idraulica quali: ripristino di rami del reticolo idrografico minore soppressi o alterati, creazioni di rami nuovi e interventi di manutenzione straordinaria di alvei, fossi, tombini.

Il Piano comunale di protezione idraulica (P.PIC) dopo la sua approvazione da parte del Consiglio Comunale assume la valenza di “strumento urbanistico” ed entra a far parte della documentazione del P.A.T./P.A.T.I.
La Regione Veneto dovrà attivare nel proprio Bilancio un fondo finalizzato alla contribuzione della redazione dei Piani (P.PIC) ed una somma per la realizzazione delle opere, da assegnare su bandi regionali in quota dell’importo dei lavori annuali.

«Questo progetto di legge, già depositato in Regione e pronto per la prossima legislatura, è innovativo nel contesto nazionale. Tante esondazioni e criticità sono provocate da corsi d’acqua non demaniali ma gestiti dai privati che per lo più non li curano – precisa Stefano Valdegamberi, primo firmatario della legge –. Con questa legge la Regione Veneto potrebbe stabilire per prima in Italia chi fa che cosa per i corsi d’acqua minori».

Legambiente ha definito il miglioramento della sicurezza idrogeologica tra le 11 opere pubbliche prioritarie individuate per il Veneto nel dossier nazionale “Green New Deal italiano – 170 opere prioritarie per il Paese” pubblicato ad inizio anno. Nell’elenco quindi appaiono la bonifica delle falde delle province di Vicenza, Padova e Verona dai Pfas – con opere per bloccarne la dispersione e per garantire l’acqua potabile – il completamento della “grande incompiuta” Idrovia Padova-Venezia, e la conclusione di quel quarto degli interventi ritenuti urgenti nel 2010 per la mitigazione del rischio idrogeologico, che a distanza di dieci anni sono ancora da cantierare.

«Questioni regionali che riguardano milioni di veneti in attesa di risposte concrete e non solo di dichiarazioni di buone intenzioni – commenta Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto –. È in gioco la salute la sicurezza e la qualità della vita di almeno un milione di persone».

Le 11 emergenze selezionate da Legambiente sono molto diverse tra di loro per consistenza e per impegno finanziario, ma tutte sono bloccate o procedono a rilento e raccontano purtroppo un Veneto, come il resto d’Italia, fatto di inadempienze, rimpalli e contenziosi, cattiva progettazione, piani finanziari incerti, progetti troppo ambiziosi di project financing, lievitazioni dei costi, disattenzione e perdita di finanziamenti da parte della pubblica amministrazione locale e commissariamenti straordinari.

«Queste 11 opere costituiscono un esempio – conclude Lazzaro – di interventi che andrebbero messi in atto su tutto il territorio per risolvere, con una necessaria programmazione, i tanti problemi ambientali inaspriti negli anni e dare un senso di marcia allo sviluppo della nostra Regione, bella ma fragile. Serve scegliere le priorità e con questo primo elenco vogliamo contribuire al dibattito pubblico e politico per aumentare la qualità della vita, recuperare ritardi nelle infrastrutture e produrre un salto deciso nella modernità in coerenza con la lotta ai cambiamenti climatici.»