Suscita reazioni forti e variegate la notizia della decisione di un sindaco veneto di introdurre nel regolamento comunale un’ammenda di 400 euro per chi bestemmia. Qualcuno ha sottolineato come non sembri sicuramente un caso che il comune si chiama Saonara visto che (a beneficio dei lettori extraterritoriali) in veronese, el saòn, oltre che il banale sapone è anche il sapientone della compagnia, quello che ai nostri tempi viene chiamato tuttologo – e con la stessa vena sarcastica. Il sindaco sig. Stefan vuole ripulire il suo territorio dalle brutture di ogni tipo, non sembra amare il colore, né sull’incarnato dei residenti e nemmeno a parole.

Considerati il clamore di tale notizia, l’eco mediatica che ha ottenuto e non ultimo il peso specifico della questione in tempi di bilanci comunali dissestati e risanabili con due giri di briscola, anche il sindaco di Verona, sig. Sboarina, ha colto l’occasione – supportato dal comandante della Polizia Locale, sig. Altamura – per ricordare ai veronesi che il rischio di multa è reale e incombente, che la bestemmia è simbolo di grettezza e soprattutto che la tipologia di reato esiste, non serve modificare il regolamento comunale, basta solo applicare la legge. La legge, quel concetto astratto e spesso astruso che è spesso seguito da numeretti date e abbreviazioni latine.

Ecco che il veronese medio, dopo aver scoperto su Gugol che gretto non è il maschile di Greta, è andato a spulciare quali sono le norme che regolano la bestemmia, trovando delle vere chicche. La bestemmia, così come qualunque oltraggio alla divinità, viene punita ai sensi dell’art. 724 del Codice Penale, ancora applicabile, anche se dal 1999 il reato è depenalizzato a illecito amministrativo. Il sig. Gino commenta con una delle sue coloratissime blasfemie il fatto che in Italia si va in galera se si “tira un porco” ma non se si rubano milioni di euro. Viene calmato dai compagni di briscola con parole suadenti e qualche condimento aggiuntivo, che sennò il sig. Gino capisce male.

Continuando a scorrere si scopre poi che la bestemmia è intesa solo come insulto verso una divinità, arrivando al paradosso incomprensibile – almeno al bar Sport – di includere Krishna e Allah ma lasciando fuori dall’ambito di giusta punizione sia la Madonna che tutti i Santi, esseri umani e non divini. La dialettica intorno al tavolo si accende, volano parolone e sfide, con accompagnamento di pugno sul tavolo, a far la spia dai vigili. Il veronese medio, che per la Madonna, la mamma per antonomasia, ha sempre fatto volentieri una rispettosa eccezione, si trova nella scomoda posizione di dover scegliere tra insultare proprio la figura più gentile e amorevole di tutto il libro o cacciare i 300 euro.

All’unanimità viene deciso che la legge non è uguale per tutti, neanche per i santi. Si arriva a chiamare in causa la libertà di espressione, nientemeno che la Convenzione per i diritti dell’uomo e il Consiglio Europeo, che ha più volte invitato i paesi membri a cancellare dal proprio ordinamento le norme sul reato di blasfemia, ponendo l’accento sull’uso ormai divenuto colloquiale – pur se di dubbio gusto – inteso più ad esprimere una propria emozione che un crimine di incitamento all’odio religioso. In questo senso va anche una ricerca, condotta qualche anno fa dalla Stanford University, sulla relazione tra Profanity (le parolacce in genere, ma di un certo peso specifico) e Honesty (no, non si parla di famoso brano di Billy Joel e nemmeno dei pentastellini). Lo studio evidenziò come la stragrande maggioranza delle persone utilizzino in effetti le imprecazioni per alleviare o esprimere una sensazione propria, sia essa un fastidio o una tristezza, o piacevole, come una sorpresa. Viene inoltre associato a chi non si frena nell’esternazione, neanche davanti al superamento dei limiti legali di decenza, una maggiore propensione alla schiettezza, alla sincerità; una sorta di pregio camuffato da difetto. Si arriva perfino a dire che usare parole sconce aiuterebbe nella carriera lavorativa, riportando gli esempi tristissimi di Donald Trump e Boris Johnson (ci sono altri nomi, converrete, ma la ricerca è americana, riportata dal Financial Times, quindi meglio limitarsi fatti). La notizia viene accolta dai giocatori di carte con giubilo lievemente blasfemo, ma sussurrato, e viene ordinato un altro litro per festeggiare l’evento. Se lo dicono a Stanford, che ci hanno i compiuteri e i siensiati, deve essere vero. Siamo noi i veri onesti: se chiamiamo Dio a testimone di tutto è perché non abbiamo niente da nascondere. Altro che reato!

La percezione del turpiloquio in genere, e delle bestemmie in particolare, cambia da posto a posto e nel tempo. Escludendo per un momento Veneto e Toscana (che, grazie a questa novità, mentre scriviamo hanno raggiunto il PIL di Giappone e Finlandia rispettivamente), è indubbio che in tutta Italia – così come nel resto d’Europa – i costumi si siano rilassati e non poco dagli anni 30 in cui fu promulgata la norma originaria. Ogni epoca ha coniato le proprie parolacce, si sono ammodernati aggettivi ed epiteti, proprio come avvenuto per il comune linguaggio. Nel caso specifico però ogni era geologica si è stratificata alla precedente e il repertorio, sia strettamente anti-divinità che semplice “bad language”, si è ampliato e continua a crescere come una inarrestabile galassia. Inarrestabile, finora. Ora i vigili regoleranno il traffico con l’orecchio attento alle parole, oltre che alle azioni, di automobilisti e passanti; la polizia locale sarà pronta a intervenire in assetto anti-sommossa in qualunque luogo sia in atto una partita di bocce. Ma ci fermeranno? Ho il sospetto che proprio a Verona, città divisa anche sui tipi di carne da mettere nel lesso, potrebbe nascere una nuova forma di Resistenza, pacifica ma molto rumorosa, la Carboneria della Grettezza Urbana. I veronesi useranno la loro proverbiale pazzia per coniare nuove incredibili blasfemie, così ben camuffate da confondere qualsiasi controllore dell’ordine cittadino, e si costituirebbero comitati spontanei per individuare i delatori e mostrare loro come l’invocazione dei santi abbia effettivo potere lenitivo dalle bastonate.

Si scherza ovviamente, da quei matti che siamo. La bestemmia disonora discrimina e viene punita dalla legge. È brutta da sentire a tutte le età, poco importa se dalle nostre parti ha perso il suo significato originario a favore di una sorta di punteggiatura alternativa, utilizzabile sempre con le mille sfumature date da intonazione e collocazione nella frase. Scherziamo perché fa caldo ma fa sorridere un po’ meno pensare che la legge italiana si prenda tanta cura di preservare – a suon di denari – l’onore di “personalità” di cui non è nemmeno accertabile l’esistenza e sia, al tempo stesso, lacunosa nel difendere gli individui reali e tangibili. Insufficiente con le brave persone, gli onesti cittadini, la cui libertà e pazienza viene abusata giornalmente; comoda per i cattivi, pronti a cogliere i grandi buchi nella rete per passarla liscia. Ecco, questo pensiero al baretto forse non l’hanno fatto, altrimenti la ridda di rosari e religiosità sarebbe esplosa incontenibile, con grave spreco di pensioni minime e qualche lesione occipitale da mattarello in serata.