L’affondamento del Titanic avvenuto il 15 aprile del 1912, è stato visto come un evento liminare nella storia dell’Umanità. La nave considerata la summa del sapere tecnologico dell’epoca che si inabissò dopo essersi scontrata con un iceberg fu vista a posteriori come la metafora dell’eclissi dell’hybris tecnologica occidentale nei confronti del dominio della Natura. Questo per la narrazione mainstream. In realtà l’occidente ipertecnologizzato non ci ha mai creduto fino in fondo. O forse non ci ha mai creduto per nulla. Fino ad oggi il dominio tecnologico dell’uomo sul pianeta terra si è dispiegato in un crescendo di geometrica potenza rendendo possibili cose che fino ad oggi erano state solo immaginate dagli scrittori di fantascienza a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Questo fino a quando il pianeta terra è stato squassato dal cosiddetto “Big One”, l’evento pandemico virale che la comunità scientifica si aspettava dovesse prima o poi accadere. L’intero mondo di fronte al suo dilagare si sente impotente e torna a quella notte dell’aprile del 1912 quando tutta la migliore tecnologia disponibile all’epoca non salvò la vita a 1.500 tra passeggeri e membri dell’equipaggio del Titanic per scoprirsi, oggi come allora, impotente davanti a un evento circondato dal mistero.

Il Titanic

La sua causa, il virus, è misterioso per eccellenza. Non vivo, non morto, richiama per associazione le figure che terrorizzano l’immaginario collettivo contemporaneo, lo zombie e il vampiro, delle quali è in qualche modo la metafora microbiologica. Fino a quando sta al di fuori dell’ospite è un oggetto ma prende vita nel momento in cui aggredisce il suo portatore e lo colonizza. Male di cui non esiste cura, salvo il vaccino che altro non è se non l’inoculazione nel soggetto sano di sue dosi limitate. Per sanarsi, dunque, occorre infettarsi. Misteriosa ne è la genesi, Spillover da qualche animale selvatico avvenuto in qualche mercato in un luogo marginale del pianeta. Insieme al nostro sistema immunitario aggredisce le nostre certezze. Prima fra le quali quel “tutto andrà bene” diventato, da mantra rassicurante, un esercizio di esorcismo collettivo per autoconvincerci che la vita tornerà a essere quella di prima. La politica, la forma con cui l’occidente ha organizzato la società dai tempi della Polis Greca, è costretta a confessare implicitamente di essere impotente di fronte al contagio. Oscilla tra l’iniziale negazione del problema e i provvedimenti successivi che sembrano sottesi da una logica totalitaria mirante a contenere la diffusione del contagio comprimendo i diritti civili con la sostanziale acquiescenza, quando non il diretto supporto, di larghissimi strati della società che chiedono continui giri di vite in nome del bene superiore della salute. Ancora oggi come 80 anni fa, in Europa la Paura dimostra di essere il più potente accelerante delle reazioni umane. In nome di essa si giustifica tutto: la limitazione delle libertà, i droni, la violazione sistematica della privacy, la militarizzazione dei pochi spazi pubblici rimasti. Il tralignamento è evidente, il contenimento di un’emergenza sanitaria diviene un problema di ordine pubblico, non una questione medica. La sensazione è che anche chi detiene le leve del potere questa volta si trovi di fronte a qualcosa di mai visto, di totalmente sconosciuto e quindi di totalmente altro rispetto a qualsiasi altra esperienza precedente. La medesima sensazione che dovevano aver provato gli indios del Nuovo Mondo quando entrarono in contatto con gli Spagnoli appena arrivati dall’Europa. La strategia di contrasto all’epidemia sembra in qualche modo sottintenderlo, nel momento in cui il mondo, o buona parte di esso, per contrastare la morte virale sceglie la strada dell’eutanasia economica della società, mettendo in lockdown tutte le attività produttive. Staccando letteralmente la spina della linfa vitale del paese.

L'Occidente si sta scontrando, esattamente come avvenne nel 1912 con l'affondamento del Titanic, con la sua hybris tecnologica. E la scelta dei Governi è su scegliere fra salute pubblica e tracollo economico. Con la certezza che, comunque vada, ci sarà purtroppo da perderci molto.

Il pensiero corre inevitabilmente alle esperienze di “quasi morti” e alle narrazioni di chi ha avuto l’esperienza liminare dell’essere “riportato in vita” dopo la constatazione della morte clinica. Oppure all’eutanasia per disperazione. Tutti noi abbiamo letto dei casi nei quali il malato, soverchiato dalla malattia, chiede gli sia somministrata una morte pietosa. Oppure quando impossibilitato ad averla, ricorre al suicidio. È difficile non pensare al momento che stiamo attraversando e connettere delle inquietanti analogie. L’Italia in particolare, si trova nella condizione di un paziente sul tavolo operatorio al quale i dottori, per combattere l’infezione che lo sta divorando, “temporaneamente” hanno fermato il cuore, per venire successivamente riportato in vita con una scarica elettrica o di adrenalina. La Morte come strategia evolutiva. Il destino si gioca in una partita che dura istanti. Uno di troppo lascerebbe il paziente inerte sul tavolo operatorio, uno di meno lo consegnerebbe alla devastazione della malattia. Ma, e questo è il paradosso della hybris occidentale che ha partorito meraviglie ipetecnologiche quali l’Intelligenza Artificiale, il non aver altra arma da opporre al virus che le medesime strategie di contenimento che quasi cinque secoli fa adottò per prima la Repubblica di Venezia: la quarantena e il contenimento. Le stesse misure ipertecnologiche di controllo che taluni paesi hanno messo in atto a ben vedere non sono altro che versioni ipermoderne dei lucchetti dei luoghi di quarantena di cinque secoli fa, solo che più moderni e “cool”. Questioni di poco conto, al decapitato interessa poco se la testa gli venga spillata dal capo dalla lama del dottor Sanson o dalla spada laser di Dart Fener. L’hybris occidentale dopo lo smacco del Titanic si sta scontrando di nuovo in una battaglia perdente contro la natura, solo che i decenni di sviluppo trascorsi da quella notte di aprile del 1912 hanno incommensurabilmente alzato la posta.

La stessa Chiesa si trova disarmata di fronte a una minaccia che da secoli pareva essere stata sconfitta. Il rito religioso officiato dal Papa venerdì scorso, nella metafisica vuotezza di una Piazza S. Pietro deserta le cui immagini, che sembrano tratte dall’immaginario pittorico di De Chirico sono già storiche, è stato il negativo dei riti della chiesa medioevale contro le epidemie, contrapponendo la massa dei fedeli imploranti e penitenti – che paradossalmente finiva per essere la miglior situazione per favorire un contagio di massa – al vuoto asettico a prova di microbo. La piazza è stata disinfettata anche dalla presenza umana in quanto possibile portatrice di virus. La Contrizione, la Fede e la Speranza da evento di massa espressione di Potenza e Dominio divengono, mediati dalla TV, un evento privato da vivere nella reclusione di ambienti domestici ipertecnologizzati. Il Papa giganteggia nella solitudine. E forse questa è la chiave per dare un senso all’indicibile rappresentato dalla pandemia: secoli di hybris tecnologica hanno lasciato l’Uomo solo, come il Papa in piazza S. Pietro, a fronteggiare forze misteriose che sfuggono al suo Dominio.