Il Decreto Legge, 04/10/2018 n° 113, G.U. 03/12/2018, coordinato con la Legge di conversione 1 dicembre 2018, n. 132, non cessa di far discutere. Parliamo dei Decreti Sicurezza di salviniana memoria che, a distanza di molti mesi dalla loro controversa entrata in vigore, sempre più alimentano contrapposizioni anche ideologiche. Proviamo a comprendere come questa riforma stia oggi modificando il mondo dell’accoglienza analizzandone gli elementi innovativi e critici. 
Partendo dagli aspetti più formali, ma dal forte impatto etico, si può citare il fatto che la Legge, dalla sua entrata in vigore, abbia formalmente negato l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Nel nostro ordinamento tale iscrizione è da considerarsi per la persona come porta d’accesso a qualsiasi diritto. È pertanto scontato che, in merito, si siano aperti dibattiti estremamente vigorosi: la norma sembrava, e sembra, discriminatoria verso soggetti che, cittadini o non cittadini che saranno a seconda del successo della loro domanda di asilo, per forza di cose sono avviati ad una lunga dimora nel territorio italiano. Gli stessi Tribunali, dopo aver invocato i diritti costituzionali, hanno infatti smentito la Legge richiedendo ai Comuni l’iscrizione all’anagrafe dei soggetti in questione. Appaiono formalità legali agli occhi del cittadino, ma sono aspetti di grande rilevanza, specie nella regolarizzazione di chi può vantare contratti di lavoro in essere. 

Approfondendo i Decreti, si notano, però, altri due aspetti di forte valenza operativa. Il primo attiene alla contestata eliminazione della protezione umanitaria. Quale approccio aveva la Legge fino all’entrata in vigore dei suddetti Decreti? Dall’anno 1998 e fino al dicembre 2018, le norme prevedevano 3 livelli di protezione:

Il primo, adottato già dal 1951 dalla Convenzione di Ginevra e tutt’ora presente nell’ordinamento italiano, è quello del rifugiato, ovvero un richiedente asilo che provi un giustificato rischio di essere perseguitato per razza, religione, opinioni politiche, genere, orientamento sessuale e cittadinanza. Chi chiede, e ha chiesto negli anni, lo status di rifugiato è quindi una persona a rischio di persecuzione e per la quale si valuta l’accoglimento sul territorio appunto a tutela della sua incolumità fisica e psicologica. Il secondo livello è quello definito come protezione sussidiaria. L’istituto va a tutelare chi, pur in assenza dei requisiti per l’ottenimento dello status di rifugiato, può incorrere in un grave rischio e danno, qualora venga rimpatriato nel paese d’origine. Il caso negli anni ha riguardato in particolare i migranti provenienti da paesi in Guerra. Entrambi i livelli indicati sono ancora oggi in vigore su base internazionale e garantiscono alle persone che ne godono i medesimi diritti dei cittadini di uno stato. È quindi un livello di tutela molto forte a livello giuridico, non solo per la sua valenza anche fuori dai confini italiani.  Il livello invece abrogato dalla riforma del dicembre 2018 è quello della protezione umanitaria, istituto tipico del nostro ordinamento, sebbene sia presente in forme e denominazioni più meno simili anche in altri Stati. La protezione umanitaria trae origine dai principi della nostra Carta Costituzionale che prevede la tutela dei soggetti più vulnerabili e in condizioni di oggettiva difficoltà. Di fatto tale livello di protezione è stato utilizzato come alternativa meno forte rispetto ai primi due livelli, seppur non residuale. Da sempre è stato denotato da eccessivi elementi di discrezionalità: affidando alle diverse Commissioni Territoriali (organi deputati a valutare le richieste di asilo) prima e ai giudici poi, ogni responsabilità valutativa e decisionale, si creava un problema di iniquità tra una Commissione e l’altra e tra un Tribunale e l’altro. D’altra parte, occorre riconoscere che negli anni la protezione umanitaria abbia permesso di assistere tutte quelle le persone di difficile gestione mantenendole in uno stato di visibilità e controllo, rispetto al più pericoloso oblio della clandestinità. 

Attività religiose in corso in un CAS

E ora invece? Con l’abrogazione della protezione umanitaria si sono creati svariati problemi. Il primo tra tutti riguarda quei soggetti a cui la protezione umanitaria, per natura rinnovabile, è andata, o sta andando, in scadenza. Conseguenza immediata è la clandestinità. In secondo luogo, la protezione umanitaria poteva convertirsi in permesso di lavoro, a favore di chi nei fatti si stava inserendo in modo reale. Oggi questo non è più possibile, con la conseguenza che anche lavoratori assunti sul territorio italiano possono diventare clandestini. Va detto che la protezione umanitaria è stata sostituita da una serie di permessi che prevedono una “protezione speciale”, regolando casistiche particolari (ad esempio i soggetti vittime di violenza domestica o di particolare sfruttamento lavorativo) e marginali. Non solo, chi entra in regime di “protezione speciale”, non potrà mai avviarsi ad un percorso di integrazione in quanto la Legge prevede che essa non sia convertibile e, prima o poi, per ogni soggetto scadrà. Di fatto, per i soggetti in protezione speciale non c’è un percorso individuato che porti alla regolarizzazione e quindi alla loro scadenza c’è inevitabilmente la clandestinità o l’espulsione. Non era così con la protezione umanitaria.
In sintesi, gli effetti dei Decreti Sicurezza, già tangibili nei numeri forniti dal Ministero degli Interni, sono l’aumento di soggetti clandestini e quindi non controllabili, destinati a non integrarsi e con alte probabilità di delinquere. Risultato che, a parole, la Legge avrebbe viceversa dovuto contrastare. 

L’altro punto rilevante, e molto discutibile dei Decreti Sicurezza, riguarda la riduzione dei contributi giornalieri destinati all’accoglienza. Se prima della riforma un Ente Gestore impegnato nell’accoglienza migranti riceveva un corrispettivo di 35 euro al giorno per richiedente asilo, dopo l’intervento legislativo la cifra è stata tagliata di circa il 50%. Risulta difficile comprendere come uno Stato che intenda affrontare e, per quanto possibile risolvere, la questione migranti, decida di dimezzare i fondi per la gestione degli arrivi e ponga in essere provvedimenti a favore dell’aumento della clandestinità. E tutto questo proprio in un momento in cui gli sbarchi stavano diminuendo considerevolmente, per giunta avvalendosi di un Decreto Legge, strumento per sua natura riservato a materie di manifesta necessità e urgenza. Molte delle risposte a questi interrogativi ci provengono direttamente dall’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini che, compiacendosi per l’avvenuta approvazione dei Decreti, sentenziò: «Chi vedeva l’immigrazione come una mangiatoia oggi è a dieta. Molti finti volontari non parteciperanno più a bandi, perché se invece di 35 euro ne porti a casa 19 non ci mangi più. E non ci mangia più né la mafia né la ‘ndrangheta. Ma rimarranno volontari veri e sono convinto che molte cooperative si daranno alla macchia.»
È evidente che questa intervista rappresenta, anche nei toni, l’essenza di una narrazione politica ed elettorale che, allo stato attuale delle cose, va sconfessata con fermezza. La vera innovazione di questa riforma risiede, infatti, nella trasformazione del ruolo degli Enti Gestori, diventati meri albergatori, erogatori di servizi di vitto e alloggio, di una minima informativa legale e di mediazione linguistica per pratiche essenziali. Vengono così abbattuti in un colpo solo tutti i servizi per l’integrazione e, quel che più dovrebbe preoccupare la collettività, di tutela sanitaria. La gestione sanitaria dei migranti, infatti, dal dicembre 2018, ricade sulla collettività, pur nel silenzio della critica. I Decreti Sicurezza non si scagliano dunque contro chi si ciba alla cosiddetta “mangiatoia”, per utilizzare le parole di Matteo Salvini, visto che di fatto quelli ci sono e continueranno ad operare nel settore . La riforma è invece il motore di un cambio di rotta scientifico, fortemente voluto a livello politico, volto a eliminare ogni percorso di integrazione dei migranti. Se si considera che il tempo medio di accoglimento di una domanda di asilo è di circa due o tre anni, si capisce come la Ratio della Legge sia quella di tergiversare, invece di accogliere e integrare. La lungimiranza va dunque ricercata altrove. 

I tifosi della squadra locale Virtus: molti di essi sono migranti. Un possibile esempio di percorso di integrazione

Gli effetti di tali misure si vedranno a breve, ma per gli operatori del settore le difficoltà si sono già verificate subito, quotidianamente, fin dall’entrata in vigore della Legge. Nel frattempo, le ultime stime prevedono un’esplosione del numero dei clandestini sul territorio italiano entro la fine del 2020. Parliamo di 700.000 persone, impossibili da espellere in tempi ragionevoli, di cui non conosceremo dimora, condizione sanitaria, capacità di generare reddito (esclusivamente in nero), spostamenti, propensione alla delinquenza, adesione ad organizzazioni criminali e quant’altro. E quindi la domanda che ci poniamo è: al dispetto del nome del decreto, oggi siamo davvero tutti più sicuri?