È ormai assodato che l’impatto di una Hard Brexit sull’economia britannica sarà pesantissimo. Ma vale la pena soffermarsi anche sull’altra faccia del “divorzio” tra Londra e Bruxelles, ossia l’effetto che avrà un “no deal” sui Paesi che intrattengono relazioni economiche con il Regno Unito.

In caso di mancato accordo, infatti, gli scambi commerciali tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea seguirebbero le regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio e sui prodotti esportati verso il mercato britannico piomberebbe di colpo una serie di dazi. Per esempio le auto e i loro componenti sarebbero tassati al 10 per cento, l’abbigliamento all’11 per cento e l’agroalimentare al 13 per cento. Per non parlare dell’aumento dei costi “non tariffari” dell’export: burocrazia, divieti e limitazioni varie, ritardi doganali e così via.

La Camera di Commercio di Verona

Insomma, tutte le nazioni che vendono prodotti agli inglesi vedrebbero interi settori della loro economia colpiti da una caduta di fatturato e, verosimilmente, da una conseguente riduzione dell’occupazione. Non farà eccezione l’Italia, e Verona nemmeno.

Stando ai dati della nostra Camera di Commercio, il Regno Unito è il terzo interlocutore del commercio estero veronese, dunque per la provincia scaligera rappresenta un importante terreno dove giocare la partita dell’internazionalizzazione. Nel 2018 le nostre esportazioni verso Londra hanno occupato una fetta parti al 6,2 per cento del totale generando un volume d’affari di oltre 708 milioni di euro, in crescita dell’1,4 per cento rispetto al 2017. Nel primo semestre del 2019 l’export ha toccato quota 372 milioni di euro, “contro” i 324 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente. 

Un’immagine simbolo della Brexit

La Gran Bretagna è il secondo Paese di destinazione del vino veronese, dopo la Germania. Alla Brexit ha «brindato» soprattutto l’Amarone: nel 2018 il suo valore è balzato in avanti del 15 per cento, quasi gli inglesi volessero fare scorta in previsione di un eventuale contraccolpo. Complessivamente il mercato delle bevande, che corrisponde al 22,6 per cento dell’export totale, ha fruttato a Verona 160 milioni di euro (+1,4 per cento rispetto al 2017). Ma nel 2018 sono partiti per Londra anche capi d’abbigliamento del made in Italy (65milioni, + 37 per cento rispetto al 2017), autoveicoli (40 milioni, + 12 per cento), prodotti del comparto agroalimentare – principalmente carne lavorata e prodotti a base di carne – e marmo. Di contro, dal Regno Unito abbiamo importato calzature, abbigliamento, strumenti medici e dentistici, medicinali e preparati farmaceutici per un totale di 123 milioni, in calo dell’uno per cento rispetto al 2017.

Turisti a Verona, estate 2019 (Foto di Osvaldo Arpaia)

Anche il mercato turistico subirebbe gli effetti di una Brexit senza accordo. Anzi, la svalutazione della sterlina potrebbe condizionarlo non poco, se per i sudditi di Sua Maestà le ferie nel sud Europa non saranno più low cost. E le imprese rivierasche del comparto, che a seguito del fallimento del grande tour operator Thomas Cook si sono ritrovate con notevoli buchi di bilancio, sanno bene che significa una flessione dei flussi di visitatori inglesi. Sulla sponda veronese del Garda, ma anche in città arrivano centinaia di migliaia di cittadini inglesi: il Regno Unito è la terza nazione più rappresentata per numero di presenze, parti al 7 per cento del totale. Nel 2018 hanno attraversato la Manica, dirette a Verona, più di 949 mila persone. Erano state 941 mila nel 2017.