Può una singola disciplina sportiva essere vissuta ogni giorno in maniera diversa? Questo è il ciclismo gravel, più semplicemente gravel. Una disciplina che unisce ciclismo su strada – per il mezzo, simile ad una bici da corsa – e mountain bike – per i percorsi sterrati – permettendo diversissime interpretazioni.

Dalle gare da 200 e passa chilometri che rispecchiano il gravel delle origini, come le statunitensi Unbound (la fu Dirty Kenza) e Almanzo 100 che diedero il via al fenomeno gravel tra il 2006 e il 2007, ai Mondiali organizzati dall’UCI (Unione Ciclistica Internazionale, l’organo di governo del ciclsimo sportivo) che somigliano maggiormente ad una gara su strada con fondo sconnesso. Per poi arrivare all’universo del bike-packing, cioè del viaggio in bicicletta, che già nel 1989 ispirò la creazione della progenitrice delle bici gravel moderne, ovvero la Cinelli Passatore. Nel mezzo ci sono tutti gli appassionati che interpretano a modo loro – per scelte tecniche, percorsi e velocità – questa disciplina.

A riunire tutte queste anime ci pensa Gravel Italia Podcast, il primo podcast unicamente dedicato al mondo gravel in Italia. Ideatore e voce di questo format è Alessandro Migliorini, veronese classe 1974, responsabile marketing di un’azienda di abbigliamento sportivo con un passato da biker, con 6 titoli regionali tra il 1994 e il 2000 nella specialità “MTB-rally”.

Attraverso le sue interviste Alessandro dà voce a tutti i tasselli – dall’atleta al bikepacker fino al produttore di telai – che compongono questo mondo. Il nostro incontro avviene a Pastrengo, all’ultimo piano di MulinVélo di Massimo Gaiardelli dove Alessandro sta allestendo lo studio per registrare la puntata con Carla Gottardello e Mattia Locrati, cicloviaggiatori padovani.

Carla Gottardello e Mattia Locati sono i protagonisti dell’undicesima puntata del podcast. [dal video YouTube]

Ciao Alessandro e grazie per dedicarci il tuo tempo. Partendo dall’inizio, qual è stato il tuo percorso lavorativo?

Ho fatto il liceo artistico, poi Architettura a Venezia, ma non l’ho finita. Nel mentre mi ero inventato il mondo delle agenzie non sapendo che le agenzie pubblicitarie già esistevano. All’inizio prendevo tutti i lavori che capitavano, poi ho iniziato a correre nel 1991 e mi piaceva l’idea di spostarmi nel settore bici così ho iniziato a scrivere a destra e a manca. Ho avuto la fortuna di incontrare Pepi Innerhofer, che all’epoca era importatore per l’Italia di forcelle Fox e altri marchi, che mi ha aperto poi anche al mercato tedesco per fare i cataloghi di Fox Germania.

Sempre per stare nell’ambiente, sono riuscito anche ad essere fotografo accreditato UCI ai Mondiali tra il 2006 e il 2009. Poi mi sono preso una pausa perché il mondo della pubblicità richiede di essere sul pezzo e mi sentivo sempre di corsa e in angoscia. Ho fatto il commesso e aperto una gelateria ma dato che in inverno si lavorava di meno ho iniziato a collaborare come esterno con Calzedonia e da lì ho assunto il ruolo di Responsabile Creative Media Production & Digital Signage. Quando poi il gruppo Intimissimi ha sponsorizzato la Maglia Bianca di miglior giovane al Giro d’Italia, sono entrato in contatto con l’azienda per la quale lavoro oggi.

Il ciclismo in questo tuo percorso lavorativo è sempre stato molto presente. Ti ricordi qual è stato il momento in cui hai capito che ti piaceva questo mondo?

Quasi subito. In casa mia nessuno ha mai corso ma mio papà seguiva il ciclismo in tv. Ricordo che fino ai 18 anni passavo l’estate dai miei nonni a Cerro Veronese e siccome mio nonno aveva una vecchia bici, la usavo per andare da mio zio a Bosco Chiesanuova. La sfida era fare Cerro-Bosco e poi tornare a casa. Alle superiori, era il 1990, un mio amico correva in mountain bike e lo vedevo che era flippatissimo. Così mi è venuta voglia anche a me.

Come si è sviluppata quindi la tua carriera nelle gare di mountain bike?

Quell’estate un altro amico mi fa “Andiamo da Princycles a fare una girata” e mi hanno poi proposto se volevo correre la domenica successiva in una gara. Era la Rampilonga. Sono andato a farla e l’anno dopo ho iniziato a correre con loro. Ho fatto 9 anni di mountain bike, ogni domenica una gara e poi d’inverno ciclocross. Ho avuto la fortuna di iniziare alla Princycles con Claudio Princivalle che è stato più di un maestro per me, una bellissima persona. Era sempre attento alle novità, mi ha fatto provare qualche gara in pista e abbiamo fatto qualche gara in tandem insieme. Diceva “Provare val sempre la pena” e infatti è stato uno dei primi nel 1993 a fare downhill con il monorapporto e il cambio interno Rohloff.

Il tuo percorso lavorativo nel mondo della comunicazione unito all’esperienza agonistica e alla passione per la bicicletta ti portano nel 2017 a creare il primo blog sul gravel chiamato Gravel Italia. Come ti è venuta l’idea? E come era vista questa tua iniziativa in un periodo in cui il movimento, in particolare nel veronese, era ancora molto piccolo? Poteva sembrare una follia, no?

Ho smesso con la mountain bike nel 2000. Dopo c’è stato un periodo di stacco, come capita a tanti. Tra un’esperienza a Londra, convivenza e figli uscivo giusto la domenica. Poi i bambini sono cresciuti, ho mollato l’attività della gelateria e quindi ho avuto un po’ più tempo. Sentivo in giro la parola “gravel” e all’inizio, sinceramente, non mi piaceva perché pensavo “È il cross fatto in maniera più turistica”. Sono comunque andato a provare una gara gravel con la mountain bike e ho visto che c’era fermento. Non c’erano così tante gare, di sicuro non una ogni domenica come oggi, ma c’era qualcosa che stava cominciando. Io così ho iniziato a cercare un calendario di gare gravel, ma non lo trovavo. Allora per soddisfare un mio bisogno in una sera ho registrato il dominio Gravel Italia e l’ho messo su, iniziando a raccogliere i dati sulle gare. Era un’esigenza mia ma sapevo che era anche quella degli altri.

Tra l’esperienza del blog e quella poi del podcast c’è stato un apprezzamento che ricordi con piacere e magari una critica che ti ha aiutato particolarmente?

Di positivo sicuramente tante piccole soddisfazioni. Per citarne una quando ho fatto il podcast con Max (Massimo Gaiardelli è stato ospite nella quinta puntata n.d.a.) c’è stato un ragazzo di Torino che era di strada a Verona ed è venuto qua per chiedere se era qui che registravamo. Allora Max l’ha portato su e gli ha fatto conoscere tutto il negozio. Per quanto riguarda le polemiche invece, come in tutte le cose social, se fai un commento poi si formano le schiere dei pro e dei contro ma niente di più.

Venendo dunque a Gravel Italia Podcast, da dove nasce l’esigenza di creare questo contenuto?

I podcast sono già sbocciati ma non c’era il podcast sul gravel e quindi ho voluto farlo per primo.

C’è un obiettivo che vorresti raggiungere con Gravel Italia Podcast?

Mi piace innanzitutto, avendo fatto produzioni media in passato, il mondo delle foto, dei video e delle registrazioni per fare un prodotto che non dico sia professionale, ma fatto bene. L’idea è di poter creare una bella rete di conoscenze e finora questa cosa mi sta premiando.

E hai qualche podcast che ascolti anche per prendere ispirazione?

Ascolto volentieri “Parole Alvento” che è fatto benissimo. C’è una voce di cui non ricordo il nome che mi piace tantissimo (Claudio Ruatti, n.d.a.), che ha fatto la puntata al BAM! (il raduno europeo dei cicloviaggiatori, n.d.a.) perché è bravo anche a proporsi e ad entrare nel discorso. Dopo sicuramente, per come imposto la trama, “One More Time” di Casadei e “Passa dal BSMT” di Gazzoli.

Quanto tempo assorbe la realizzazione di una puntata di Gravel Italia Podcast tra scrittura, registrazione e montaggio?

A parte il tempo fisico di registrarlo chiaramente bisogna essere qui un’oretta prima per montare tutto e per smontare ci vuole una mezz’oretta. Poi dipende, ho visto che il montaggio è abbastanza fluido e più viene pulita la puntata più viene facile il montaggio ma pensavo fosse peggio. Anche perché faccio tutto io, non posso fare tantissime cose. Ho due camere e l’unico “gioco” è quello lì.

C’è stata una puntata particolarmente bella ed emozionante da registrare o che magari ha avuto qualche intoppo che l’ha resa più difficile da portare a casa?

Parto da quella più difficile. Io conosco per lavoro Mattia Viel, un professionista e un ragazzo d’oro. Povero, per fare la sua puntata l’abbiamo registrata quattro volte! [ride] La prima volta colpa mia, perché non ho fatto partire la registrazione. Dopo aver mangiato abbiamo registrato una seconda volta ma non era come la prima. Tutti e due sentivamo che non eravamo fluidi come all’inizio e non capivamo se avevamo già detto delle cose o meno. Sono riuscito a montarla lo stesso e gli ho detto che se voleva la portavamo comunque a casa, però anche lui voleva rifarla e così 15 giorni ci siamo ritrovati. Questa volta faccio partire ma non so cos’è successo, non ha registrato neanche lì. Di nuovo andiamo a mangiare la pizza e dopo seconda registrazione! È andata bene ma lui se l’è sudata [ride].

gravel italia podcast mattia viel
Mattia Viel è un ex-ciclista su strada. Ha preso parte alla prima edizione dei Mondiali gravel nel 2022. È stato ospite nella seconda puntata di Gravel Italia Podcast. [dal video YouTube]

Finora una spassosissima è stata quella con il Gus (Augusto Baldoni n.d.a.), l’amico di Jovanotti. Lui è un personaggio. Da buon romagnolo ti fa divertire, è estroverso e ti mette a tuo agio. Così come lo vedi nel video è nel quotidiano.

Lui è tornato spesso ospite nel tuo podcast. Potrebbe diventare un co-host?

Sarebbe un sogno ma è impegnativo. Lui è di Forlì. Ma avendo quattro anni più di me abbiamo vissuto la stessa era e quando inizi a fare discorsi ti ricordi degli stessi corridori e stesse tecnologie.

Quali sono invece le tre persone che vorresti assolutamente intervistare in una futura puntata di Gravel Italia Podcast?

Mi piacerebbe sicuramente Dino Lanzaretti, però è sempre in giro, quando gli ho scritto mi ha risposto subito “Sì vengo a dicembre” ed eravamo in aprile [ride]. Mi piace mescolare sia viaggiatori che atleti. Oltre Dino un’altra viaggiatrice che vorrei intervistare, qui del lago, è Monica Consolini che sta facendo il giro del mondo. Come atleta mi piacerebbe tantissimo ospitare Daniel Oss.

Una caratteristica che emerge, anche dalla varietà degli ospiti del tuo podcast, è che il mondo gravel sia molto più ampio e quindi interessante da raccontare rispetto ad altre discipline ciclistiche. Percepisci anche tu questa maggiore libertà non solo nel pedalare ma anche nel parlare di gravel?

Sì. “Come vedete il movimento gravel?” è una domanda che faccio quasi sempre a tutti perché come dici “gravel” dici mille cose, dal viaggiatore a quello che va via a manetta, e ognuno ha il diritto di interpretarlo come preferisce. L’unica mia paura è che l’UCI vada a rovinarlo. Già che togli la navigazione hai tolto il 50% del bello e io che facevo i rally in mountain-bike sento tanto questa cosa. Possono interpretarlo così, fettucciando il percorso, e diventa un cross più lungo, benissimo. Resta il fatto che tutti gli altri fuori di lì potranno goderselo come vogliono. Questo è il bello del gravel. Dopodiché c’è il fenomeno “bikepacking” che non lo fermeranno più. È una valanga a parte che sta prendendo sempre più piede.

Spostandoci sul tuo rapporto personale con la bicicletta e con il gravel: il ciclista che ti esalta di più quando lo vedi in azione?

Se parliamo di tutte le discipline, io sono innamorato di Wout Van Aert. È un vincente, è anche un po’ sfortunato ma quando vince è figo. Vince, fa da gregario senza risparmio e quando smette di correre in bici va a fare le mezze maratone con tempi che, io non me ne intendo, ma dicono siano paurosi.

Nei tuoi allenamenti oggi usi solo la gravel o fai anche altre discipline come strada e mountain-bike?

Direi che faccio 60% gravel e 40% strada.

E c’è un percorso gravel in particolare che ti senti di consigliare nel veronese?

Qua siamo fortunati. Abbiamo tutto, dal lago alla Lessinia. Se devo dirne uno… Translessinia. Un classicone, magari con qualche variante un po’ più tecnica.

Prendendo a prestito una domanda dal tuo podcast: che bici hai oggi e qual è la bici dei tuoi sogni?

Io ora ho una 3T in carbonio. La mia bici dei sogni ha una doppia corona davanti, mi solletica tantissimo il telaio in titanio e siccome sono vecchia scuola se potessi e ci fosse ancora un cerchio furbo andrei ancora con i rim-brakes.

Così in controtendenza con il mercato che ormai ha sdoganato il freno a disco?

Un hashtag che uso spesso è #simpleisreliable. Se è semplice non si rompe. In realtà ho un’altra gravel, in acciaio, che ha proprio i rim-brakes. Io non sono d’accordo sull’efficacia del disco, anzi credo che molte cadute avvengano perché è un freno troppo potente che ti gira la bici. La gente prende paura e “Pum!” gli parte la bici. Non è un caso che ora stiano aumentando le sezioni delle gomme. Di questo discorso ne ho parlato con Tom Ritchey e Dario Pegoretti e tutti e due quando ho chiesto loro di tutte le evoluzioni della bicicletta qual è stata la peggiore mi hanno risposto il freno a disco. E se lo dicono loro! [ride].

Parlando sempre di futuro, per chiudere, come si evolverà Gravel Italia Podcast prossimamente?

Sono partito facendo una puntata a settimana. Ero partito bene, perché bisogna intanto iniziare, mettendo “fieno in cascina” per poi far uscire le puntate regolarmente. Adesso sono a zero e sono d’accordo con Dino (Lanzaretti n.d.a.), Plastic Free Ride, due ragazzi di Brescia che vanno a raccogliere la plastica con la gravel, e qualche costruttore. All’inizio avevo pensato se fare una stagione e poi staccare, vediamo. Era da tanto che ci pensavo su come farlo, perché devi prendere del materiale e ci vuole del tempo. Intanto bisognava partire, tutto è migliorabile ma come dicono i grandi imprenditori “Fatto è meglio che perfetto”.

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