La riforma del processo penale sta infiammando e dividendo la politica e rischia di far cadere il Governo. Il motivo del contendere, soprattutto, è l’eliminazione della prescrizione. Le critiche sono piovute trasversalmente sia dall’opposizione, con Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, sia dal Pd e da Italia Viva. In parole povere, il timore, per tutti, è che togliere la prescrizione, invece di snellire i processi, li faccia diventare infiniti. 
Totale disappunto è arrivato anche da Giovanni Mammone, il primo presidente della Corte Suprema di Cassazione, che, durante la cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario, nel Palazzo di giustizia a Roma, – presenti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede – ha espresso il timore che la riforma possa portare a un «significativo incremento del carico penale per via del venir meno delle prescrizioni che maturano in appello, circa 20-25mila processi l’anno, (vicino al 50%) che difficilmente potrebbe essere trattato… risulta pertanto necessario porre allo studio e attuare le più opportune soluzioni normative strutturali e organizzative tali da scongiurare la prevedibile crisi». Non solo la Magistratura ha preso posizione ma anche gli avvocati penalisti, le cui proteste sono state compatte in tutta Italia.

Palazzo Chigi, sede del Governo

Ma cos’è la prescrizione? Come descrive l’articolo 157 del Codice Penale, la prescrizione «estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale». In pratica, un illecito penale non può più essere punito se è trascorso un certo periodo di tempo, stabilito dalla legge, dalla sua commissione. Questo istituto è stato introdotto per diverse esigenze come l’inopportunità e l’inutilità di condannare persone che sono nel frattempo cambiate rispetto a quando hanno commesso l’illecito, per garantire il giusto processo e la sua ragionevole durata. 
Di giudizio opposto, invece, è il testo del guardasigilli Bonafede, la cui riforma, entrata in vigore dal primo gennaio di quest’anno, come dicevamo, prevede la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, sia in caso di assoluzione sia in caso di condanna. La ratio, secondo Bonafede, è quella di porre fine all’utilizzo della prescrizione come un diritto all’impunità per coloro che, attraverso il sapiente uso della macchina giudiziaria da parte degli avvocati difensori – richieste di rimessione e ricusazione, presentazione di cavilli su cavilli, manovre dilatorie – riescono a far passare i termini e raggiungere il traguardo dell’impossibilità di essere giudicati e di conseguenza essere “assolti”. 

L’avvocato Federico Lugoboni

Per comprendere meglio il nodo della questione, abbiamo chiesto il parere di un esperto, l’avvocato Federico Lugoboni, già presidente della Camera Penale Veronese e membro dell’Osservatorio comunicazione dell’Unione delle Camere penali italiane. 

Prima della riforma Bonafede cosa diceva il testo sulla prescrizione?
«La riforma Orlando, in vigore fino al 31 dicembre 2019, prevedeva una sospensione dei termini di prescrizione di un anno e sei mesi tra la sentenza di Primo grado e l’Appello (secondo grado di giudizio) e sempre per lo stesso lasso di tempo tra la sentenza di Appello e quella della Cassazione (terzo e ultimo grado di giudizio). Per un totale di tre anni.» 

Perché, secondo lei, è importante la prescrizione?
«Diciamo che per noi avvocati penalisti è importante che il processo abbia una ragionevole durata, come stabilisce l’art. 111 della Costituzione. La prescrizione è un istituto strettamente correlato con il principio della ragionevole durata della processo, un rimedio che lo Stato prevede per impedire che il cittadino rimanga sotto la spada di Damocle della giustizia penale per un tempo indeterminato.»

Cosa significa che il reato è prescritto?
«Significa semplicemente che è trascorso un tempo superiore a quello ritenuto necessario dalla legge per accertare se un reato è stato commesso o se l’imputato lo ha commesso.»

E quali sono gli effetti di un reato prescritto?
«Che non si può accertare la responsabilità dell’imputato, in ordine al reato contestato e dichiarato prescritto, a meno che l’imputato non voglia rinunciare alla prescrizione.» 

Quindi la prescrizione potrebbe essere, come tanti sostengono, un’arma in mano agli avvocati difensori per i rinvii delatori…
«Non è così. Perché ogni rinvio richiesto dall’avvocato comporta la sospensione dei termini di prescrizione, salvo casi eccezionali.»

Che cosa succede con la riforma Bonafede?
«Dopo la sentenza di primo grado i termini di prescrizione sono sospesi. Si tratta di un’abolizione sostanziale dell’istituto: una volta pronunciata la sentenza di primo grado la prescrizione non decorre più sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione.»

Si corre il rischio che i processi in Corte d’appello vengano fissati dopo anni.
«La settimana scorsa il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che apporterebbe, se dovesse entrare in vigore, alcune modifiche alla disciplina della prescrizione distinguendo tra imputati condannati in primo grado, per i quali la prescrizione viene sospesa, e imputati assolti, per i quali invece continua a decorrere con la possibilità per questi, in secondo grado, di recuperare il decorso del tempo della prescrizione nel caso in cui venisse proposto ricorso in Cassazione da parte del pubblico ministero.
Si tratta di una norma farraginosa e simile a un rebus della “Settimana enigmistica”, che non risolverebbe in ogni caso il problema della ragionevole durata soprattutto per gli imputati condannati, i cui processi per assurdo potrebbe essere messi in coda e chiamati dopo quelli a carico degli imputati assolti nel caso di appello proposto dal pubblico ministero.»

Tornando alla riforma in vigore attualmente, quale sarebbe il fine?
«Credo che l’obiettivo della riforma sia la diminuzione degli appelli. In realtà non sarà così perché se mi ritengo un innocente ed è stata emessa sentenza di condanna io faccio appello. Se ritengo che io sia stato condannato per un reato che ha una qualificazione giuridica che non condivido, procederò con l’appello. Se vengo condannato con una pena che ritengo sproporzionata, vado in appello per ottenere una pena più mite. Non è vero quindi che ci saranno meno appelli. C’è un problema di fondo: il cittadino imputato in un processo si troverà in una sorta di “ergastolo processuale”, perché il processo sarà infinito. Se non decorre la prescrizione, infatti, la Corte d’appello potrà fissare il processo quando meglio lo ritiene. Non vi è più un tempo massimo da rispettare.» 

Il ministro Bonafede e il Premier Conte

Queste conseguenze non ricadono solo sull’imputato ma anche sulla persona offesa. 
«Basti pensare, per esempio a una vittima di violenza sessuale o di maltrattamenti: potrà dover attendere tempi infiniti prima che le venga riconosciuta la sua pretesa di giustizia. In ogni caso, la riforma della prescrizione è inutile sotto un altro aspetto: nei reati di medio allarme sociale i tempi di prescrizione non sono inferiori a 15 anni. E per alcuni, come la violenza sessuale, i termini arrivano a 33 anni. Che senso ha sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado? Nessuno. Anche perché Il 75 per cento delle prescrizioni avviene in Primo grado e non in Appello,  addirittura più del 50 per cento in fase di indagini o davanti al giudice per le indagini, dove gli avvocati hanno un ruolo assolutamente marginale.»

La macchina giudiziaria, comunque, così com’è è un carrozzone che si muove lento.
«Le unioni delle Camere penali sono certamente a favore di una riforma che riduca i tempi del processo e che quindi assicuri una ragionevole durata dello stesso. Ma non è con il testo di Bonafede che si può attuare. 
Servono maggiori investimenti per l’incremento del personale amministrativo e dei magistrati. Per esempio, a Verona c’è una grave di carenza di giudici soprattutto in tribunale e i processi vengono rinviati. 
Le riforme devono riguardare soprattutto la fase delle indagini preliminari garantendo maggiori risorse alle Procure anche in termini di personale da impiegare nelle indagini. Si rende inoltre necessaria una forte depenalizzazione: in Italia ci sono tanti, troppi reati, soprattutto contravvenzioni, che devono essere depenalizzati. Da noi si assiste al fenomeno del “panpenalismo”: si introducono troppi reati o si aumentano le pene per i reati già puniti gravemente. Non vi è dubbio che alcuni nuovi reati dovevano essere introdotti, si pensi ad esempio al reato di atti persecutori, anche se è sempre più necessario investire sulla prevenzione.»

Con l’abolizione della prescrizione ci sono anche ripercussioni nella vita di tutti i giorni per gli imputati, sebbene assolti in primo grado, ma in attesa di giudizio di secondo grado. 
«Pensiamo a un ragazzo processato in primo grado e assolto. Il pubblico ministero – è nel suo diritto – propone appello. Questo giovane, nel frattempo, vuole iscriversi a un concorso o a una gara pubblica. Gli verrà chiesto se ha procedimenti penali pendenti. Quella pendenza non gli permetterà di partecipare alla gara. E non vi sono tempistiche certe. Oppure pensiamo a chi dovrà scontare una pena anche dopo 10-15 anni dalla commissione dei fatti: nel frattempo sarà diventato una persona diversa, magari con una famiglia e con un lavoro. In barba alla funzione rieducativa della pena.»

Una riforma è comunque necessaria.
«Come ho evidenziato, l’Avvocatura, l’Accademia e un parte significativa della Magistratura muovono una forte critica a questa riforma perché non risolve il problema della ragionevole durata del processo, anzi ne farà dilatare i tempi. Il carico di lavoro delle corti d’Appello aumenterà perché i processi si accumuleranno. Il processo dura tanto per i problemi che abbiamo prima analizzato: mancanza di risorse, di personale amministrativo e di giudici e troppi reati. È necessaria l’informatizzazione del processo penale. In altre parole è fondamentale intervenire strutturalmente sulla Giustizia con una riforma seria che sfugga ai richiami del più bieco populismo giudiziario. Perché la giustizia penale è altro. E la politica deve ascoltare con più attenzione chi, magistrato, avvocato e cancelliere che, ogni giorno va in udienza e si trova di fronte ai problemi concreti della giustizia.»