Amo gli artisti di strada. Amo il loro stile immediato, sincero, trasparente. Amo la loro arte, consapevole, seria, vissuta. Gli artisti di strada fanno del marciapiede il loro palcoscenico, del parco pubblico il loro teatro, dei palazzi e dei muri la loro scena. Amo gli artisti di strada per la sincerità della loro espressione.

Il loro non è spettacolo prezzolato di supponenti intellettuali alla moda, né arrogante esibizione di personaggi adorati per la loro superficiale notorietà. Loro si esibiscono con umile generosità, e la loro arte è un dono. Ritagliano con la loro sola presenza il pubblico spazio di tutti e ne fanno un ambiente di intima e personale relazione. Il passante distratto e frettoloso non coglie la bellezza e la preziosa valenza del loro proporsi. Ma l’attento conoscitore della natura umana è attratto dal loro donarsi, si lascia conquistare e vincere dalla consistenza credibile della loro abilità.

Perché…

Amo gli artisti di strada perché sono bravi. I loro disegni sui marciapiedi sono preziosi quanto la fuggevole evanescenza della loro natura; il loro canto si disperde oltre le teste degli ascoltatori e i disegni delle loro acrobatiche figure non sono incisi nel marmo o nel bronzo, ma nel cuore degli spettatori d’occasione e vivono nella memoria di chi li ha incontrati.

Amo gli artisti di strada perché non chiedono nulla, se non la simpatia e l’atten­zione della gente: chiedono un po’ di tempo a chi divora la vita in vane imprese o in travagliose occupazioni. Non si fanno pagare perché a loro basta l’applauso e il sorriso di chi si ferma a guardarli, solo allora ritengono giusto chiedere un modesto contributo, mai adeguato alla loro bravura.

Foto da Pexels di Jose David

Amo i pianisti che nel frastuono delle stazioni sfidano le sirene dei treni, amo gli illusionisti che giocano con le carte e i conigli, ma non ingannano i passanti con barattoli truccati, amo i cantanti che sfidano il rombo dei motori e il brusio delle zone pedonali con i loro ritmi, le loro basi preregistrate, con i loro strumenti: chitarre, flauti, violini, anche trombe talvolta e violoncelli, ma soprattutto con le loro voci.

Amo gli acrobati, che camminano sulle mani, corrono sui fili, ballano sulle spalle dei partner. Amo i breakdancer, quelli di oggi e di ieri, che girano sulle spine dorsali, saltano sulle dita delle mani e sono elastici come i pensieri di filosofi antichi. Amo i ciclisti che pedalano sui fili tesi fra campanili e terrazze e con biciclette dai cerchioni saldati ruotano a trenta metri d’altezza.

Da Parigi a Venezia

In tutte le città ho visto artisti di strada, ma, più di tutte, sono due le città nelle quali si trova come nella propria casa la loro indole creativa: Parigi e Venezia. A Parigi, al Beaubourg, di fronte alla mostruosa bellezza del Centre Pompidou o a Place des Vosges, o di fronte al Louvre, ho visto roteare il diabolo, volteggiare saltatori e skateboarders gestire acrobatiche esibizioni su bordi di marciapiede, basi di monumenti e corrimano di sottopassi.

Venezia è culla, palcoscenico, tribuna naturale e materna per le loro esibizioni. L’aria rarefatta e magica e la dimensione onirica di quel prodigio urbanistico sono l’ambiente naturale per suoni, colori parole e gesti che non sono di consumo e spreco, ma di generosa costruzione dell’anima. Sui ponti, nei campielli, a filo delle fondamenta, li ho visti esibire il loro patrimonio di ricchezza umana attraverso la loro arte. Venezia, “appoggiata sul mare”, Venezia, tenuta in vita anche da queste insane creature, ama gli artisti di strada che per essere se stessi hanno bisogno degli altri e per continuare nel loro faticoso impegno altro non chiedono che un sorriso pieno di affetto.

Foto da Pexels di Caio

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