«Lo stesso dio che da sempre mi chiedono di amare, con me ha fatto un casino innegabile: più che un padre scrupoloso, è stato un patrigno maldestro che nel momento di donare i grembiulini alle figlie e le vanghe ai figli… ha incasinato i pacchi. Sfidarne le leggi è stato il solo modo che ho trovato per difendermi dai pregiudizi della gente e dal suo insindacabile giudizio. Con me ha sbagliato: deve farsene una ragione…».

Sono ruvide le parole di Gabriele, il protagonista del libro La prima donna di Malusa Kosgran, testo riscritto e ripubblicato a novembre 2019 per Morelli Editore – la sua prima uscita è del 2010 –.

Ispirato a una storia vera, il racconto ci conduce nella vita di un transessuale, Gabriele, narrandoci il suo calvario dall’infanzia, durante la quale scopre e riconosce la sua reale attitudine sessuale, fino all’agognata operazione che gli darà una identità femminile.

Soggettista, sceneggiatrice di fumetto, autrice e illustratrice: oltre a collaborare con case editrici e magazine (Panini, Mondadori, RCS Mediagroup, Walt Disney, Giochi Preziosi), Malusa Kosgran, nata a Milano nel 1974 in provincia di Bar, ha pubblicato chick lit (101 motivi per non smettere di guardare Beautiful, Come imparare a dire NO e vivere meglio), racconti (Banchi di nebbia, Condominio Abominio), albi illustrati (Pommidoro e Paraffino, Slurp & Gnam, Gli Istanti) e romanzi (Neanche una parola d’amore, In attesa degli altri trasmettiamo musica da ballo). 

La prima donna è il suo ultimo lavoro. Il romanzo inizia con Gabriele in una camera di ospedale in procinto di essere operato per cambiare il proprio genere sessuale, tra la veglia e il sonno, si apre un dialogo con la sua amica immaginaria, una sorta di Wonder Woman, una figura amabile che gli starà accanto per tutto il corso della storia.

Da qui inizia un tragitto che porterà il lettore nel passato di Gabriele: nei suoi ricordi, flashback, momenti vissuti.
Sarà proprio nella sua infanzia, che troveremo una delle persone più importanti per il protagonista: Enrico, il suo migliore amico, nonché il suo solido complice, stante il fatto che anche egli si troverà nella condizione di sentirsi una ragazza mancata.

I due amici, tuttavia, saranno costretti ad allontanarsi per poi ritrovarsi successivamente da adulti, dove l’incontro finale parlerà di accettazione e di pace per Gabriele, mentre per Enrico, o meglio Erika, parlerà di rifiuto e negazione e del suo continuo sentirsi sbagliato, o meglio, sbagliata.

L’autrice, con una penna lieve ma schietta, non fa trasparire nessuna compassione o pietà nei confronti della condizione difficile in cui vive il protagonista, tuttavia, il lettore può comunque scorgere una grande sofferenza nella spregiudicatezza di Gabriele, nei suoi comportamenti, nel suo modus operandi.

Infatti, egli non si fa alcuno scrupolo nel suo contegno anzi al contrario si veste quotidianamente da donna in modo quasi sfacciato: trucco pesante, vestiti succinti, tacchi a spillo, donandosi senza riserva a uomini che lo cercano solo per soddifare i loro appettiti sessuali.

La narrazione disegna, quindi, un atteggiameto sfrontato di Gabriele quasi a costituire una ripicca contro la vita che l’ha voluto diverso da ciò che lui è in realtà e cioè una lei.
Il mancato consenso del fratello e  dei genitori verso un cambiamento, cioè essere quello che la sua personalità esige, prova, pretende sarà fonte di un atroce dolore per il protagonista, un dolore che non si palesa nel racconto ma che il lettore inevitabilmente percepisce perchè intrinseco nei suoi atteggiamenti impertinenti.

La prima donna rappresenta un romanzo che, nella sua dura leggerezza – l’utilizzo dell’ossimoro è intenzionale –, si può considerare un testo di denuncia di fronte ad una società che troppo spesso fa finta di accettare le diversità ma che in realtà guarda con diffidenza e paura.

Un testo struggente nel quale il dolore, anche se dipinto con una scrittura lieve, fa da padrone mettendo in luce un concetto spesso sottovalutato ossia che la vita degli individui non è così lineare e facile come si vuol credere che sia, che anche la natura sbaglia e che niente può delinearsi come l’assoluto.

Malusa Kosgran ha vuto la capacità, con una narrazione semplice, schietta ed essenziale, di raccontare una storia di sofferenza ma anche di grandisima dignità riuscendo a descrivere precisamente le sfaccettature della personalità di un individuo che come un guerriero, o meglio una guerriera, cerca di affermare se stessa e la sua vera identità.
Un libro che parla del nostro tempo, delle diversità, di una società ancora un passo indietro nel quale il lettore troverà molte occasioni su cui riflettere.