Chiamale coincidenze. Ma il destino ha voluto che l’evento di martedì sera de “Il Nazionale” sulla cultura, al Calmiere, sia capitato nel giorno della morte di un simbolo proprio della cultura veronese, Roberto Puliero.
Puliero a cui, mi auguro, non ci si limiti a dedicare banalmente una via o la tribuna stampa dello stadio, ma si possa utilizzare il suo nome anche per qualcosa di vivo. Penso per esempio a una fondazione indipendente (com’era lui) che funga da promotrice di cultura (non solo nel campo teatrale ma anche editoriale e ludico). Credo ne sarebbe contento.
Quanto all’evento. Ottimo il successo di pubblico e il coordinamento di Ernesto Kieffer, entusiasta aggregatore di “cose” veronesi. Hanno illustrato le loro idee sulla cultura e la città Tommaso Ferrari di Traguardi, Fabio Venturi di Generazione Verona, Elisa La Paglia del Partito Democratico, Alessandro Gennari del Movimento 5 Stelle, Andrea Bacciga di Battiti e Andrea Velardi della Lega.


Tra molti ottimi spunti, purtroppo non ci si è focalizzati a dovere sull’Università, che nelle vicine città medie (Bologna) e piccole (Trento) è l’attore sociale che (direttamente o indirettamente) crea cultura mediante radicamento, fondazioni e budget. A Verona l’Università ancora oggi si limita a svolgere (ottimamente) la sua funzione accademica, come fosse esclusivamente un mero strumento didattico e non un collettore sociale più o meno spontaneo di cultura. Scrivevo a suo tempo: «Verona è una città con l’Università, ma non è una città universitaria». Si dovrebbe partire da questo ragionamento.

Altro appunto: ho sentito dire da alcuni ospiti che «è la politica che deve creare cultura». Una manifestazione di buona volontà, non c’è dubbio. Ma involontariamente pericolosa. Non credo che sia la politica a dovere creare cultura (come non è la politica a dover creare ricchezza): la politica, semmai, deve operare per liberare le naturali energie del territorio, permettere loro di esprimersi. Lo cantava già Franco Battiato in Up Patriots to Arms: «Mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura…». Era il 1980. Spesso, anche sui giornali, il dibattito si focalizza sulla presenza o meno di un Assessore alla Cultura. La prospettiva insomma parte dal Palazzo, mai invece dal tessuto urbano. Ma ogni casa si costruisce dalle fondamenta e non dal tetto. Sarebbe meglio guardare in basso e non in alto.