Non ci siam persi di vista, mettiamola cosi, e visti i tempi che corrono è già qualcosa. Un anno fa Paolo Biondani, giornalista d’inchiesta de “L’Espresso” tenne a battesimo la nostra redazione; a Verona erano quelli i giorni del Congresso della Famiglia, tra strade piene di cortei e manifestazioni. Immagini di vita pulsante e di partecipazione. Con Paolo ci siamo ritrovati questa volta per una chiacchierata a distanza, ognuno forzatamente a casa sua (è la dura legge del virus) in una ricorrenza come il 25 aprile, il giorno della Liberazione dagli orrori del Nazifascismo, la festa più tirata per la giacchetta che la storia conosca.  

E puntualmente anche quest’anno, chi ha provato a tirare il virus al suo mulino si è fatto avanti: «Come avvenne allora, il virus si combatte con la coesione sociale e il sacrificio di tutti – asserisce Biondani –. Gli altri virus da debellare sono l’autoritarismo e la dittatura del capitalismo finanziario: fruendo dei paradisi fiscali, l’Èlite del denaro facile ha prosperato a svantaggio dell’economia tradizionale basata sul manufatto; ecco, spero si possa trovare un antivirus anche a questo. Vedremo se questa sarà l’occasione per cambiare sistema; ma dopo la crisi del 2008 grande finanza e grandi evasori sono ancora lì. Di positivo c’è da dire che questo Paese ha almeno riscoperto il valore della sanità pubblica. La regionalizzazione dei poteri, negli ultimi 25 anni ha avuto esiti disastrosi; ha favorito la corruzione e l’addentrarsi delle mafie al nord. Il Mose è uno scandalo che parla da solo, ed è una storia veneta».

Biondani ha tracciato un quadro della drammatica situazione in cui versa la Lombardia, la regione più colpita dal Covid-19: «Quello lombardo, negli anni settanta era un sistema di eccellenza, ma è stato sventrato dalla logica del profitto che ha favorito le cliniche private; il paziente che non rientra nella logica del profitto, va all’ospedale pubblico. Seguire il modello americano, tra l’altro a suon di tangenti, è stato un disastro». Il Veneto nell’emergenza ha scelto un’altra strada: «Prendo ad esempio Padova, dove è emerso il forte legame tra ospedale e università. Il professor Andrea Crisanti ha fatto un lavoro fantastico, predisponendo tamponi a tutti nelle aree più colpite: in Lombardia, dove bisogna dire che il virus è stato però più violento, non è stato così. Detto ciò, le lottizzazioni devono finire, sono una vergogna, vanno premiate le competenze».

Ben venga la riapertura dal lockdown, ma con dei paletti: «Sono preoccupato, il rischio è la fretta. La politica in questa circostanza, per una volta non va messa sotto accusa; seguono il pare delle commissioni scientifiche. Speravo che la riapertura potesse avvenire con un numero più basso di vittime, che invece è purtroppo ancora alto. Bisogna procedere per gradi».

Giornalista d’inchiesta («La crisi del giornalismo è un problema per la democrazia»), Biondani ha ricordato l’indagine condotta da L’Espresso sui presunti fondi neri della Lega provenienti dalla Russia: «Diciamo che lo scoop dei giornalisti del L’Espresso ha rovinato la frittata. Soldi non ne sono girati probabilmente, ma resta un dato; Gianluca Savoini è un uomo di fiducia di Matteo Salvini, e a Mosca all’Hotel Metropol c’erano entrambi; Savoini è ancora lì al suo posto, nessuno lo ha scaricato. Quando Maroni ebbe un problema con l’uomo a lui più vicino, si comportò in maniera opposta».

Un commento sulla sua Verona: «Una città bellissima, tra le più belle al mondo. Purtroppo c’è ancora gente senza memoria, nostalgici di una dittatura che condusse l’Italia incontro a una tragedia. Eppure la Repubblica Sociale aveva sede dall’altra parte del lago. Credo che questa gente, manco sappia cosa fosse il fascismo».

Chiosa finale sui sovranisti ai tempi del virus: «Il virus è per loro una beffa, perché non conosce confini. Si professano cristiani, ma il cristianesimo è l’opposto: lo stigma nei confronti degli altri è qualcosa di orribile e anticristiano».

Paolo Biondani è un amico di “Heraldo“; con lui ci ritroveremo presto, e magari la prossima volta potremo pure abbracciarci. Intanto non resta che dirgli grazie.