Giovedì 30 marzo all’Università degli Studi di Verona si è svolta una giornata di studi e approfondimenti dal titolo emblematico: “Fahrenheit 2023: viaggio nelle culture distopiche dei Paesi di lingua inglese”. Organizzato da Extra sci-fi festival Verona in collaborazione con il Dipartimento di Lingue e Letterature straniere e la testata Heraldo, l’evento si è diviso secondo diversi panel, dove ogni intervento ha sviscerato una tematica legata al concetto di distopia, tracciando perciò un fil rouge in grado di dare una visione d’insieme a una nozione spesso fuggente.

La letteratura e la cultura anglofone dall’800 ai giorni nostri, attraverso femminismo, postumano, perturbante, hanno caratterizzato il programma della mattina a cui è seguita, nel pomeriggio, una sezione dedicata al linguaggio distopico in romanzi, film e serie tv contemporanee, e chiusa da due interventi divulgativi sul tale genere a cura de I400 calci e dallo scrittore Marco Sommariva che ha presentato “Ombre dal futuro. 350 anni di letteratura distopica” (Edizioni Malamente, 2022).

Ha aperto la Giornata Chiara Battisti, docente di Letteratura inglese, con una comparazione tra l’arte di Escher e il romanzo Brave new world di Aldous Huxley. Il romanzo, scritto nel 1932 e figlio del suo tempo, si basa sull’altrove narrato su cui utopie e distopie giocano. L’emblema sono i film odorosi descritti, nel totale annientamento di cultura in ottica di mercificazione, dove lo stato di schiavitù può rendere felici.

Il secondo intervento di Enrico Botta, docente di Letteratura americana, ha riguardato gli Stati Uniti, in particolar modo la percezione al tempo stesso distopica e utopica di questo Paese. Si è rilevato come la Guerra di secessione abbia portato a una concezione dicotomica del futuro statunitense: da una parte i nordisti volevano abbracciare un mondo senza schiavitù, perciò utopico nel loro pensiero, dall’altra i confederati premevano a mantenere una “terra di gentiluomini e campi di cotone”.

Botta ha quindi portato un esempio di una immigrazione da parte di ventimila statunitensi sudisti verso il Brasile, territorio visto come baluardo per sfuggire al “distopico universo yankee”. Una storia che abbraccia il concetto di distopia, sia perché è strettamente legata da un punto di vista temporale a questo termine (nato del 1868), sia per il sunto alla base dell’idea confederata, ovvero quello di ri-creazione.

Un pensiero che possiede un sottotesto religioso e spirituale e che abbraccia il disegno di un mondo nuovo possibile, un El-Dorado dove poter erigere una società perfetta. Nonostante però gli sforzi dei ventimila sudisti partiti per il Brasile, il loro piano fallì e con loro anche l’idea distopica dei nuovi Stati Uniti.

Una crasi tra distopia e utopia

Il terzo panel di Beatrice Melodia Festa, docente di Lingue e Letterature Anglo-Americane ha approfondito l’afrofuturismo, concentrandosi in particolar modo sul blockbuster Black Panther. Il film uscito nel 2018 diventò un vero e proprio caso mediatico negli Stati Uniti, conquistando un successo tale da ricevere sette candidature ai Premi Oscar.

Un prodotto, spiega Melodia Festa, che mostra una crasi tra distopia e utopia. Il territorio di Wakanda dove si svolge la storia, rappresenta un microcosmo utopico di come sarebbe potuta diventare il continente africano senza la predazione delle popolazioni straniere. Una illusione del progresso che si scontrerà inevitabilmente con l’invasore, andando in contro perciò a un futuro distopico. Black Panther, oltre quindi a collocarsi perfettamente nelle tematiche del festival, ha apportato a una distruzione dello stereotipo legato al mondo black, attraverso una narrativa che combacia la cultura afroamericana con la tecnologia, arrivando a toccare il post-umano.

Sempre di un prodotto audiovisivo si è parlato anche nell’intervento successivo, che ha riguardato la serie TV The Handmaid’s Tale. Anna De Biasio, in particolare, si è concentrata sulla trasposizione dalla letteratura alla serialità del romanzo di Margaret Atwood, sottolineando come l’evoluzione del femminismo sia stata particolarmente influente. Se nel libro del 1985 la protagonista era vista come una voce singola, isolata e di conseguenza particolarmente legata alla tipica versione di un femminismo storico, nell’adattamento seriale vi è un’evoluzione che abbraccia la “fourth wave feminism”.

In The Handmaid’s Tale Offred (Elisabeth Moss) acquisisce una nuova natura, propensa all’azione e alla ribellione nei confronti della distopia di un mondo post-tardo capitalista governato da una società fallocentrica. Il focus successivamente è virato sul concetto di personaggio distopico, un ambito d’indagine generalmente poco affrontato in questo campo di studi che solitamente predilige aspetti legati alla sociologia.

Linguaggio come punto di partenza

Serena De Michelis ha infatti spiegato come il genere della fantascienza distopica sia stato spesso definito antiletterario proprio per non mettere quasi mai in risalto gli uomini e le donne all’interno del racconto. Secondo questo ragionamento l’immagine che ne conviene è negativa, relegando i personaggi distopici alla sfera del perturbante, archetipi testuali che al tempo stesso diventano dei doppi parodici.

Un esempio riguarda Philip Roth e American Pastoral, dove il protagonista è l’alter-ego dell’autore stesso. Il perturbante abbraccia inevitabilmente – parlando di futuro – l’ultracontemporaneo, condizione sociale che bersaglia lo status quo dell’oggi. Gli incontri della mattina si sono infine conclusi con il panel tenuto da Valentina Romanzi e le metamorfosi postumane.

Un’analisi che partendo da Così si perde la guerra del tempo ha sviscerato il linguaggio umano, che attraverso la metafora raggiunge la corporeità fino ad arrivare alla metamorfosi vera e propria, un percorso in divenire utile al raggiungimento di quello che sarà il postumanesimo.

Il primo panel del pomeriggio ha posto al centro del discorso teorico la letteratura speculativa e la critica femminista. Analizzando due romanzi (Vox e Ragazze elettriche) Valeria Franceschi, ricercatrice, ha dimostrato come il linguaggio che incontra nei libri l’utopia femminista venga usato per ribaltare dei canoni letterari di natura patriarcale.

Oltre ciò, specialmente in Ragazze elettriche, anche l’azione fisica – come nel caso di The Handmaid’s tale – è fondamentale per sovvertire dinamicamente un concetto di “donna indifesa” ancora troppo diffuso nel contemporaneo.

Da Metropolis a Mad Max: Fury Road

I successivi interventi infine sono virati sul mondo del cinema. In particolare le ricercatrici Silvia Cavalieri e Sara Corrizzato, partendo dalla figura dell’Enigmista hanno ampliato da un punto di vista linguistico la natura degli indovinelli del personaggio appartenente all’universo DC comics, analizzando come con il passare degli anni anche la complessità e la natura di tale indovinelli sia mutata.

Sempre di Settima arte ha parlato anche Dara Renna attraverso Mad Max: Fury Road, uno dei film distopici per eccellenza. In questo panel in particolare è stata sviscerata la distopia ambientale presente del capolavoro di George Miller, mostrando come questa condizione socio-climatica ha cambiato la popolazione dei soggetti diegetici, in particolare dei cosiddetti War Boys.

E ancora il critico cinematografico Gabriele Ferrari è stato fondamentale per tracciare un filo conduttore dell’intera giornata, attraverso un percorso in 120 anni di Storia del Cinema distopico, ponendoci una domanda fondamentale: “Perché ci piace così tanto che le cose vadano male?”

Un quesito a cui forse lo scrittore Marco Sommariva ha provato a rispondere in Ombre del futuro: 350 anni di letteratura distopica. Il volume definitivo per chiunque voglia addentrarsi in questo oscuro e affascinante universo.

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