Che fare in questi giorni surreali? Per chi ha tempo libero dal lavoro, dallo smart working e dalla gestione dei figli, nel primo fine settimana in cui saremo costretti a restare virtuosamente a casa, il cinema può essere una perfetta forma di intrattenimento. E magari anche un po’ di cultura. Ispirati dal periodo, tra solitudine, situazioni controverse e imprese difficoltose, ecco una prima serie di film in ordine sparso di cui suggeriamo la visione nelle prossime quarantottore (seguendo le norme di legge e i diritti d’autore, sia chiaro) in una certa misura ispirati dal momento storico. Nella speranza che nel frattempo la situazione sanitaria migliori, una premessa: a parte i film apocalittici su virus e derivati, per quanto siano strepitose abbiamo evitato di inserire pellicole come Shining di Stanley Kubrick e Dente Canino di Yorgos Lanthimos. Teniamo all’armonia della famiglia, soprattutto di questi tempi.

Tutti a casa

(1960) regia di Luigi Comencini, con Alberto Sordi

Il capolavoro di Comencini racconta tre settimane della vita di un ufficiale dell’esercito italiano nel corso della II Guerra Mondiale, tra l’8 e il 28 settembre 1943. Oggi lo classificheremmo tra i road movie di altissimo livello. La trama segue il viaggio in Italia del sottotenente Innocenzi, interpretato da Sordi, straordinario come sempre nei ruoli di antieroe. La trama si sviluppa in un Paese smarrito dalla notizia dell’armistizio, appresa dalle truppe italiane quasi per caso ascoltando la radio in un bar. Dalla costa adriatica del Veneto, dove era stanziato, il sottufficiale vede sfaldarsi il proprio esercito, tra la sorpresa e lo smarrimento dei commilitoni e della gente comune. Le incerte e controverse informazioni ricevute dai propri vertici non lo dissuadono nel tentare, almeno inizialmente, di compattare i soldati ai suoi ordini. L’incertezza e la precarietà della situazione poi fa precipitare le cose in una sorta di fuggi-fuggi generale. Durante la sua discesa della penisola verso casa con pochi fedelissimi, si sviluppa una presa di coscienza. Il viaggio termina a Napoli: Innocenzi-Sordi e i militari con lui, in abiti civili, si uniscono ai partigiani e alla gente comune per combattere contro le truppe d’occupazione. Ritrovano l’onore e anche un senso della Patria, nel pieno di un dramma nazionale, in maniera né patetica né consolatoria. Merce talvolta rara, di questi tempi.

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Figli degli uomini

(2006) regia di Alfonso Cuaròn con Clive Owen

Un film per certi versi premonitore: è uscito con una dozzina d’anni d’anticipo rispetto al referendum sulla Brexit e, capirete il perché, rivisto oggi per certi versi fa un certo effetto. Stiamo parlando di fantascienza distopica, sia chiaro, però… Facciamo un salto nel tempo: siamo nel novembre del 2027 e il mondo è colpito dall’infertilità da diciotto anni. Per farla breve, non si capisce quale sia la ragione ma non nascono più bambini. Il pianeta è allo sbando: il più giovane abitante, il teenager e idolo mediatico Baby Diego, viene assassinato tra lo sgomento generale. Il Regno Unito è uno delle poche nazioni in cui resiste una forma di governo, che sta cercando di preservare le opere d’arte ma anche contenere le richieste di immigrazione attraverso leggi oppressive sui non britannici. Nel frattempo, mentre in molti si rassegnano alla fine del genere umano, un vecchio ex attivista politico di nome Theo, che vive in solitudine con la moglie, è rapito da un gruppo terroristico. Mentre il mondo vira verso la guerra, i “ribelli” tentano di preservare e nascondere una giovane donna di colore, rimasta sorprendentemente incinta. A Bexhill, cittadina-lager in cui vengono blindati i profughi, esplode una rivolta; i terroristi ne approfittano per entrare nel campo e riprendersi la ragazza. Nonostante gli scontri a fuoco tra esercito e rivoltosi e la minaccia del gruppo terroristico, Theo riesce a ritrovare la ragazza e… Cuaròn visionario, certo, ma un po’ meno pensando a Nigel Farage, Boris Johnson e al futuribile visto d’ingresso per entrare in Inghilterra. In compenso Bexhill, nel mondo reale, è un luogo di villeggiatura sulla Manica decisamente meglio di quanto appare.

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Nella casa

(2012) Regia di François Ozon, con Fabrice Luchini

Uno dei migliori film di Ozon in cui, anche stavolta, la solitudine è al centro della vicenda. Tra realtà, finzione e manipolazione, un brillante ragazzo dal modesto retroterra sociale, studente del Liceo Flaubert in una cittadina francese, si insinua nella casa borghese di un compagno di classe. Dotato di una sensibilità e capacità di analisi non comuni, intende cogliere ispirazioni da utilizzare poi nei componimenti a scuola. Le capacità di scrittura dell’allievo colpiscono il suo insegnante di letteratura, che si entusiasma nel leggerlo e, anzi, trova un giovamento nell’interpretare la sua attività di professore, tanto da coinvolgere nelle letture anche la moglie. Nell’incitare l’allievo a proseguire, i dettagli dei racconti svelano una realtà complessa e la questione travolge il prof. La tensione cresce e nel finale malinconico, tramite il bravissimo Luchini, Ozon sembra voler porre anche una questione sul processo di creazione narrativa: quando si scrive – e vale anche per i non scrittori – quanto si è manipolatori verso chi legge? Bella domanda, difficile risposta.

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Parasite

(2019) regia di Bong Joon-ho

Siamo in una casa decisamente particolare. Anzi, da sogno: davvero in pochi si possono permettere un’abitazione così. Infatti ci abita una famiglia ricchissima. Enorme, su diversi livelli, al punto che i proprietari non conoscono neppure tutti gli ambienti di cui dispone. Diventa il set di un incrocio di due opposti, che curiosamente si attraggono: tra chi la possiede, la superficiale famiglia Park, e la povera quanto cialtrona famiglia Kim, la cui indigenza sviluppa una invidiabile capacità di scaltra intelligenza. Il destino offre agli sventurati la possibilità di relazionarsi con i ricchi e, per alcuni versi, vivere di benessere riflesso. I due figli dei Kim si inseriscono a casa Park come tutor e terapista d’arte. Poi è il turno di mamma e papà, con ruoli e servizi classici delle necessità richieste a quel livello di agiatezza. L’incrocio tra i due mondi tra le stesse mura rimodula uno stravagante equilibrio, finché un nuovo quanto vecchio intruso stravolge la situazione. Il rischio di perdere quanto faticosamente ottenuto dai Kim fa scatenare una sorta di esilarante guerra tra poveri parassiti, prima del catartico finale. Il film illustra la globalizzata impossibilità di comprensione delle esigenze delle diverse classi sociali, lontane mille miglia sul piano della filosofia di vita, quasi più che del denaro. In più, i poveri, per i ricchi, non sembra esistano, in senso letterale. Tanto che ad un certo punto non li vedono proprio, nella scena-simbolo del film. Un po’ commedia, un po’ noir, sicuramente capolavoro: Palma d’Oro a Cannes e Oscar a Hollywood.  

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I viaggiatori della sera

(1979) regia di Ugo Tognazzi, con Ornella Vanoni

Non è un capolavoro, ma tutto sommato un film non banale, che inquadra per certi versi qualche affermazione strampalata uscita dalla bocca di alcuni in questi giorni di Coronavirus. L’età media dei deceduti e la potenzialità di uccidere le persone più anziane da parte del Covid-19 non può certo rallegrare. Tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Simonetta, nel futuro descritto da Ugo Tognazzi, regista e protagonista del film, è addirittura la legge, dunque il nuovo ordine sociale, che ne dispone l’eliminazione. Il fatto è che il mondo è sovrappopolato e quindi, cari cinquantenni, occorre lasciare spazio ai figli. Raggiunto il mezzo secolo d’età, uomini e donne finiscono a riposo, volenti o nolenti. Partono per vacanze in villaggi di lusso, che in realtà li escludono da qualsiasi contatto con l’esterno. Tognazzi e la Vanoni, coppia che poi scoppia, una volta giunti al resort si rendono conto di dover partecipare, periodicamente, ad una lotteria insieme agli ospiti del villaggio. Il premio per i vincitori è una favolosa crociera. Meglio forse non vincerlo, perché sembra che nessuno da quei viaggi per mare sia più tornato. Il futuro è dei giovani, ma non esageriamo.