Le vacanze, per definizione, dovrebbero rappresentare un momento di pausa, rigenerazione e benessere. La parola “vacanza” ha proprio l’origine etimologica che ci ricorda la temporanea sospensione da un’attività, che sia lavorativa o scolastica. Tuttavia, per un numero sempre crescente di persone, il tempo dedicato al riposo si trasforma in una fonte inaspettata di stress. Un paradosso che riflette dinamiche legate al nostro modo di vivere il lavoro, il tempo e le passioni.

La difficoltà a “scollegarsi” mentalmente

In un contesto socio-lavorativo sempre più interconnesso, molte persone faticano a sospendere realmente l’attività lavorativa, anche quando si trovano lontane fisicamente dall’ambiente professionale. La disponibilità continua e spesso autoimposta attraverso smartphone, email e piattaforme di messaggistica, rende labile il confine tra tempo lavorativo e tempo personale.

Questo fenomeno non riguarda solo le figure manageriali o i liberi professionisti: anche dipendenti e collaboratori sperimentano la difficoltà a staccare, alimentata da una cultura che premia la reperibilità, l’efficienza e il controllo costante.

Il passaggio al riposo non è immediato

Dal punto di vista psicologico, il passaggio da uno stato di iperattivazione mentale, tipico del contesto lavorativo, ad uno stato di rilassamento richiede tempo. Il cervello non si “spegne” all’improvviso, né si adatta automaticamente ad un ritmo diverso. È frequente, infatti, che nei primi giorni di vacanza si manifestino sintomi come irritabilità, agitazione, senso di vuoto o addirittura tristezza. Una reazione fisiologica che spesso viene interpretata erroneamente come “incapacità di rilassarsi”.

La pressione di dover godere del tempo libero

Un altro aspetto che alimenta lo stress vacanziero è la pressione di dover vivere la vacanza come un’esperienza perfetta dal momento che la sua durata è temporalmente breve. L’idea di dover “riposare bene”, “divertirsi al massimo” o “ritrovare sé stessi” in pochi giorni può diventare una nuova forma di prestazione. Anche il tempo libero, così, si carica di aspettative e standard da raggiungere, generando ansia piuttosto che sollievo.

Molto spesso il confronto costante con i propri amici, familiari e followers nei vari social media alimenta ancora di più il “mito” della vacanza impeccabile: diventa necessario condividere foto e video legati all’esperienza, finendo per dimenticare la propria dimensione della vacanza.

Rieducarsi al tempo senza scopo

Imparare a stare nel tempo libero, senza sentirsi obbligati a riempirlo o a renderlo produttivo, è una competenza tutt’altro che scontata. In un mondo in cui l’identità personale è spesso legata ai risultati ottenuti e al ritmo sempre molto alto, ritrovare il valore del “non fare” richiede uno sforzo di disconnessione culturale e mentale.

Per affrontare questo paradosso, può essere utile accettare un periodo di transizione tra lavoro e vacanza, poiché non è realistico aspettarsi di rilassarsi immediatamente dal primo giorno di ferie. È importante perciò darsi tempo e accogliere le eventuali difficoltà iniziali senza giudizio. Un altro aspetto cruciale è definire confini chiari con il lavoro per impostare un’assenza effettiva, disattivando notifiche e delegando le responsabilità per provare una vera e propria disconnessione. Non ogni vacanza, inoltre, deve essere indimenticabile: lasciamo spazio all’imprevisto e alla semplicità piuttosto di programmare un’agenda fitta di esperienze da lasciarci senza fiato.

Foto da Unsplash di Thomas Lipke

In conclusione, il paradosso dello stress in vacanza ci invita a riflettere su quanto siamo realmente liberi nel nostro tempo libero e quanto, invece, la cultura della produttività abbia colonizzato anche gli spazi che dovrebbero appartenerci per definizione. Imparare a rallentare non è un lusso: è un’esigenza profonda di equilibrio psicologico.

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