Il lockdown di 55 giorni a seguito di Covid-19 c’è stato anche per l’arte e i suoi luoghi espositivi, dai musei alle gallerie, dalle fiere alle biennali. Tutto rinviato o, nel migliore dei casi, se si poteva e per non perdere visibilità, trasferito su piattaforme online che, tuttavia, non sono paragonabili a una visita reale, sia per la mancanza della fisicità dell’opera d’arte sia per le connessioni, vere e non virtuali, tra artisti, curatori e amanti del bello che animano queste occasioni.

Una situazione che ha colpito anche Verona, dove, peraltro, il 14 febbraio, a poche settimane dall’inizio della quarantena, era stato inaugurato Palazzo Maffei e la splendida Collezione Carlon. Heraldo ha cercato di capire se, a causa di questa situazione eccezionale, l’arte contemporanea nella nostra città abbia vissuto dei contraccolpi o, magari, un momento di nuova progettualità per un rilancio a breve o lunga scadenza. Ne ha parlato con Jessica Bianchera, curatrice artistica dello spazio espositivo indipendente Spazio Cordis e fondatrice dell’associazione culturale Urbs Picta.

Come ha vissuto, o sopravvissuto, l’arte contemporanea a Verona durante la chiusura forzata?

«Direi che Verona è una piazza storicamente difficile nell’ambito del contemporaneo e sicuramente il lockdown non ha aiutato. Sto seguendo Art Workers Italia (un gruppo informale di lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee, ndr.), che ha tolto il velo ad una situazione già evidente: il mancato riconoscimento professionale per chi lavora nel mondo dell’arte. Artisti, curatori, operatori, tecnici sono quasi sempre soggetti a una condizione di precarietà lavorativa costante e, di conseguenza, gli ammortizzatori sociali che sono stati messi in campo non hanno potuto essere usufruiti da queste persone, peraltro in possesso di titoli di studio molto elevati. L’infelice battuta di Giuseppe Conte “Questi artisti che ci fanno tanto divertire” non è stata detta con cattiveria ma è, purtroppo, la manifestazione di come l’arte e gli artisti vengono percepiti in Italia. E anche Verona non fa eccezione.»

Che cosa rende difficile il contemporaneo a Verona?

«A mio avviso, il problema che vive questa città è una mancanza di comprensione dell’arte contemporanea per due motivi fondamentali: l’assenza di un museo pubblico di arte contemporanea e la grande, incantevole, presenza del passato. Verona è una città bellissima, piena di storia, dall’epoca romana a quella medievale e rinascimentale. Di conseguenza, il pubblico tende a rimanere legato al passato e a non capire il contemporaneo. Ho fondato l’associazione culturale Urbs Picta che non ha la specifica finalità di andare a colmare una mancanza, bensì di creare degli spazi di incontro in cui il pubblico possa avvicinarsi all’arte contemporanea, si senta libero di fare domande, di esprimere la propria curiosità e, magari, conoscere gli artisti contemporanei che vivono e lavorano nella nostra città.»

Helen Dowling, Something for the Ivory, 2019_Giardino Giusti, Camera da lett, ph Nicolò Lucchi

Come è possibile far arrivare il pubblico a queste iniziative?

«Verona ha un legame stringente con l’arte: Urbs Picta è il nome che abbiamo dato all’associazione perché richiamasse la Verona dipinta e, nel mantenere questo legame con il passato, proponesse la sfida di traghettare la città verso il contemporaneo. Anche sfidando lo snobismo intrinseco all’arte contemporanea, perché spesso in questo ambiente ci si parla davvero soltanto tra addetti ai lavori. L’obiettivo dell’associazione è cercare di rendere le persone più consapevoli dell’arte contemporanea, permettendo di comprendere il significato di mostre che prima venivano liquidate con un “io non ci capisco niente”.

È necessario cercare nuovi modi di parlare al pubblico generico, e non solo di settore, per far sentire le persone più coinvolte. Nel fare questo io reputo fondamentale lavorare in rete. Forse le generazioni precedenti non avevano molto la mentalità del collaborare insieme, dello scambiarsi gli artisti, le idee, i progetti. Ho sempre cercato di ampliare le collaborazioni per dei progetti che fossero inclusivi e condivisi. È più stimolante: ognuno porta un proprio pubblico, dei seguiti, i pubblici si mescolano e si sommano.»

Ci sono tasselli scoperti da parte dei settori istituzionali?

«Sì, come dicevo prima non abbiamo un museo di arte contemporanea, ad esempio. Tuttavia, a volte basterebbe davvero poco: ho in mente esempi vicini a noi, come Bergamo, dove si fa un lavoro meraviglioso di intreccio tra il pubblico, con i musei civici, e le associazioni culturali e gli artisti, si creano residenze, si sostengono. Qui c’è la tendenza, mi sembra, a guardare esclusivamente al passato, forse per la grande storia che c’è a Verona. Tuttavia, credo che in questo modo stiamo ipotecando il nostro presente e anche il nostro futuro.»

Anche quest’anno Urbs Picta collabora con ArtVerona. Qualche anticipazione?

«L’anno scorso abbiamo portato la mostra To be played a Giardino Giusti sul video e l’immagine in movimento. Era stata una nostra proposta che ArtVerona ha immediatamente accolto e abbiamo deciso di rinnovarla anche quest’anno, poiché il video è forse il linguaggio più legato al contemporaneo. Vi sarà un percorso di più mesi che si snoderà tra mostra, workshop, proiezione di film e incontri sul tema portante della violenza. Saranno trattate geografie e culture diverse e artisti di diverse generazioni.»

Che prospettive per il contemporaneo a Verona?

«Sicuramente la Collezione Carlon a Palazzo Maffei e l’iniziativa di Giorgio Fasol Contemporanee/Contemporanei sono un ottimo segnale che va a rafforzare il tessuto preesistente di gallerie storiche come Studio La Città, Artericambi, Galleria Dello Scudo e tante altre, senza dimenticare ArtVerona, un punto di riferimento fondamentale per chi lavora nel mondo dell’arte contemporanea. Spero che questa tendenza possa continuare e crescere come sta facendo ora. Nonostante la situazione creata dalla pandemia, credo che Verona abbia tutte le potenzialità per aprirsi ai nuovi linguaggi dell’arte contemporanea.»

Mostra Diego Tonus, Artist’s Proofs a Spazio Cordis 2019, ph. Marco Toté