Quando la cronaca serve impropriamente per interrogarsi su quale società

Come tutti possiamo notare da qualsiasi chat social, è forte il disagio che scaturisce dalla percezione di essere in un momento storico particolare. Un momento in cui, coscientemente o meno, molti esprimono lo smarrimento nel vivere un passaggio epocale per la famiglia, le strutture sociali, i ruoli, la distinzione di genere. Pertanto, scopo di questi pezzi, che usciranno settimanalmente, è di chiarire alcune linee dominanti ma tra loro conflittuali per poter comprendere i termini della questione nella sua interezza. Conoscere per deliberare, diceva qualcuno…

L’affermazione del singolo, ovvero la nuclearizzazione sociale

La peste ne I Promessi Sposi

Paradossalmente, per parlare dell’individuo partiremo dal contesto in cui è inserito, ovvero lo Stato e la famiglia. Abbiamo visto come la ragion di Stato abbia la precedenza sulle esigenze dell’individuo. Valeva per Platone, ma vale anche per l’oggi: se in un palazzo scoppiasse un’epidemia di peste, il diritto del singolo a mettersi al sicuro fuggendone sarebbe secondario alla necessità della comunità di tutelarsi dalla diffusione del contagio impedendoglielo e sigillando l’edificio.

Un lungo percorso verso la libertà individuale passa attraverso l’affermarsi di una classe, la borghesia. Una classe slegata dalla terra e dai cicli della natura, non vincolata nemmeno ai doveri del sangue tipici dell’aristocrazia. Insomma, più che un insieme è un contenitore di aspirazioni individuali spesso in competizione.

Già dalla Magna Charta (1215) l’Occidente ha progressivamente ritenuto essenziale garantire una certa autonomia e libertà all’individuo, tutelandolo dall’arbitrio del potere assoluto. Ma è con la Rivoluzione americana e francese (XVIII sec.) che i diritti vengono posti nero su bianco: “tutti gli uomini sono creati eguali; […] essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” (Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776); “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”, (Preambolo alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, Francia 1789). Si afferma così una classe a lungo costretta ai margini del potere.

Con l’espansione della classe della borghesia i vincoli sociali si riducono, gli spazi comuni si privatizzano (come le enclosures), gilde e corporazioni scompaiono, le protezioni sociali medioevali vengono smantellate; con la Rivoluzione industriale (XVIII sec.) viene addirittura vietato lo sciopero e il sindacalismo. L’operaio è solo e indifeso. Il capitalista è potente, ed eppure solo: è il progressivo affermarsi di un capitalismo puro. Ma se il capitalismo dà la possibilità all’individuo di potersi valutare col metro del successo economico, che c’entrano lo Stato e la famiglia?

Tutto. È in atto una trasformazione economica e culturale. Lo segnalano, tra gli altri, Diego Fusaro e Benedetta Scotti: il capitalismo vede come un ostacolo gli Stati nazionali (oggi bypassati dalla globalizzazione e, di fatto, ostaggi delle scelte economiche delle multinazionali e dei fondi di investimento, Italia compresa: il futuro lo vedremo da come andrà a finire tra USA e Cina) ma soprattutto la famiglia. Perché? Perché la famiglia condivide le risorse, insegna la parsimonia, ha un minore bisogno di cose, offre supporto (generalmente gratis). Il singolo individuo, invece, garantisce una flessibilità sconosciuta a chi ha figli o genitori anziani da gestire. Di più: la progressiva erosione degli Stati e la frammentazione della famiglia determinano una solitudine e infelicità che molti tendono a colmare con il possesso di cose.

Tornando al nostro paese, la logica individualista si scontra con i valori della società italiana post bellica, quelli della Carta Costituzionale. Prendiamo la scuola statale: insegna la cooperazione, l’inclusione, il rispetto del diverso (secondo la logica dell’individuo come parte di un insieme) mentre la logica del Capitale preme per un atteggiamento egoistico e spietato – da legge della giungla – per massimizzare il profitto. Se, oggi, un liceo formasse un alunno in modo perfetto secondo i principi costituzionali, sfornerebbe disadattati disorientati nel mondo competitivo del lavoro.

Ma quale modello alternativo propone il sistema economico? Il modello televisivo del single. Privo di legami, libero di forgiarsi come meglio crede, nell’aspetto come nella sessualità. Privilegia la vista (e, quindi, tutti su Instagram) a scapito della parola intesa come ascolto, pensiero e confronto dialettico, il quale necessita di tempo, studio, attenzione ed empatia (e infatti, poi, quando scrivono sui social, i risultati della mancanza di abitudine al contraddittorio si vedono). Ma c’è anche un ulteriore aspetto da considerare e che giustifica il disimpegno: la lunghezza e la qualità della vita.

L’imperatore Marco Aurelio

Il passaggio da anello di una catena ad anello singolo: l’allungamento dell’aspettativa di vita va di pari passo con la diminuzione della fecondità, come visto nell’articolo precedente. E se la vita è slegata dalla sola riproduzione, per gli uomini (ma soprattutto per le donne) si apre la questione: in un mondo dalla religiosità tenue, qual è allora il senso della vita? Recuperando uno spirito romano pagano, è la piena realizzazione di sé (modello manga giapponese), il piacere dell’esperienza o, per i più illuminati, il recupero della figura del saggio ellenistico? O passare da un bar all’altro alla Sex and the City?

Intanto che decidiamo, si può constatare che la percezione che la famiglia sia in difficoltà, così diffusa sui social, allora non è sbagliata. Nemmeno che la sua disgregazione sia a vantaggio di qualcun altro. Ma il modello televisivo del single, percepito non troppo positivamente da una parte della società adulta, viene addebitato ai colpevoli sbagliati, ovvero chi ha un orientamento sessuale diverso: una coppia omosessuale con figli non lede il diritto di una famiglia etero ad averne; se qualcuno decide di cambiare sesso, non lede il diritto di un altro di tenersi il suo. Di fatto, è invece forte il desiderio delle famiglie LGBT di essere considerate come normali famiglie, riconoscendo implicitamente il valore del modello.
Non sono loro, perciò, il motivo della frantumazione del modello famiglia (anche se, ovviamente, ne propongono una declinazione molto diversa dai tradizionalisti); lo è invece il sistema economico che è strutturato proprio in modo da facilitarne la disgregazione e la nuclearizzazione attraverso la cultura del disimpegno e delle passioni travolgenti e transitorie.

Naturalmente, con l’irrilevanza degli Stati e la crisi della famiglia, l’affermazione dell’individualismo impone dei cambiamenti culturali. Ad esempio, il fenomeno dei divorzi – sintomo del fatto che una vita insieme oggi è raramente possibile (con una vita media di 80 anni, 60 con una persona sola è arduo) – viene erroneamente interpretato come una causa. La procreazione e l’adozione da parte di single viene percepita da molti come pretesa egoistica. Se avviene in contesti di coppia non etero, ci si interroga sulla mancanza di figure-ruolo nell’educazione.
L’omologazione, che è parte del controllo sociale dell’umanità fin dai primordi, viene snaturata nella sua funzione di garanzia di sopravvivenza del gruppo (con grande scandalo nei social) e ha il nuovo scopo di confortare l’individuo nella mancanza di riferimenti.

E arriviamo alla conclusione del nostro discorso: l’attuale smarrimento di molti è proprio in questo passaggio da un mondo di valori a un altro. Ciascuno di noi può criticare la (presunta) libertà di oggi dell’individuo, in nome della ragion di Stato o della conservazione della famiglia tradizionale e dei “valori”, magari creando figure spurie di Stati democratici a matrice conservatrice e/o religiosa, come – ad esempio – la Polonia. Tuttavia, di fatto, chi è davvero disposto a rinunciare in prima persona alla propria libertà per i “valori”? Quanti politici – a chiacchiere a favore del solo modello tradizionale – di famiglie ne hanno 2 o 3? Quanti politici, legislatori, forze dell’ordine contro la droga ne fanno uso? Sarà l’ipocrisia a salvare il mondo?

Martin Luther King

Perché, alla fine, la domanda è sempre quella. Una civiltà individualista garantisce la possibilità di essere assolutamente liberi ma anche deboli e soli. Eppure, nessuno vuol rinunciare ai propri diritti, al massimo a quegli degli altri. “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” diceva Martin Luther King. Falso, perché allora, per esempio, il diritto a morire quando e come si vuole dovrebbe essere evidente a tutti. Il punto, invece, pare essere: ciascuno è padrone di sé, oppure siamo vite a sovranità limitata?