Quando si dice un campionato di passione. Arrivati a questo punto della stagione dell’Hellas tocca scomodare metafore pasquali fuori tempo massimo: il Verona è morto e risorto e rimorto troppe volte per tenere il conto, e ogni volta il pubblico si è esaltato e abbattuto con la passione – ancora lei – che è propria del tifoso. Alla fine quest’annata disgraziata terminerà nell’unico modo possibile: soffrendo fino alla fine.

Senza testa non si fanno conti

Impossibile fare conti. Ci si è provato nell’ultima giornata che sembrava favorevole e che si è dimostrata una Caporetto totale, con lo Spezia capace di castigare anche la seconda milanese dopo aver messo a posto l’Inter e facendo addensare nuvole nere sopra il Bentegodi. Il Lecce, dal canto suo, assaporava già una mini fuga arrestata all’ultimo dal gigante Sergej. Il Verona, di fronte alla minima pressione proveniente dagli altri campi, dura come una coppetta di gelato dimenticata  d’estate sugli scalini del comune.

Si può parlare di tattica: perché tornare nuovamente ai due trequartisti giocando a specchio contro una squadra che quello schema lo gioca a occhi chiusi? Si può parlare di tecnica, con tutti gli arcinoti limiti della compagine gialloblù. Ma la cosa che più è mancata, in questa lunga stagione fatta di seconde, terze ed ennesime ultime spiagge, è stato il carattere per cogliere le occasioni.

Bergamo in maggio…

E allora si riparte. Un altro weekend da affrontare, questa volta con il pendolo dell’entusiasmo al minimo, con la consapevolezza di aver perso una grande occasione ma anche di essere – davvero inspiegabilmente – ancora in corsa per questa maledetta salvezza. 

Tocca all’Atalanta, e giocare a Bergamo a maggio porta sempre buoni ricordi al popolo gialloblù. Una Dea che rincorre Milan e Roma per un posto in Europa, che ha perso il bomber Zapata ma che può contare su una panchina figlia della decennale competenza e programmazione, sorella di uno stadio rinnovato e di un entusiasmo da grande piazza in una città che – numeri alla mano – ha la metà della popolazione di Verona. La prova a strisce nerazzurre che le parole “sprovincializzazione” e “internazionalizzazione” funzioneranno per i brand, ma non per le squadre di calcio, specie in bocca a chi non potrebbe essere più provinciale.

Qualcuno ci crede?

Come spesso accade, chi scrive di calcio nella nostra bella città si trova due o tre passi indietro rispetto a chi – ermetico –  scrive gli striscioni. “Tutti a Lecce, anche la squadra” si è letto due settimane fa, “Restiamo in serie A… però nessuno ci crede” intonava la Curva Sud mentre i giocatori si facevano umiliare dall’Inter. E invece qualcuno dovrà crederci, perché siamo ancora attaccati al treno più lento e sgangherato che si ricordi, con la possibilità di salvarsi con punteggi pietosi.

Ad oggi saremmo obbligati a un play out (che se non fosse per il terrore di suonare provinciale si potrebbe dire spareggio), con la prospettiva di una gara storicamente tabù all’ultima di campionato e il lumicino di speranza di uno scontro diretto tra le nostre avversarie dirette. Difficile, non impossibile. Non più difficile che per gli altri.

L’invito, o forse l’imperativo, è non staccare il cervello ora, rimanere con le unghie conficcate in questo ultimo sforzo prima di spegnere le luci e – comunque vada- resettare tutto. 

Verona, Lecce e Spezia se la giocano allo sprint finale, ma come ogni volta si salverà semplicemente il meno peggio. 

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