“Con la cultura non si mangia” è uno slogan di “tremontiana” memoria, un’impostazione pragmatica alle politiche culturali che le amministrazioni di Verona degli ultimi anni hanno perseguito senza troppe remore. Ecco quindi che il passo diventa breve dalla promozione del territorio, detta “sagra”, all’intrattenimento musicale, alias “concertino”. Non è un caso se qualche giorno fa la cronaca locale ha riportato la notizia relativa allo snellimento delle procedure per svolgere attività musicali in città da parte dell’attuale amministrazione. Abbiamo letto dalle pagine dei giornali di una misura che dovrebbe andare incontro ai gestori, in profonda sofferenza a causa del Covid, e ai musicisti, messi in condizione di riprendere la loro performance in modo più continuativo.

Le modifiche, introdotte su proposta del consigliere comunale Andrea Velardi, semplificherebbero i procedimenti amministrativi e consentirebbero attività musicali nei locali pubblici fino alle ore 23. A onor del vero, però, già prima non esistevano impedimenti gravi all’organizzazione di concerti per i locali, se svolti in modo non continuativo; le vere difficoltà stavano e stanno, piuttosto, nel riuscire a sostenerli dal punto di vista economico, poiché i piccoli eventi hanno costi di tariffe SIAE importanti e trovare la “quadratura” tra cachet, formula di accesso e fruizione non è cosa semplice.

Il regolamento che disciplina “le attività rumorose e musicali” (e già sull’abbinamento tra musica e rumore si potrebbe discutere) impone limiti in termini di decibel e diffusione acustica ai confini dell’ascolto domestico e soprattutto non dispone tutele per quei gestori che, nonostante rispettino la normativa, vengono costantemente boicottati dal vicinato amante della quiete e del silenzio del quartiere. Molto più dello snellimento burocratico per organizzare i live, insomma, sarebbe opportuno che l’amministrazione si facesse maggiormente carico della conciliazione tra le parti, per evitare che la prima lamentela scritta porti al blocco dell’organizzazione musicale.

Torniamo, però, alle modifiche approvate dalla Giunta del Comune di Verona, che si occupano anche delle feste popolari e delle sagre, per le quali i giorni consecutivi disponibili raddoppiano da 15 a 30, e i siti di interesse dove poterle svolgere vengono estesi anche a Forte San Procolo, l’area del parco della Cultura Urbana in via Galliano, il parco comunale dell’area San Martino, il parco San Giacomo, Forte Santa Caterina, Forte Gisella e i Giardini Cantori Veronesi. Una modalità di “festa perenne”, declinata tra promozione di prodotti del territorio, enogastronomia e musica dal vivo o riprodotta, che come tutti sanno viene spesso coperta dal vociare assordante del pubblico. Come la presenza di queste manifestazioni, che vendono prodotti di street food a basso costo e propongono spettacoli che permettono grande capienza, possano aiutare il gestore di un locale a Verona resta un mistero. Chi ha costi fissi mensili importanti e subisce la concorrenza sleale di questo genere di operatori occasionali nell’organizzazione di concerti, non fa certo i salti di gioia pensando alle modifiche proposte e alle conseguenti “sagre tutto l’anno”.

Inoltre (e soprattutto) questo scenario dedicato al divertimento da “movida” esclude ancora una volta il concetto di musica come cultura, espressione artistica, momento di condivisione collettiva. Perché è ovvio che chi ha pensato a questo provvedimento non ha a cuore l’arte, intesa in senso stretto e pure lato. E sono sempre più rari, infatti, gli eventi in città in cui gruppi o i musicisti solisti riescono a farsi ascoltare e a fare una proposta originale, che venga seguita con attenzione dal pubblico.

Verona negli anni Ottanta e Novanta era protagonista internazionale della scena jazz con il suo Festival, poteva vantare concerti folk di assoluto prestigio, spaziando dalla musica celtica alla tradizione popolare. I prezzi accessibili consentivano la partecipazione a veronesi e non, ed educavano le orecchie alla bellezza, al rispetto per i musicisti.  Ne beneficiava anche la scena degli artisti locali, che trovava nicchie di pubblico pronte alla curiosità e permetteva sperimentazioni anche ardite (vedi ad esempio i RADAR del geniale Nicola Salerno, recentemente scomparso), potendo contare su luoghi adatti come “Il Posto” o “Interzona” per esibirsi dal vivo.

Questo “Amarcord” non vuole essere memoria storica del bel tempo andato. È, al contrario, la dimostrazione di quanto sia importante che un’amministrazione pubblica sia il motore propulsivo di bellezza e divulgazione culturale. Anche organizzando piccoli appuntamenti si possono gettare le basi per riportare l’attenzione del pubblico ai progetti artistici, senza dover spendere budget eccessivi. Il diretto collegamento con la sostenibilità economica magari non sarà immediato, ma il Festival della Letteratura della vicina Mantova dimostra che la lungimiranza di chi investe in cultura ripaga con anni di eventi sold-out e prestigio nazionale ed internazionale.

«Andiamo incontro alle esigenze dei gestori di locali e attività per i quali la possibilità di avere musica è un valore aggiunto», ha spiegato l’assessore all’ambiente Ilaria Segala. Ma la musica non è una “merce di scambio”, una carta da giocare per aumentare le consumazioni. E fino a quando non cambierà questa concezione, si potrà fare davvero poco per lo sviluppo dell’arte musicale in città. Speriamo, però, che prima o poi ci si accorga anche delle esigenze del pubblico e degli artisti e che anche a Verona arrivi finalmente qualche amministratore illuminato che voglia addirittura anticiparle, alzare l’asticella e riportare la musica al centro del palco.