Quando leggevo RaiTrade sui loro dischi non me ne capacitavano. Erano gli anni della post-adolescenza, della passione, della voglia di scoprire e di live, non ancora il tempo di internet, del tutto-subito-gratis. Il metal era ancora un genere di rottura, per questo non mi capacitavo di una qualsivoglia vicinanza con la principale rete nazionale. Ma è pur vero che i Mothercare al metal hanno dato nuove accezioni. Quella voce così estrema (davvero, senza finti growl e finti approcci), dinamiche crossover – poi diventate thrashy. Alla presentazione di Traumaturgic in un live estivo a Pescantina, assieme agli All Range Mode, c’ero anche io. Ero quello che pogava, salendo spesso sulla schiena di un amico più grosso di me.

Risponde il chitarrista della band Mirko Nosari.

Oggi i Mothercare sono una realtà affermata della scena metal italica. Se però ti volti indietro, al 1994, ricordi le motivazioni che ti hanno portato a cominciare il progetto?

«Quando avevo 22 anni non riuscivo a pensare ad altro. Dopo le solite esperienze in cantina con gli amici ed amplificatori da 15w, mi sono trovato a Verona, dove sono riuscito a fondare un progetto convincente con Mauro, compagno di mille avventure. Mio padre mi sapeva iscritto alla facoltà di Economia ed effettivamente lo ero. In ogni caso il progetto portante della mia vita erano i Mothercare, nella formazione primordiale, con Mauro alla batteria e Guillermo a fare il matto sul palco. Negli Stati Uniti si esauriva la scena thrash della Bay Area e nasceva il thrash-core, che ci ha fatti impazzire tutti. Per cui noi, muovendoci molto velocemente siamo diventati, con nostra grande sorpresa, molto seguiti dagli appassionati del genere di tutta Italia. Era davvero un momento di entusiasmo. Si suonavano concerti in centri occupati e locali minuscoli, ma ovunque scorrevano litri di birra, per cui i proprietari dei locali erano davvero molto contenti. Le motivazioni quindi erano suonare molto e firmare un contratto discografico per registrare un disco decente. E si registrava ancora su nastro…per cui i dischi potevano fare molto schifo.»

Vi ho visti la prima volta al Valpolicella Metal Fest 2003. Che ricordo hai di quella manifestazione e perché a Verona, nel corso degli anni, si sono perse occasioni importanti come quella?

«Il ricordo che ho di quel festival, così come di alcune altre occasioni simili, è di grande entusiasmo. Un entusiasmo che, senza voler sembrare il solito nostalgico che dice che si stava meglio quando si stava peggio, faccio fatica a ritrovare nell’ambiente dei festival italiani, salvo qualche rara occasione. Penso che il problema sia, oltre ovviamente alla tanto chiacchierata crisi della discografia, l’eccessiva frammentazione della scena musicale. Nel pre-digital-world chi a Verona ascoltava metal non si lasciava scappare nessun concerto che potesse anche solo vagamente rientrare nel calderone. Lo stesso valeva per la scena punk-alternative-hc etc. Eravamo più onnivori e meno schizzinosi. Poi si diceva che una band sapeva suonare e l’altra faceva schifo, ma non c’erano grossi preconcetti di sottogenere. Adesso ognuno ha il suo sotto-sotto-sotto-genere preferito, e tutto il resto non ha neanche motivo di esistere. Sono tutti più consapevoli, ma allo stesso tempo talebani. Con queste premesse non si raggiunge mai la massa critica di partecipanti che serve ad un qualsiasi evento per avere motivo di essere organizzato. Forse se fossimo tutti un po’ più stupidi ci divertiremmo di più….»

Nel 2000 vinceste la “Demowar” competition su Psycho! Con il demo Fusoku no Kigen, che fu anche premiato dalla rivista inglese Mix. 15 anni dopo quanto contano i magazine musicali? Internet ha sostituito totalmente il cartaceo, anche a livello di legittimità?

«In realtà no. Nulla ha sostituito il cartaceo. Instagram forse. Nulla ha sostituito quelle compilation che ti facevano scoprire i gruppi, di cui poi andavi a cercare tutta la discografia. Non solo nel metal ovviamente. Purtroppo, come in tutto il settore, mancano i presupposti economici per questi magazine per continuare a lavorare in un certo modo. Io produco band giovanissime e la mia diagnosi (molto confusa) è che la curiosità musicale sia ancora molta, però spesso rivolta alle stesse band che ascoltavo io. Quindi le band che hanno cominciato nei miei anni di gioventù, oppure molto frammentata e, permettimi il termine, superficiale. Perché noi un video lo riguardavamo 400 volte e lo registravamo su videocassetta, con l’inizio della pubblicità che ne tagliava un pezzo.  Adesso su YouTube si fa fatica ad arrivare al fondo a un video di 36 secondi. Vale anche per me, intendiamoci. Non sto giudicando nessuno. »

Sul vostro sito sono elencati gli oltre 100 concerti che avete suonato dal 2003. Quali sono quelli che ricordate con maggior piacere nel veronese, in Italia e all’estero? E quelli che vi hanno deluso?

«Nessuno ci ha deluso. Soprattutto ripensandoci adesso con un po’ di nostalgia. Ogni concerto era un’avventura. E se non c’era nessuno diventava una festa tra di noi. Da questo punto di vista abbiamo sempre avuto un approccio molto hardcore. Certo, ci sono alcuni concerti veramente esagerati: il tour con i Napalm Death, il concerto a Ravenna di supporto ai Chimaira e il delirio dei nostri concerti al Forte di Pastrengo su tutti. Ho certamente alcuni rimpianti per i Mothercare, ma nessuno riguarda i concerti. Nemmeno quello al Pedro di Padova nel quale un cane ha fatto la cacca sul palco dopo il sound-check…esilerante!»

Dopo 10 anni di Bunkker hai fondato Kreative Klan. Hai dato un sound a decine di band. Tra quelle veronesi con chi hai lavorato? Ritieni che l’attenzione nei confronti dell’underground sia minore rispetto a quando avete cominciato?

«Ho lavorato con pochissime band veronesi, se devo essere sincero. Soprattutto dopo aver fondato Kreative Klan. Mentre ho lavorato benissimo con band tedesche, austriache, belghe e del sud Italia. È normale però. In questo settore si cercano sempre soluzioni un po’ esotiche, oppure gratis. Per cui difficilmente si sceglie uno studio o un’etichetta della propria città. Si avrebbe l’impressione di non essersi mossi di molto. E poi Verona è un po’ particolare. Forse proprio per colpa/merito dei Mothercare sono sempre stato percepito come un produttore legato ad una scena musicale un po’ troppo metal. Per mia fortuna invece ho prodotto davvero di tutto. Ho imparato molto sulla scrittura dei brani e nella ricerca dei suoni da generi musicali anche molto distanti tra loro. Kreative Klan per me è stata un’occasione di crescita musicale incredibile, e non lo dico solo perché è la mia azienda. Per rispondere alla tua domanda sull’underground l’attenzione non è diminuita. Spesso c’è poca circolazione di contenuti, si ascoltano poco i dischi degli altri, se non sono già diventati grandi. Quindi fare la discografia delle 300-1000 copie spesso può essere frustrante. Però di attenzione ce n’é. Se posso riassumere in due parole: ci sono più band che fan. Per questo è molto importante curarsi del proprio pubblico local. Senza quello non si fa un buon release party, non si vendono le prime 300 copie e non ha senso andare fuori a cercare quello che non si è costruito in casa. Io la vedo così.»

Avete collaborato con molti artisti di livello internazionale: Mark Greenway dei Napalm Death, Mieszko Talarczyk dei Nasum, Sbibu, David Tiso (Ephel Duath) ecc. Raccontaci qualche aneddoto sulle registrazioni e dei rapporti che avete con loro.

«Su tutte quando Mieszko ha registrato le voci per SenseSeedSex di Traumaturgic. Si è fatto portare un boccale di birra, una bottiglia di vodka e molta Red Bull. Con la stessa frequenza con cui tutti i cantanti con cui ho lavorato bevevano un bicchiere d’acqua, lui si scolava una tazza di vodka-redbull. Non lo permetterei a nessun altro nel mio studio, ma con lui non avrei mai osato protestare.» 

Ascoltando la vostra discografia ho notato che, ad una partenza con un riffing crossover, hanno fatto da contraltare sempre più elementi riconducibili all’hardcore. In tutto ciò è rimasto un approccio grind. Quanto hanno influito i cambi di formazione e quali sono le differenze tra Guillermo Gonzales e Simone Baldi?

«Simone ha effettivamente portato una zaffata di hardcore nei nostri brani. Un po’ per il timbro della sua voce, un po’ per i suoi ascolti passati. Però, come ti dicevo, noi abbiamo sempre avuto un’attitudine più hardcore che metal, soprattutto sul palco. Tolte le corna, che continuiamo a fare, a noi piacciono i concerti ignoranti. Quelli nei quali il pubblico non è disciplinato e dove ci si concentra poco sulle pose da duri. Guillermo era una pallina impazzita sul palco (in senso positivo!) mentre Simone ha un atteggiamento molto ironico, che a noi piace molto. Negli ultimi concerti abbiamo avuto l’esigenza di non prenderci troppo sul serio, un po’ per la nostra età, un po’ perché è molto più semplice creare un contatto empatico con i primi 10 sotto il palco, se si fa un po’ i cazzoni. Chiedete a Mauro…»

Quali sono le vostre band veronesi preferite e perché?

«Per amicizia e per infinito talento direi Acheode (Rip), Riul Doamnei, Farabrutto e Skorbutiks. Più per amicizia che per affinità i Watang (Mandarine Surf Veronese). In realtà poi, un po’ più distante da Verona, ci sono band davvero eccezionali: gli Abaton di Forlì, i Nero di Marte di Bologna e i Winter Dust di Padova. Se poi chiedi a Mauro, ti parlerà di band folk irlandese, ma tanto lui non capisce niente di musica.»

Quante copie hanno venduto (circa) i vostri singoli demo/album?

«Siamo stati molto fortunati. Siamo arrivati a quota 4500/5000 circa. Lavorando nel settore della discografia mi rendo conto che – non avendo mai lasciato l’Italia – è stato un ottimo risultato. Sicuramente abbiamo avuto più amici che fan. Ma 5000 copie sono 5000 persone che hanno avuto voglia di ascoltare il nostro disco. Grazie infinite per l’intervista. E’ stato molto divertente ripensare a certe cose del passato…»

Discografia:

In a hole (1998)

Fusoku no kigen (2000)

Breathing instructions (2003)

Traumaturgic (2005)

The concreteness of failure (2010)

Chronicles of ordinary hatred (2015)

Intervista tratta da “Verona Rock”, Delmiglio Editore

Formazione: Simone Baldi, Rudy Pellizzon, Mirko Nosari, Jacopo “Jack” Ravagnani, Mauro Zavattieri, Marco Piran (ex – Guillermo Gonzales, Massimo Errani, Alberto Mauli, Rudy Zantedeschi, Fabiano Andreacchio).