Inizia come se fosse un documentario e si conclude con immagini che sembrano esser state catturate da un’installazione video-artistica, Atlantide di Yuri Ancarani. Il film presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia del 2021, dopo una breve parentesi in sala, è finalmente visibile gratuitamente grazie a Raiplay.

Tra documentario e finzione

Lo locandina funerea di Atlantide diretto da Yuri Ancarani.

Atlantide è un’opera che per sua natura è sfuggente, che rifiuta le facili etichettature, un po’ come il protagonista Daniele, il cui obiettivo è essere il più veloce tra i canali della laguna. Non c’è altro nella sua vita e a lui tanto basta. O meglio, nella desolazione socio-culturale in cui si trova a 24 anni per Daniele l’importante è “Non essere la merda di nessuno”.

Non c’è prospettiva, ma solo l’ambizione del rispetto, quella di prevalere per essere qualcuno o per lo meno per sentirsi tale. Questo perché la Venezia del film è alla fine dei conti una terra popolata da fantasmi, figure erranti che sfrecciano a 85 km/h su barchini modificati alla ricerca di una terra desolata, una speranza di vita mitologica, un’Atlantide.

Perciò la colonna sonora scelta da Yuri Ancarani rispecchia l’alienazione di una generazione verso il mondo reale, che trova spazio nella psichedelia musicale di Sick Luke – uno dei fautori della sonorità trap – e dei versi autocelebrativi della Dark Polo Gang, gruppo che fa dell’estetica della superficie un mantra, uno stile di vita.

Poi, una volta abbandonato il suo protagonista, la macchina da presa prende vita infilandosi tra i palazzi e i canali veneziani come se fossero corpi, cambiando anche la colonna sonora che passa all’orchestra e all’epica, scelta artistica che è un suggerimento: l’Atlantide tanto agognata non è possibile in questa vita.

Improvvisazione del reale

Un ritratto vivido e audace dello smarrimento di una generazione che non cerca mai un compiaciuto sguardo provinciale – quanti film oggi sono pensati e girati a Venezia? – bensì il contrario, favorendo invece una distorsione visiva del reale. D’altronde il regista proviene dal mondo della video arte e la natura narrativa di Atlantide è inevitabilmente composta da scene “madri” tendenti all’astrazione, costruendo geometrie di sguardi e coreografie di corpi.

Coreografia di corpi e di colori in Atlantide

Un film, come dichiarato da Ancarani su Cinematografo.it, “Nato senza sceneggiatura. I dialoghi sono rubati dalla vita reale, e la storia si è sviluppata in divenire durante un’osservazione di circa quattro anni, seguendo la vita dei ragazzi. Questo metodo di lavoro mi ha dato la possibilità di superare il limite di progettazione tradizionale nel cinema: prima la scrittura e poi la realizzazione. (…) Il desiderio di vivere così da vicino le loro vite, dentro i loro barchini, ha reso possibile tutto il resto: il film si è lentamente costruito da solo”.

Non è un caso quindi l’immediatezza socio-culturale di Atlantide, film figlio di una generazione che nella desolazione lagunare priva di orizzonti ormai ha perso ogni speranza verso il futuro: sommerso immobile come l’acqua alta fa con Venezia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA