Ha alle spalle trent’anni di servizio nell’azienda ospedaliera universitaria di Padova, ma Paolo Libero, già dirigente del sindacato Nursing Up e da poco responsabile regionale del Coordinamento delle professioni sanitarie della Cisl Veneto, non ha mai visto una situazione simile. Guarda all’emergenza in corso con gli occhi del professionista ma anche del sindacalista, che deve innanzitutto tutelare la sicurezza e i diritti dei colleghi infermieri e dei professionisti sanitari. La pressione che si percepisce nel settore è altissima, difficile garantire a tutti i lavoratori la corretta turnazione e i giorni di riposo necessari, e i ricoveri sono senza sosta.

Paolo Libero

«Nonostante l’urgenza, sarebbe importante che chi svolge un lavoro così stressante, che richiede la massima prontezza e concentrazione, possa staccare ed essere efficiente in servizio. Però la situazione è realmente complessa, che non solo saltano i turni di riposo ma anche i pensionamenti imminenti sono stati sospesi e si sta cercando di assumere nuovo personale dalle graduatorie concorsuali. Si è tutti al lavoro», afferma al telefono Libero, appena conclusa una riunione di coordinamento del sindacato.  

La categoria infermieristica di solito non arriva in prima pagina e se accade non è per ragioni di merito. Trattata come una categoria subalterna, parte di un ingranaggio più che soggetto fondamentale affinché l’intero sistema sanitario funzioni, è restia ad essere definita in modo eroico. La voglia di sperare spinge però tutti a cercare degli eroi che ci regalino il sogno di farcela, magari con un bel gesto di facile presa sull’immaginario. Mentre la realtà ci riporta a un numero, ai 2.828 tra medici e infermieri che alla data di ieri 18 marzo risultano infettati, stando alle cifre fornite dall’Istituto superiore della sanità. Il problema non sta solo nell’aggressività del virus, ma anche nella mancanza di adeguati dispositivi di protezione messi a disposizione del personale sanitario. Senza contare che non è fondamentale proteggere solo chi sta a diretto contatto con i pazienti, ma anche tutti gli operatori della filiera.

Il dato relativo agli operatori sanitari si riferisce al 18 marzo 2020, fonte Istituto superiore di sanità

«Negli ultimi dieci, quindici anni molti servizi un tempo interni all’ospedale sono stati esternalizzati, dalle mense ai service di manutenzione delle apparecchiature e degli impianti – sottolinea Libero -. Vanno inseriti anche questi canali di scambio nella procedura di sicurezza, altrimenti restano troppe falle aperte. Anche questo è un dato per valutare gli effetti della politica sanitaria di questo ultimo decennio, pilotata più dalla “spending review” che dai reali bisogni sanitari della popolazione. Siamo passati dal dover gestire un sistema fonte anche di sprechi e di inefficienze alle esternalizzazioni selvagge, che ci consegnano oggi una realtà molto frammentata, che spesso premia il costo al ribasso, a scapito della qualità, e che rende difficile controllarne la sicurezza.»

Il Covid-19 sta diventando la cartina tornasole di un sistema che ha spinto alla massima resa dei professionisti sanitari a discapito del servizio. «Non si può garantire una sanità efficiente se c’è sistematicamente poco personale che segue da vicino il malato. I dati indicano in condizioni di normalità che ogni infermiere assista dai 6 a 7 pazienti al massimo, la realtà è invece il doppio – specifica Libero -. Nelle terapie intensive si lavora in sicurezza se il rapporto è di uno a due, mentre di media è uno a tre. Se ci attenessimo all’indice ideale, fornito dagli studi della comunità scientifica, diminuirebbe anche il tasso di mortalità. E poi la razionalizzazione dei posti letto ha portato che a Padova, ad esempio, si sia passati in quindici anni da circa cento a 68 posti in terapia intensiva. Forse l’apocalisse che stiamo vivendo farà ragionare in modo diverso i decisori. Intanto la Regione sta aumentando le assunzioni, poi si vedrà.»

I provvedimenti di questi giorni stanno portando alla riapertura nel veronese delle strutture di Zevio, Isola della Scala, alla riconversione del padiglione “A” di Malcesine in reparto per pazienti Covid-positivi, in modo da recuperare nei grandi ospedali posti di terapia intensiva e post-intensiva. Si sospendono gli interventi non urgenti già programmati e il personale delle sale operatorie si sta preparando per assistere nelle terapie intensive i pazienti gravi affetti da Covid-19. E arrivano pure medici e infermieri dalle forze armate e dall’estero. Anche i laboratori di analisi si sono adeguati per reggere a una media giornaliera di dodicimila test su tampone.

«Continuiamo come operatori e sindacati a sollecitare che ci forniscano i dispositivi di protezione, le mascherine di tipo FFP2 e FFP3 sono centellinate e fornite solo a chi è in contatto con pazienti positivi, ma anche l’uso di quelle chirurgiche sarebbe necessario, a partire dagli operatori socio sanitari e tutte le categorie che ruotano intorno alle strutture e all’assistenza sanitarie – chiarisce Libero – Il virus a oggi è poco conosciuto e ridurre le possibilità di contagio è fondamentale. Tra l’altro non sono mancati comportamenti scorretti, come il mezzo milione di mascherine di alta qualità, già pagate al fornitore straniero, che però in dogana sono praticamente sparite. Vendute a un altro cliente che ha dato un sovrapprezzo. La Regione anche per queste situazioni sta organizzando dei cargo militari per andare a prendere direttamente in Cina i ventilatori meccanici e ogni presidio indispensabile con urgenza. In attesa che a breve il ministero dia le certificazioni necessarie alle aziende italiane che hanno riconvertito la loro produzione e oggi sarebbero in grado di fornire mascherine.»

La gara è quindi contro il tempo, mentre il Veneto nei prossimi otto-dieci giorni si prepara a raggiungere il picco di casi gravi. «In realtà nessuno può dare certezze, ma se manteniamo le condizioni di quarantena attuali è plausibile che i tempi siano questi. L’estensione voluta dalla Regione dell’uso del tampone anche agli asintomatici può cambiare i dati attuali, e credo sia una scelta più che opportuna, sia per la sicurezza dei lavoratori della sanità, sia per capire meglio il comportamento del virus e controllarne la diffusione – afferma il sindacalista -. Il contenimento è indispensabile per prendere tempo e non arrivare al collasso, quello che capita a Bergamo e Cremona è pericolosissimo e drammatico, stanno spostando i pazienti in altre città e regioni perché non ce la fanno. I media riportano una realtà edulcorata: comprendo che non si debba diffondere il panico, ma non si può negare la gravità della situazione e che è necessario fare di tutto perché si blocchi il contagio.»

In questi giorni Libero ha raccolto anche il pianto di colleghi che hanno scoperto di essere positivi e condivide la paura di chi ogni giorno non si sottrae al dovere di curare quella che si è rivelata non essere affatto un’influenza. «Si può certamente guarire, ma teniamo presente che c’è anche chi se la cava portandosi come strascico una insufficienza renale cronica, che può portare alla dialisi, o con danni al sistema nervoso centrale – conclude Libero – Per questo continuo a chiedere che al più presto si forniscano strumenti adeguati di autoprotezione per gli operatori e per la popolazione. E teniamo duro: la quarantena è lo strumento principale per rallentare questo tsunami.»