La Verona Musicale: che splendida creatura. Con questi speciali, intitolati Verona Rock, vogliamo ricordare alcuni dei gruppi che hanno caratterizzato la Verona musicale. Lo facciamo in un periodo molto particolare, in cui la musica live non c’è, se non sotto forma di streaming. Che, con tutto il rispetto, suona un po’ come la carne sottovuoto rispetto ad una bella e liberatoria grigliata estiva.

A fine anni 2000 hanno spopolato con la pubblicazione di A Sky with No Stars. Tra passaggi radio in mezzo mondo, tv (anche sulla sacra Mtv) e concerti a non finire pareva che la strada dei Canadians fosse in discesa. Ma la vita non è quasi mai come te l’aspetti. Ricordo di averli recensiti criticamente dopo uno showcase in Fnac all’incirca 15 anni fa e di averli seguiti con curiosità in un concerto al Green Store di Verona nel 2008. Nel 2016, per il libro Verona Rock (edito da Delmiglio) ho intervistato Massimo Fiorio, bassista ed influencer ante litteram.

Prima c’erano gli Slumber, poi sono arrivati i Canadians: parlaci del percorso che vi ha portato a maturare la vostra passione per la musica nella Verona che suona e che è cresciuta con voi…
«Il percorso è stato molto semplice e lineare: abbiamo iniziato a provare come tutti, poi abbiamo avuto la fortuna che qualcuno abbia deciso di investire su di noi, producendoci il primo ep. Lo stesso ci ha portato a vincere un concorso importante (Heineken Jammin’ Festival), che a sua volta ci ha permesso di registrare un disco in condizioni che mai avremmo potuto permetterci. Da lì in avanti è stato tutto merito di quel disco e delle persone che hanno lavorato assieme a noi, ufficio stampa ed etichetta in primis.»

Quali sono le motivazioni che vi hanno portato allo scioglimento e come mai oggi, dopo esservi riuniti, Michele Nicoli e Vittorio Pozzato non sono più della partita?
«Semplicemente era diventato difficile suonare. Rispetto al disco e tour precedenti, nei quali molti di noi si mantenevano praticamente suonando nella band, con il secondo disco siamo diventati adulti anche al di fuori del gruppo. Fare un tour era sempre più difficile e senza i concerti è passata anche la voglia di suonare. È stato tutto naturale anche qui, senza litigate o scenate. Dopo qualche anno di assestamento nelle nostre nuove vite siamo tornati a suonare assieme. Michele e Vittorio inizialmente hanno preso parte alla reunion per poi tirarsene fuori per motivi diversi (Vittorio quasi subito, Michele quando già il disco nuovo stava prendendo forma).»

Vorrei che mi parlassi più approfonditamente di quando avete vinto l’Heineken Jammin Festival nel 2006. Questo vi ha permesso di produrre “A sky with no stars” ai Jungle Sound Studio di Milano. Che ricordi avete di quel periodo?
«Probabilmente uno dei più belli della nostra vita. Passare quasi due mesi a Milano, in uno studio fantastico, serviti e riveriti da chiunque, ha avuto effetti devastanti sul fisico ma ci ha fatto assaporare per la prima volta cosa vuol dire vivere di questo lavoro. Potrei scrivere un libro su quei giorni, ma ti basti sapere che una delle frasi più belle sentite in quei giorni è stata “a cena andate dove volete, basta che poi vi facciate fare la fattura”. Un’altra frase molto bella è stata “potete ordinare quello che volete al bar dello studio” o “il vostro hotel a 4 stelle è poco più avanti”. Poi certo, anche dal punto di vista musicale è stato strepitoso, ma chiaramente oggi ricordiamo più volentieri le cazzate.»

Avete suonato al mitico South by South West e negli Usa avete avuto molti passaggi radio. Viste le influenze principali (Weezer, Grandaddy, Beach Boys) si è trattato del coronamento di un sogno? Come è stata l’esperienza americana?
«L’esperienza americana è durata cinque o sei giorni, ma il disco è passato per mesi in centinaia di radio (ci arrivava il report dettagliato dei passaggi). Al SXSW abbiamo visto il paradiso, sotto forma di gente e cibo. E poi dai, possiamo vantarci di aver suonato prima degli Hanson. È stato davvero un sogno.»

Provavate negli Under The Pool Studio di Michele Nicoli, a Cellore di Illasi. Lui ha prodotto molti artisti underground e, mi risulta, che altrettanto faccia tu con Bello Records. Quali sono le cose più belle che avete sentito nella Verona underground?
«Io sono un semplice amico/collaboratore di Bello Records. Tra le cose più belle uscite da Verona, sicuramente i Fake P, con cui abbiamo condiviso mille concerti e mille avventure nel corso degli anni. Se invece vuoi sapere qualche nome più recente, direi i Jenny Penny Full, i C+C=Maxigross e gli Any Other (che amo alla follia da ben prima che firmassero per Bello Records di Gatto Bello). Visto che ho una certa età, i nomi a cui sono più legato sono quelli di band che o non ci sono più o hanno subito molte trasformazioni nel corso degli anni: Madeleine (forse tra i miei preferiti di sempre), Nexus e Iris sono quelli a cui penso subito riguardando agli anni dell’università, quando ho iniziato a suonare. Una decina (abbondante) di anni fa mi ero innamorato dei Bikini The Cat.»

Livepoint era il punto di riferimento della Verona musicale. Ti manca o i social sopperiscono?
«I social lo hanno sostituito, ma il forum era un ambiente che difficilmente verrà replicato, nel bene e nel male. Molte persone che ancora frequento (dal vivo o online) le ho conosciute lì. Più passano gli anni, più dimentico i loro nickname. Su Facebook magari li vedo col loro vero nome e devo pensare un attimo a chi fossero tra quelle pagine blu. Da quel forum sono uscite tantissime iniziative più o meno belle, quindi direi che è stato una cosa fondamentale per tutti quelli che hanno fatto musica a Verona e dintorni. Io ero sempre molto presente e scrivevo parecchio (col nickname Hoboken), ma non credo di aver mai messo piede a nessuna cena organizzata tra gli utenti.»

Qual é il vostro locale preferito tra città e provincia e per quale motivo? E quale quello che in Italia vi ha colpito di più?
«Interzona, anche se con i Canadians non mi sembra di averci mai suonato. In Italia è difficile scegliere: forse l’Estragon e il Circolo degli Artisti sono quelli che ricordiamo con più piacere, perché i concerti fatti lì sono stati molto speciali (il Circolo era una seconda casa per noi).»

A Verona è mai esistita una scena?
«Sì, altrimenti non mi avresti fatto queste domande. Per motivi principalmente anagrafici ricordo la scena che c’è stata tra il 1995 e il 2008. Poi, tra impegni concertistici lontani da Verona o anche per l’arrivo dei social che hanno permesso a tante band di mettere il naso fuori dalle mura cittadine, non ho più seguito attivamente quello che succedeva in città, ma le rare volte che ho provato a informarmi negli anni successivi, m’è sembrato di capire che c’è stato un rinnovamento della scena e che ci siano molte realtà attive.»

Quante copie hanno venduto i vostri album?
«Il primo ep avrà venduto un migliaio di copie, i dischi ufficiali non ne ho idea perché dopo i primi concerti ho perso il conto. Però ricordo bene che del primo disco avevamo venduto più di 300 copie solo nei primi 5 concerti.»

Discografia
The north side of summer Ep (2005)
A sky with no stars (2007)
The fall of 1960 (2010)
Mitch (2018)