Il Coronavirus sta – purtroppo – mettendo in ginocchio l’Italia intera. Sono tantissime, infatti, le categorie economiche colpite da questa “pandemia” che ha bloccato l’intero Paese in attesa di risolvere prima di tutto la grave emergenza sanitaria. Tralasciando gli aspetti medici, del settore turistico abbiamo già parlato qualche giorno fa nell’articolo di Paolo Sacchi, mentre dall’emanazione dell’ultimo decreto ad oggi vi è tra il 76 e l’80% di lavoratori fermi nel settore dell’eventistica live (fiere, teatro, concerti di ogni tipo, convegnisti, ecc.). Togliendo anche tutte le attività sportive si arriva molto probabilmente al 90% di lavoratori fermi con il 10% rimanente che in gran parte corrisponde ai lavoratori impegnati nel settore televisivo (cioè “a porte chiuse”). In questo momento, dunque, a seconda delle stime, ci sono tra le 300.000 e le 380.000 persone legate al mondo dello spettacolo e della cultura che in Italia non stanno lavorando con un danno stimato che è attorno agli otto miliardi, solo per questo mese di attività andato perso. 

Oggi, alle 18, è fra l’altro indetto un flash mob che invita tutti i musicisti della nostra città ad affacciarsi alla finestra della propria casa e cantare e suonare tutti insieme. Un’iniziativa che vuole prima di tutto incoraggiare la popolazione ad andare avanti e che permetterà un ideale abbraccio “collettivo” da parte di chi – i musicisti, appunto – sono stati fra i primi a essere colpiti da questa incredibile situazione. Un mondo, va detto, privo di tutele, in cui la maggior parte dei professionisti non ha le stesse garanzie che hanno gli altri lavoratori e che, in tempi di crisi estrema come questa, è infatti il primo a pagarne le conseguenze. Si parlava, qualche giorno fa, di una decina di milioni il danno complessivo al settore Cultura, ma in realtà si tratta di una cifra destinata a crescere, e di molto, a causa del persistere di una situazione di cui si fa fatica a vedere la fine.

Stephanie Ghizzoni durante il suo “flash mob” in Piazza Bra

Di fatto è quello che ha denunciato anche la cantante Stephanie Ghizzoni con il suo flash mob di sabato scorso, 7 marzo, in piazza Bra, davanti a Palazzo Barbieri. Insieme ad alcuni altri musicisti che hanno accolto il suo invito, tutti a debita distanza, la band improvvisata ha cantato la celebre “Stand by me” e rivendicato, insieme ad alcuni cittadini che hanno aderito all’iniziativa, una situazione che per gli artisti sta diventando difficilissima da sostenere. «Non sono arrabbiata perché ci hanno tolto i concerti, com’è giusto che sia in questa situazione di emergenza, anche se è ovviamente per me e per chi fa il mio mestiere un danno enorme, ma perché in Italia il nostro lavoro ancora non è riconosciuto come tale» ci ha raccontato a cantante, ex frontwoman degli Alligator Nail e oggi splendida cantautrice e interprete straordinaria di Mia Martini, Lucio Dalla e tanti altri grandi artisti del recente passato. «Noi non siamo dei dopolavoristi o semplici hobbysti e abbiamo diritto ad essere riconosciuti alla pari di tutte le altre categorie lavorative. In realtà questa è una battaglia che stiamo portando avanti da molto tempo, perché abbiamo bisogno dei diritti minimi di tutti i lavoratori. Anche noi, d’altronde, paghiamo le bollette, abbiamo gli affitti da pagare e via dicendo. Il problema è la ripercussione a lungo termine. Anche ammesso che i locali riaprissero dopo il 3 aprile sarà poi vero che la gente verrà ancora a sentirci? Con il tempo forse si, ma per qualche tempo sarà difficile riempire i locali, che ovviamente saranno meno invogliati ad organizzare delle serate di musica. Insomma, l’ondata potrebbe essere più lunga del previsto e allora mi chiedo perché non istituire una cassa integrazione anche per chi fa arte?» 

Musicisti di strada

In Francia, in effetti, esistono già sussidi per la categoria degli artisti e anche i buskers (gli artisti di strada) vengono riconosciuti come assolutamente degni di tutele. Qui da noi la situazione è, come tutti sanno, diversa e ora la categoria ha deciso che è arrivato il momento di provare a farsi rispettare. «L’errore di base parte da noi artisti» commenta la Ghizzoni, facendo una sorta di mea culpa. «Siamo sempre stati per  nostra natura divisi: ognuno pensa al suo concerto, alla sua tourneé e in generale si tende a non pensare mai alla collettività.  Sarà di sicuro difficilissimo, ma vorrei provare a creare un’associazione di categoria, che comprenda cantanti, ballerini, musicisti, tecnici, titolari di  studi di registrazione e via dicendo. Questa situazione sanitaria rappresenta un evento eccezionale, ma nella normalità delle cose dobbiamo migliorare il nostro status. Tanti, è vero, lo fanno per hobby, ma chi lo fa di mestiere come noi deve essere tutelato in qualche modo.»

Alessandro Formenti (e i dipinti di Stephanie Ghizzoni, in un’immagine scattata al Cohen Pub)

Non è un caso se proprio su questo tema delle tutele si stia dirigendo l’iniziativa di alcune associazioni di musicisti in questo difficile periodo: «Abbiamo realizzato una petizione, che in poco tempo ha raccolto circa 30mila firme, con la quale si chiedono al Ministro dei Beni Culturali diritti e dignità dei lavoratori nel settore dello spettacolo», ci spiega Alessandro Formenti, musicista, promoter e responsabile eventi di Doc Servizi. «In questo momento non esiste una tutela precisa e ben normata per chi lavora in questo settore e con questa petizione vogliamo rivendicare l’esigenza di una regolamentazione. Il Ministro Franceschini ci ha risposto prontamente e siamo fiduciosi. Ricordiamo che dal primo momento in cui un musicista si esibisce paga i suoi contributi, ma se non raggiunge almeno le cento serate in un anno in realtà non gli vengono riconosciuti, a sua volta, i contributi. Riteniamo che questo sia ingiusto e si chiede pertanto di sbloccare questa legge in modo che i musicisti possano accedere, soprattutto in questo momento di particolare difficoltà, a questi fondi versati dagli artisti nell’ex ENPALS. Questo per rispondere immediatamente a un’esigenza concreta. Poi è ovvio che una volta superato questo momento di difficoltà sarà necessario instaurare un tavolo di lavoro con il Ministero per arrivare il prima possibile a una legge dedicata agli operatori dello spettacolo, affinché possano anche loro accedere agli stessi servizi degli altri lavoratori.» L’attuale situazione, dunque, ha in qualche modo solo accelerato un processo che era in atto già da diverso tempo. 

Alessandro Formenti con il suo contrabbasso

«Già verso la fine del 2019 avevamo portato avanti un’azione che si chiama “Moltiplica la Musica” – prosegue Formenti – anche per far emergere tutto quel “nero legale”, chiamiamolo così, a favore dei musicisti soprattutto nei piccoli locali. Su questo tema è stata fatta anche una statistica grazie alla collaborazione di ISTAT, SIAE e Agenzia delle Entrate e si parla di circa cinque miliardi di sommerso, una cifra enorme che si potrebbe invece immettere nel settore dell’arte e nello spettacolo, per promuoverla e difenderla con i dovuti mezzi.» Da una parte, quindi, c’è chi riesce a giustificare anche la propria attività come “lavorativa, essendo in regola con dei contratti, ma per molti artisti che avevano in programma delle serate non contrattualizzate (e quindi non pagate “in chiaro”) diventa più difficile giustificare le perdite. Molti artisti, insomma, si stanno rendendo conto che sono i primi che devono autotutelarsi. Una situazione, questa, che nella sua drammaticità potrebbe servire per aggregare chi opera nel settore dal punto di vista emotivo e cambiare l’immagine del musicista come colui che si diverte a fare la “cantata” nel locale e poco altro. In realtà sappiamo bene che non è così. Chi vive di musica è consapevole dei notevoli investimenti che ha dovuto fare, fra scuole di musica, strumentazione, registrazione di dischi, tour e via dicendo. Investimenti che spesso non vengono ripagati in toto e che nella maggior parte dei casi, anche abbinando l’insegnamento privato o presso le scuole di musica, porta al mero sostentamento, ben lontano dai fasti che solo pochissime rockstar possono permettersi. La passione e la volontà di portare avanti un progetto artistico, però, compensano spesso questi sacrifici. Stiamo parlando, d’altronde, di una categoria che contribuisce alla crescita culturale di un popolo e che porta avanti con mezzi spesso limitati la propria idea di Bellezza. Una categoria, infine, che (insieme a tutti gli operatori del settore Cultura) – quando ancora la situazione non appariva così grave come in queste ultime ore – ha dimostrato subito grande disponibilità e rispetto per le decisione prese, nonostante sia sembrato a tutti un po’ incongruente limitare da una parte teatri, cinema, concerti, etc. e lasciare invece tranquillamente aperti centri commerciali, ristoranti e bar. Un errore (forse) che, purtroppo, ora stiamo pagando a caro prezzo, anche se non è certamente questa la sede per analizzare quanto fatto dal Governo in queste ultime settimane, in una emergenza che è davvero senza precedenti e che sarebbe sicuramente risultata difficile da gestire per chiunque. Certo è che, ad esempio, anche chi si occupa di vendere i biglietti dei concerti si trova in grave difficoltà: chi lavora in questa particolare settore al momento non sa nemmeno se effettuare o meno le prevendite degli spettacoli in programma a partire dal 3 aprile e comunque, se anche fosse possibile, ovviamente non c’è nessuno che abbia il desiderio (o semplicemente l’idea) di comprarli, nemmeno per gli spettacoli in programma a luglio o nei mesi successivi, in attesa di capire come si evolverà la situazione.

Un’immagine del nuovo “The Factory – La Casa degli Artisti” a San Martino Buon Albergo

Anche chi gestisce i locali dove si suona dal vivo ha dovuto adeguarsi alla situazione. Un’attività, questa di promuovere la musica live, davvero meritoria e che se da un lato spesso sostiene l’attività di tutto il locale, dall’altra comporta rischi d’impresa di un certo peso. Un esempio in questo senso ci viene dal “The Factory”, la celebre “Casa degli Artisti” che poco più di un mese fa aveva inaugurato la nuova sede di San Martino Buon Albergo. Un evento che aveva coinvolto, per tre serate consecutive dal 9 all’11 febbraio, alcune straordinarie band e soprattutto centinaia e centinaia di appassionati di rock e musica in generale. Poi però, pochi giorni dopo l’inaugurazione, per decreto ministeriale l’attività è stata sospesa e la nuova sede (che aveva comportato tutti i costi di trasloco, rinnovo dei locali, avviamento e gestione) praticamente subito chiusa, mettendo in seria difficoltà i titolari del locale. «Se calcoliamo tutto abbiamo perso, per il momento, circa 11 eventi che oltre al mancato incasso significano anche non poter ripagarsi i voli, gli hotel e gli anticipi che avevamo già fatto per far arrivare qui a Verona alcune band internazionali» ci racconta, infatti, Bruce Turri, uno dei tre soci del The Factory. 

Bruce Turri con la sua inseparabile batteria

«Nessuno, d’altronde, poteva immaginarselo. Mille sacrifici per lavorare a questo progetto e poi subito arriva un’interruzione alla nostra attività che blocca tutto. Se fossimo stati aperti da alcuni anni probabilmente non avrebbe rappresentato un grosso problema chiudere per alcune settimane, ma in questo caso per noi la situazione è gravissima. Questa cosa, d’altronde, non si poteva prevedere né fermare. Giusto, sia chiaro, chiudere tutto, anche se il disagio più grande, e che non si può nascondere, è forse il modo in cui è stato gestito il tutto: non è possibile, secondo me, passare dal non ci sarà mai un problema al siamo pronti a risolvere qualsiasi problematica per poi proseguire con ci fermiamo una settimanano dai facciamo anche la prossima e arrivare infine alla chiusura di tutto un mese. Questa indecisione ha generato caos a livello organizzativo per noi, ma anche a livello di immagine per tutti. Il problema non è tanto quello di affrontare le difficoltà di oggi, ma è più che altro come affrontare quello che accadrà dopo, quando ci faranno riaprire. Noi ce l’abbiamo messa tutta, con i nostri sforzi e il nostro impegno, con la nostra piccola economia che fortunatamente avevamo da parte, ma onestamente chi può dire cosa accadrà dopo?» 

Carola Sarah Capocchia durante un concerto

Per aiutare i gestori del The Factory alcuni amici e musicisti hanno avviato una sorta di crowfunding in modo da sostenere le spese di  base, dall’affitto ai finanziamenti. Un piccolo gesto, che però infonde un po’ fiducia. «La comunità musicale in generale secondo me ha risposto bene» prosegue Turri, «con iniziative e non con problematiche. Hanno fatto si che questa iniziativa funzionasse e siamo arrivati all’obiettivo velocemente per salvare un’associazione che sono anni che si impegna sul territorio.» Ecco, forse da tutto questo possiamo trarne un messaggio positivo. La collaborazione stretta fra le varie realtà – associazioni, musicisti e anche spettatori e fruitori di musica – che sono in difficoltà può essere la chiave per ripartire. «All’inizio ci siamo trovati un po’ demoralizzati, ma poi ci siamo resi conto che non siamo soli” conclude Carola Sarah Capocchia, anche lei fra i soci del The Factory. «Siamo in contatto con il Kroen, con Doc Servizi e con altre associazioni e ci stiamo confrontando per far partire qualche iniziativa in comune. È bello trovare la porta aperta. Nella difficoltà si possono trovare sinergie che era più difficile trovare in precedenza. Ci stiamo unendo e se siamo fiduciosi, tutti insieme, ce la possiamo fare.»