Possiamo salvare il mondo prima di cena è l’ultimo lavoro di Jonathan Safran Foer e tratta una tematica di estrema attualità: i cambiamenti climatici. 

Nato a Washington nel 1977, lo scrittore vive a New York. Ha esordito a 25 anni con Ogni cosa è illuminata (2002), bestseller internazionale e vincitore del “National Jewish Book Award” e del “Guardian First Book Award”; ugualmente fortunato il secondo romanzo, Molto forte, incredibilmente vicino (2005); da entrambi i libri sono stati tratti film di successo. Nel 2010 è uscito il suo saggio-reportage sull’ambiente Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?, mentre l’ultimo romanzo, Eccomi, del 2016, è stato scelto come miglior libro dell’anno dalla giuria della “Lettura-Corriere della Sera”. Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Guanda.

Jonathan Safran Foer

Con Possiamo Salvare il mondo prima di cena Foer, in realtà, riserva solo un capitolo alla tematica ambientale fornendoci una dissertazione tecnica ed esplorativa (documentata con approfondimenti di libri, saggi di esperti, articoli, relazioni ecc.) in merito all’impatto negativo e distruttivo degli allevamenti intensivi sull’ambiente e delle condizioni crudeli nelle quali gli animali vengono allevati. Lo scrittore afferma la necessità per tutti di mangiare meno carne per salvare il pianeta o almeno impegnarsi a farlo prima di cena, da qui l’ispirazione al titolo del libro.

Per il resto del saggio Foer – insistendo comunque per tutta l’esposizione sulla totale eliminazione dei cibi di origine animale, quantomeno fino a prima di cena, come essenziale azione quotidiana per la risoluzione del problema ambientale – accompagna il lettore in una dettagliata analisi riguardo alla comune percezione della questione climatica, ossia la difficoltà delle persone di credere effettivamente alla sua gravità nonostante la consapevolezza della sua esistenza.

Con una scrittura molto chiara e scorrevole l’autore dà vita a una approfondita indagine in ordine ai diversi motivi per cui la coscienza comune, nell’interfacciarsi con la tematica dei mutamenti del clima e in particolare con le conseguenze che ne derivano, tenga un atteggiamento non di allarme ma di distacco.

Prendendo spunto da ricordi personali ed episodi storici espone la sua tesi per cui il problema della poca attenzione generale alla tematica ambientale è da attribuirsi a diversi motivi: non è una storia d’impatto; nessuno ci crede fino in fondo; non comporta nessun coinvolgimento emotivo.

Per quanto riguarda la prima motivazione Foer esemplifica narrando al lettore la storia di Claudette Colvin, la prima donna di colore che nel periodo della segregazione fu arrestata per essersi rifiutata di cambiare posto a sedere sull’autobus. Il punto, spiega Foer, è che questo primato di ribellione nessuno lo associa a Claudette Colvin bensì a Rosa Parks, altra donna di colore, che si comportò nello stesso modo solo sei mesi dopo.
L’autore imputa l’attenzione solo sulla Parks poiché la Colvin non era una personaggio tale per diventare l’eroina di un movimento attivista (sedicenne, incinta di un uomo più grande e ragazza con una personalità instabile) mentre Rosa Parks era più adatta per catturare l’interesse comune stante il fatto che era una persona irreprensibile e solida attivista a tutela dei diritti dei neri. Quindi a parità di situazione la storia che si rivela più d’impatto coinvolgeva la massa a dispetto di un contesto meno appetibile.

Stessa cosa succede oggi per la questione ambientale che, come spiega Foer, non è una buona storia, anzi, al contrario, il clima probabilmente è l’argomento più noioso che il mondo scientifico si sia mai trovato a presentare al pubblico. Questa tesi viene spigata sia con aneddoti storici sia con ricordi personali. Rispetto a questi ultimi Foer parla della nonna ebrea scappata dalla Polonia prima che arrivassero i nazisti. Tutti in famiglia sapevano quale pericolo fosse Hitler, ma solo lei scelse di fare qualcosa, di credere fino in fondo a ciò che tutti sapevano ma che nessuno accettava. E fu l’unica a salvarsi.

La lista delle cose che l’autore vuole attuare per contribuire alla causa ambientale

La medesima cosa accade per il problema ambientale ognuno di noi è a conoscenza, ancorché nebulosa, della gravità della questione ma nessuno agisce in modo radicale nella propria piccola realtà per supportarne la risoluzione. Nel prosieguo del racconto l’autore ci espone poi la terza motivazione interrogandosi sui perché della mancanza di empatia nei confronti del problema ambientale. Foer, quindi, enuncia la sua tesi secondo cui tale comportamento è addebitabile al fatto che la gente sente la questione lontana dalla propria realtà, una lontananza che invece non si percepirebbe se le persone considerassero il problema ambientale non con distacco ma come un vero e proprio problema personale.

Senza farsi autore di soluzioni a buon mercato, Foer racconta quanto gli esseri umani, incluso lui, facciano fatica a rimanere invischiati in cose di cui sono toccati personalmente nonostante la presa di coscienza di un problema che esiste ma che sembra difficile da accettare fino a prendersene carico personalmente.

Senza parole ridondanti, o chissà quali tesi di saggia autorevolezza regala al lettore un quadro ben chiaro della situazione consegnando esempi storici o scientifici e anche ricordi di episodi personali dove la debolezza umana emerge prepotentemente.

Il lettore non si troverà di certo di fronte un trattato tecnico o specialistico sulla tematica del surriscaldamento globale, o i problemi ambientali ma si troverà a confrontarsi con  interrogativi più o meno grandi sul suo modo di atteggiarsi davanti alla questione climatica.
L’unica questione che viene rimarcata, ma sostenuta da puntuali ricerche, dettagliata documentazione e approfonditi studi è l’impatto negativo sull’ambiente degli allevamenti industriali. In tale contesto Foer invita il lettore a togliere il cibo di origine animale dalla propria dieta, assicurando  che questa azione sarebbe di importante supporto alla salvaguardia dell’ambiente.

Al di là di questo, l’ autore,  non ci dà delle soluzioni certe ma ci fa riflettere sul nostro modo di affrontare la crisi climatica senza tuttavia farsi artefice di verità assolute o prese di posizioni rigide anzi, al contrario, mettendosi sempre in discussione.

Alla fine ciò che emerge da questo testo e che vuole comunicarci l’autore è l’indispensabile realizzazione di un’azione collettiva concepita da azioni individuali costanti e quotidiane. Solo così si aiuterebbe il nostro pianeta a proteggersi.

«Per poter contribuire alla creazione del mondo, anziché alla sua distruzione, un individuo deve agire a beneficio della collettività. L’umanità fa i grandi passi quando gli individui fanno i piccoli passi.»