Il mondo dello spettacolo è in fibrillazione. A partire dal 15 giugno, in teoria, sarà possibile tornare a organizzare in Italia eventi dal vivo, musicali ma non solo, ovviamente con le dovute cautele e restrizioni per limitare i contagi da Covid-19. Uno spiraglio di luce in uno dei momenti più bui per chi lavora nel settore, anche se l’intero comparto – e lo dimostra la manifestazione di venerdì scorso da parte degli operatori e tecnici del settore dello spettacolo di fronte alla sede dell’Inps di Verona – è tuttora smarrito, con tutele economiche non definite e, in definitiva, con un futuro professionale a dir poco incerto.

Fra le storiche imprese organizzatrici di concerti c’è anche “Eventi”, la società presieduta da Ivano Massignan attiva da decine di anni sul territorio scaligero, che ha avuto sia il grande merito di portare negli anni a Verona alcuni degli artisti più importanti del panorama musicale internazionale, fra cui Sting, Bruce Springsteen, Eric Clapton e tantissimi altri, sia di lanciare tanti giovani artisti italiani e stranieri che nel tempo si sono rivelati veri e propri assi della musica.

Ivano Massignan

Massignan, il Coronavirus ha rivoluzionato questa e forse anche le prossime stagioni estive di concerti. Qual è la situazione in Italia?  

«A livello nazionale sono stati annullati o rinviati tutti i grandi eventi, con i conseguenti problemi legati al rimborso dei biglietti o alla creazione dei voucher. Sono in contatto con i principali organizzatori del nostro Paese e stiamo cercando di capire come uscire da questa situazione. Il nostro settore è stato il più bastonato, perché si basa sull’aggregazione, sulla vicinanza, sullo stare insieme delle persone. Lo spettacolo non esiste senza pubblico, che ne è una componente fondamentale. Lo stesso artista vive della relazione che riesce a instaurare con i suoi fan, perché il suo show si nutre di emozioni. Paradossalmente le sale cinematografiche possono funzionare in questo periodo perché la fruizione del film rimane fondamentalmente individuale. Nel concerto non è così. D’altronde la differenza che esiste fra partecipare a un live e ascoltare un disco seduti sul divano di casa è evidente.»

Anche volendo, applicare il distanziamento sociale a un concerto risulta particolarmente complicato. Quali sono i nodi da sciogliere in questo senso?  

«Il distanziamento produce effetti sulla natura stessa del prodotto, perché si devono applicare misure di salvaguardia sanitaria e sparpagliare la gente, riducendo l’agibilità e di conseguenza il numero dei biglietti venduti. Spazi da mille posti potranno contenere ora solo duecento persone e questo incide inevitabilmente anche sulla sostenibilità economica del prodotto stesso. Perché il settore dei concerti live vive ancora di “sbigliettamento”, mentre altre attività non vivono solo di quello, ma hanno anche altri tipi di entrate (come ad esempio accade nel calcio, che gode dei diritti televisivi, nda). D’altronde la nostra è un’attività effettuata in esercizio d’impresa e con i limiti attualmente imposti per fronteggiare l’emergenza sanitaria c’è davvero poco da fare. Se a tutto ciò aggiungiamo che il nostro settore è stato il primo ad essere chiuso e sarà l’ultimo a poter ripartire le difficoltà risultano ancora più evidenti.»

Tempo fa erano stati proposti per ovviare al problema anche concerti in stile  “drive-in”, ma pare che questa ipotesi stia lentamente scemando. Che ne pensa?

«Il drive-in non ha mai attecchito in Italia e non capisco perché debba attecchire adesso. Tant’è che dopo qualche entusiasmo iniziale non se n’è più sentito più parlare. D’altronde non corrisponde al nostro modello di aggregazione. Certo, chi ha pensato a queste soluzioni magari non ha tutti i torti e da qualche parte si potrà organizzare e ottenere quel carattere di originalità da determinarne poi il successo, ma non credo che questa idea possa essere riproducibile in serie e soprattutto risultare sostitutiva degli eventi, per come li conosciamo oggi.»

In che modo, dunque, pensate di risolvere la questione?

«Noi come Eventi ci siamo cimentati in ogni luogo nel corso degli anni: dalle piazze dei paesini di provincia ai Magazzini Generali, dai capannoni di Cerea al Teatro Camploy, fino ai luoghi più raffinati come l’Arena e il Teatro Romano. Le soluzioni vanno trovate, ma bisogna che lo sforzo di chi organizza non superi il risultato finale, in termini artistici ed economici. È sicuramente una sfida che va affrontata e che dobbiamo cercare di portare avanti. Bisogna  provare, sperimentare e trovare nuove vie. Ci sono luoghi e piazze, d’altronde, che si prestano alle nuove disposizioni sanitarie. A Verona, nell’ambito di tutto questo ragionamento, abbiamo selezionato due luoghi in grado di assolvere a queste funzioni.»

Il Teatro Romano di Verona

Quali sono?

«Il primo è il Teatro Romano, dove c’è sempre stata una programmazione che in qualche modo ci ha coinvolto in varie iniziative e festival: da “Rumors” a “VeronaJazz” fino ad altri eventi che abbiamo organizzato in prima persona. È uno spazio circoscritto, gestibile anche in base alle norme di sicurezza e se il Comune ci darà una mano – e le intenzioni sembrano assolutamente andare in questa direzione – sono fiducioso.»

E l’altro luogo qual è?

«Il Castello di Villafranca, che per sua natura è una roccaforte costruita per impedire di entrare, mentre noi nel tempo lo abbiamo trasformato in luogo di accoglienza. Ha tutte le caratteristiche per permettere il filtraggio in sicurezza delle persone e al suo interno è talmente ampio, ma allo stesso tempo circoscritto, da risultare quasi ideale in questa situazione così particolare.»

Il Castello Scaligero di Villafranca di Verona

Per l’Arena di Verona, invece, cosa pensa?

«Per l’Anfiteatro Romano non si capisce ancora bene quale sia la via d’uscita perché le regole attuali dicono che non si possono organizzare eventi da più di mille persone, ma è ovvio che in Arena si possano organizzare eventi con molto più pubblico. Il Comune ha individuato la cifra in tremila persone e penso che sia assolutamente congruo. C’è un problema di tempi, che stringono e bisogna muoversi. Il Governo, in questo senso, dovrà fare chiarezza.»

Voi in particolare come vi state muovendo?

Un concerto al Castello Scaligero

«Abbiamo avviato un tavolo di lavoro con il Comune di Villafranca e stiamo portando avanti delle ipotesi. Villafranca, d’altronde, è diventata un centro di programmazione artistica fra i più importanti d’Italia. Viene sempre nominata insieme ad altri grandi festival come “Firenze Rock”, “Roma Rock” e via dicendo. “Rock in the Castle” è diventato nel tempo uno delle manifestazioni simbolo dell’heavy metal internazionale. Non si può lasciare questo contenitore totalmente vuoto. Sarebbe un peccato. Noi abbiamo già elaborato un assetto di sala con mille posti a sedere nel rispetto assoluto delle norme, ma all’interno del Castello Scaligero, se la capienza si potesse estendere, c’è comunque tutto lo spazio necessario per poter ospitare molte più persone. Rispettando tutte le norme sulle distanze, infatti, con mille persone non si arriva a riempire nemmeno tutto lo spazio davanti al palco fino all’area del mixer. Ci sono ampi margini, dunque, per aumentare la capienza.»

Ma non esistono solo i grandi avvenimenti, giusto?

«Il termine “grande” non necessariamente si identifica con la quantità. Quando abbiamo portato i Coldplay a Villafranca, tanti anni fa, c’erano poche centinaia di persone ad ascoltarli, ma era comunque un grande avvenimento. Ovviamente noi non ci rassegniamo anche perché questa vicenda inverte la tendenza e i valori. Nel tempo ci siamo un po’ tutti omologati e per certi aspetti abituati ai live da decine di migliaia di spettatori, quelli dei grandi festival e via dicendo, non valutando quasi più come interessanti quelli che coinvolgevano un numero minore di spettatori. E invece si può fare ottima musica in altro modo: con “Tendenze”, in passato, abbiamo ad esempio portato al Camploy alcuni artisti emergenti, che poi si sono rivelati al grande pubblico. Penso a Gualazzi, Cacciapaglia, Pacifico, arrivati in riva all’Adige quando erano quasi sconosciuti. Abbiamo portato, però, anche Nicolò Fabi a Zevio o Moni Ovadia, Pintus o Max Gazzé a Cerea, riscoprendo spazi che non erano stati utilizzati in precedenza. Tutte cose “piccole”, ma solo in termini di dimensioni, perché davvero grandi per la qualità artistica ogni volta proposta.»

Max Gazzé, in concerto a Cerea nel 2016

Per voi, di fatto, non si tratterebbe di una “cosa” nuova, dunque…

«No, pur avendo organizzato grandi concerti da migliaia di persone, parallelamente non abbiamo mai rinunciato a mantenere un occhio di riguardo verso le proposte più particolari, per dare un tocco ulteriore di cultura nel senso più ampio del termine. Naturalmente le possibilità di fare questo si sono spesso scontrate con le esigenze di mercato, a volte anche degenerate, se vogliamo essere onesti. Noi, però, non abbiamo mai ceduto a certe pretese, in qualche caso ben più che eccessive e abbiamo sempre detto che se alle condizioni proposte non fosse venuto quell’artista magari sarebbe venuto un altro o un altro ancora.»

Quindi tornando a questo tormentato 2020, c’è speranza di poter fruire già durante quest’estate di qualche concerto?

«Certo, anche se occorre che gli artisti debbano calmierare le proprie richieste economiche e i Comuni e le istituzioni con cui collaboriamo accogliere le nostre richieste. Ci vuole sensibilità soprattutto da parte degli artisti, che pian piano si stanno convincendo a rivedere l’impostazione dei propri tour. Se tutto andrà bene, ci potranno essere delle sorprese interessanti. D’altronde sarebbe un gravissimo danno culturale non riuscire a organizzare qualcosa, anche perché una città senza musica è una città spenta. La musica rappresenta un arricchimento collettivo irrinunciabile, da considerarsi una vera e propria esigenza al pari di altre considerate di “prima necessità”. Tutto ciò, però, richiede un intervento importante anche da parte delle istituzioni, per rispondere a questo bisogno sociale. Credo che, trovando la giusta collaborazione, la gente possa tornare a ritrovarsi e divertirsi con la musica, nel rispetto delle norme di sicurezza sanitaria.»

Quali artisti, quindi, potrebbero arrivare a Verona e provincia?

«Abbiamo avviato una serie di contatti con artisti e produzioni presenti sul mercato: si va da Daniele Silvestri a Diodato, da Levante a Vinicio Capossela, da Vasco Brondi a tanti altri nomi che stiamo valutando. Molti di loro si dimostrano sensibili a rivedere il loro ideale di concerto per formule più ridotte. In fondo, parliamoci chiaro, non è la quantità di luci o di potenza che metti sul palcoscenico a fare veramente lo show. Vorrà dire che invece di suonare in venti sul palco si farà un concerto da soli con il proprio strumento o accompagnati da uno o due musicisti, non di più. Noi siamo pronti per la flessibilità, anche perché, come detto, è sempre stato un nostro marchio di fabbrica. Sono fiducioso di riuscire a creare le condizioni giuste per tornare ad ascoltare la musica live anche quest’estate.»