“Questo è un tappeto rosso che parla di sangue, di morte ma anche di resistenza quotidiana, Gaza è un progetto colonialista che fa profitto” dice Anna di Ya Basta Venezia in uno degli interventi al corteo per la Palestina libera che si è tenuto sabato 30 agosto al Lido di Venezia.

Organizzato da Venice4Palestine, ha contato oltre 5mila partecipanti che all’urlo “Venezia sa da che parte stare: Palestina libera dal fiume fino al mare” hanno chiarito ancora un volta che non c’è tempo per l’indecisione. Ed è partita da Barcellona la Global Sumud Flottilla, con le sue delegazioni da 44 paesi, accompagnata al porto di Genova da oltre 40mila persone.

Nessuna neutralità

Tanti eventi per far sentire la propria voce per la Palestina. Ma un’altra voce che rimarrà nella coscienza di chi l’ha sentita è stata raccontata la mattina del 3 settembre con la presentazione in Sala Grande della 82esima edizione della Mostra internazionale d’Arte cinematogrifca, il film The voice of Hind Rajab, prodotto tra gli altri da Brad Pitt, Joaquin Phoenix e Alfonso Cuaròn, a chiarimento per chi ritiene che l’arte dev’essere neutrale.

Perché questo film non può permettersi di essere neutrale, dato il contenuto: la storia vera di una bambina rimasta l’unica viva in un’auto nella Striscia di Gaza che chiama i soccorsi della Mezzaluna Rossa.

Per ore i soccorritori resteranno in contatto con lei, nell’attesa di ricevere la triangolazione di permessi necessaria ad avere un corridoio sicuro. L’ambulanza, infatti, deve avere la certezza di poter passare in sicurezza ed è la Croce Rossa a doverlo chiedere allo stesso Ministro della Sicurezza israeliano.

Le registrazioni originali delle conversazioni così come i video dei soccorritori non lasciano spazio a dubbi per l’orrore di ciò che sta avvenendo. Alla fine della proiezione, oltre 5 minuti di applausi e i singhiozzi di tutta la sala hanno confermato che questo è l’unico film che dovrebbe essere proiettato alla Mostra.

Dietro ogni numero, una storia

Lo stesso giorno, in un’altra sala il film Qui vit encore (Who is still alive) di Nicolas Wadimoff tratta dei sopravvissuti al genocidio, che insieme ai giornalisti che non hanno avuto il visto per entrare a Gaza cercano di ricostruire il massacro.

Il protagonista del film, uno dei sopravvissuti, a fine proiezione dice lentamente: “Dobbiamo ringraziare lo stato del Sudafrica, perché sono gli unici che ci hanno dato la possibilità di girare questo film producendocelo”. E aggiunge: “Al tempo mettevo fretta a Nicolas perché pensavo che sarebbe uscito troppo tardi, invece questo film esce quando il genocidio non solo non è finito ma ha raggiunto un altro livello”.

Una Mostra che con le sue esclusioni, dichiarazioni, spille, appelli e lettere cerca di dare dignità a un’arte che dovrebbe essere umana. Ma il tempo passa e, come dice la regista Kaouther ben Hania, “questo film non è un’opinione, ma ha salde radici nella realtà. La sua voce è quella di 10.000 bambini uccisi in due anni a Gaza, la voce di ogni figlia o figlio che ha diritto di esistere e di sognare, di vivere. Dietro ogni numero c’è una storia che non ha avuto l’opportunità di essere raccontata. Questa è la storia di una bambina che chiede “salvatemi”. La vera domanda è questa: come abbiamo potuto permettere che una bambina supplicasse per la sua vita?”.

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