Come evidenziato da UN Women, la crisi climatica non è “neutra” dal punto di vista del genere. Infatti, secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC) creato dall’ONU, i gruppi sociali più vulnerabili ed emarginati saranno i più colpiti. Si dà il caso che il 70% delle persone più povere del mondo siano donne. Soprattutto nelle aree rurali, le donne vivono in condizioni più precarie e svolgono lavori pericolosi, mentre si fanno carico di responsabilità familiari come l’approvvigionamento idrico e alimentare.

L’agricoltura è il principale settore di occupazione femminile nei Paesi a basso e medio reddito. Le donne dipendono quindi dalle risorse naturali locali, messe a rischio dai cambiamenti climatici. Durante i periodi di siccità o di piogge torrenziali, le donne lavorano più duramente per garantire la loro sussistenza e quella delle loro famiglie, spesso a costo della loro salute e della loro istruzione.

Le disuguaglianze strutturali di genere hanno creato disparità in termini di informazione, mobilità, processo decisionale e accesso alle risorse e alla formazione. Tenendo conto del loro duro lavoro e del peso delle responsabilità familiari, questo spiega perché le donne sono più deboli di fronte a condizioni meteorologiche estreme e hanno maggiori probabilità di essere ferite durante i disastri naturali.

Di conseguenza, le disuguaglianze di genere si acuiscono, affermando sempre di più la posizione dominante degli uomini. Ad esempio, pur svolgendo un ruolo fondamentale nella produzione alimentare globale (dal 50% all’80%), le donne possiedono meno del 10% della terra.

Inoltre, i cambiamenti climatici mettono a dura prova le aree più colpite, intensificando le tensioni sociali, politiche ed economiche. Le donne sono quindi ancora più esposte alla violenza di genere.

Alla luce di questi risultati, non sorprende che, come dimostra uno studio dell’Università di Yale del 2018, il riscaldamento globale preoccupino il 63% delle donne intervistate, rispetto al 58% degli uomini.

Quindi, non solo le donne sono più colpite dai cambiamenti climatici, ma sembrano anche averli più in mente.

Un “carico mentale ambientale”?

In Italia, secondo uno studio dell’associazione Assindatcolf del 2021, l’86,4% delle donne intervistate ha dichiarato di essere impegnata in attività domestiche e familiari, contro il 74,1% degli uomini. È interessante notare il numero di ore effettivamente lavorate: il 23,9% delle donne ha dichiarato di essere coinvolto per più di 24 ore alla settimana, contro l’11,5% degli uomini. Pertanto, la maggior parte del lavoro domestico sembra essere svolto dalle donne.

Questo onere domestico, sostenuto principalmente dalle donne, le rende responsabili dell’impatto ambientale della famiglia. Ad esempio, sono spesso le donne a occuparsi della raccolta differenziata, dell’acquisto di prodotti biologici e così via. Questo è noto come “carico mentale ambientale”.

Tuttavia, questa maggiore sensibilità delle donne si riflette nella pratica solo a livello individuale. A livello pubblico, l’ecologia è una battaglia combattuta principalmente dagli uomini.

Le azioni delle donne si limitano alla sfera privata

Poiché sono tra i gruppi sociali più colpiti e perché in media sono più sensibili alla protezione dell’ambiente rispetto agli uomini, le donne dovrebbero essere coinvolte attivamente nell’ideazione e nell’attuazione di azioni per rispondere ai cambiamenti climatici.

Infatti, uno studio del 2019 ha rivelato che l’aumento del numero di donne nei parlamenti nazionali porta all’adozione di politiche ambientali più severe ed efficaci.

Tuttavia, le donne sono meno consultate o citate per le questioni ambientali. Ad esempio, nonostante l’introduzione nel 2019 dell’indicatore di performance “parità” nei team negoziali della COP25, la direttrice esecutiva di UN Women France Fanny Benedetti afferma che nel complesso la rappresentanza femminile negli organi costituiti era in media solo del 33%.

Inoltre, uno studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (European Institute for Gender Equality – EIGE) del 20017 mostra che le posizioni più alte nei ministeri europei che si occupano di cambiamenti climatici (trasporti, energia e ambiente) sono occupate prevalentemente da uomini.

Ciò dimostra che il giudizio dell’uomo “esperto” è ancora, assecondando uno stereotipo, posto al di sopra del giudizio femminile.

L’approccio dell’ecofemminismo

Nel 1974, la scrittrice francese Françoise d’Eaubonne ha usato per la prima volta il termine “ecofemminismo”. Questo concetto afferma che il rapporto tra l’uomo e l’ambiente – un rapporto di dominio, sfruttamento e appropriazione – è lo stesso che intercorre tra la società patriarcale e le donne. La soluzione sarebbe quindi quella di unire queste due lotte, quella per l’ecologia e quella per il femminismo, nello stesso movimento.

Secondo un rapporto dell’OCSE del 2021 che utilizza il quadro degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDP) per esplorare i legami tra uguaglianza di genere e sostenibilità ambientale, solo 14 indicatori degli SDG legati all’ambiente sono specifici per il genere.

Tuttavia, molti indicatori degli SDG che si concentrano sull’uguaglianza di genere (come eliminare le discriminazioni, assicurare pari accesso all’istruzione e alla salute, garantire pari diritti di proprietà, essere ascoltati e rappresentati nei processi decisionali) sono essenziali per mitigare l’impatto negativo dei cambiamenti climatici sulle donne e per consentire loro di impegnarsi in attività che preservino l’ambiente e promuovano lo sviluppo sostenibile.

Concentrarsi sull’uguaglianza di genere come fattore essenziale nell’azione per il clima sembra quindi essere un approccio che vale la pena sviluppare: non solo per proteggere le donne, un gruppo sociale che è più colpito dai cambiamenti climatici, ma anche perché le donne hanno un grande contributo da dare alla causa ambientale.

Fonti

Articolo uscito a firma di Oriel Wagner sulla testata Vez.news, partner di Heraldo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA