Chi ha ancora in mente i tristi anni della Lega Pro ricorda che non è stato il Verona più bello e di qualità a uscire dalle sabbie mobili, ma quello più aggressivo, con lo spogliatoio più compatto, con lo spirito più duro. Un gruppo di onesti mestieranti del pallone, senza grilli per la testa, determinati a vincere e con un vero leader in panchina.

Sogliano è tornato e ha trovato uno spogliatoio abbattuto, completamente privo del sacro fuoco ancor più necessario alle squadre di provincia. Gli sono bastati pochi minuti per capire quanto servisse una terapia d’urto: guardarsi negli occhi e raccontarsi la verità. Il Verona raffinato dell’anno scorso non c’è più, è stato smontato. Questo Verona deve essere ruvido, operaio, concreto.

Così è arrivata la scelta di un allenatore come Marco Zaffaroni. Il mister lombardo, ricevuto come un escamotage per permettere a Salvatore Bocchetti di restare al suo posto, ha dimostrato in poche settimane di essere un allenatore vero. È un uomo che dietro il suo stile pacato e i suoi toni cordiali si porta dentro l’esperienza della serie minori. Un “coach in tuta” che conosce l’importanza della determinazione e che sa quanto sia importante far uscire il meglio anche da giocatori meno talentuosi.

Vecchie e nuove gerarchie

Così si spiegano anche le scelte sul campo, finalmente chiare, e le nuove gerarchie. L’indisponente Henry, sulla carta il più forte dello scarno ventaglio degli attaccanti gialloblù, è scalato al terzo posto nelle scelte per la punta centrale. Al suo posto Djuric, meno raffinato ma più combattivo e fisico. Il suo compito è fare il punto di riferimento davanti e spizzarla per le rapide mezz’ali e lui, il suo, lo fa: le prende tutte, combatte, si sbraccia, prende qualche fallo, ne commette altri, tiene forse pochi palloni ma non molla mai. Promosso caporeparto. 

Doig si intende bene con Lazovic. Il serbo ha piede e gamba, ma l’età avanza e la fascia è lunga da calcare. Lo scozzese è la sua staffetta naturale: i suoi tre polmoni gli garantiscono la lucidità nella giocata anche dopo 60 metri di galoppo, e con lui Lazovic può riposarsi un po’ ed essere più pronto in zona gol. Una bella doppietta – la prima in carriera – lo dimostra: il serbo ha tirato la carretta della fascia gialloblù per anni, ora è il momento di raffinare il lavoro dei giovani.

Se è scontato che l’Hellas attacchi di più a sinistra, dal lato dei due biondi, dall’altra parte c’è l’onesto Depaoli che, con un po’ di qualità in meno ma con lo spirito del cagnaccio, copre la sua zona con ordine. Davanti a lui l’entusiasmo di Kallon. Il giovane della Sierra Leone ha i colpi e la voglia ma va certamente smussato e governato, e un allenatore pragmatico come Zaffaroni potrebbe essere l’uomo giusto per il lavoro.

L’abbraccio dei giocatori dell’Hellas dopo un gol di Lavovic – Fonte profilo Facebook dell’Hellas Verona

Anche a centrocampo sta succedendo qualcosa. Con il rientro di Ilic dal primo minuto e qualche sprazzo del Tameze ammirato l’anno scorso, la mediana ha lavorato con ordine. Niente di trascendentale, parliamoci chiaro. Il francese è ancora lontano dallo spettacolare padrone della mediana forgiato da Tudor, ma la strada è quella giusta. Il suo movimento a seguire la discesa di Doig ha reso possibile qualcosa che a Verona non si vedeva da troppo tempo: un contropiede finalizzato.

Per Ilic invece il discorso è più complicato: il giovane nazionale serbo ha qualità indiscutibili, ma non si è mai scrollato di dosso una certa flemma che a Verona piace poco. Se si aggiunge la sua forma fisica non ottimale la situazione certo non migliora. Eppure la sua presenza si sente, il 14 ha nelle corde la scelta giusta a centrocampo, i tempi di gioco per governare il possesso palla, la testa alta per pianificare l’assedio. Se Sogliano e la coppia Bocchetti-Zaffaroni riuscissero a rianimarlo il Verona avrebbe risolto di certo i suoi problemi a centrocampo.

Dietro, infine, il Verona può finalmente sorridere. La porta di Montipò è rimasta inviolata dopo un’eternità, e tutto il terzetto di difensori ha fatto una prova convincente. Certo, è sempre necessario pesare la prestazione con la qualità – scarsa – degli avversari, ma di questi tempi non è proprio possibile rinunciare a una buona notizia.

La fiamma che può accendere la fornace.

Sogliano l’ha capito: lo spogliatoio e l’ambiente di Verona sono come un altoforno, per rendere al massimo devono entrare in temperatura, se si raffreddano si sfaldano e vanno ricostruiti. Per alimentare la fornace servono uomini duri e allenatori abituati a sporcarsi le mani. Per questo l’operaio Zaffaroni è stata, ancora una volta, la scelta giusta del diesse.

I quattro punti raccolti a Torino e al Bentegodi non devono creare facili entusiasmi – la Cremonese di ieri sera è stata francamente poca cosa – ma dimostrano che siamo su un sentiero. È presto per dire che sia quello giusto ma per lo meno è un sentiero, per quanto lungo e accidentato. Il lavoro di Sogliano è appena cominciato, così come quello di Zaffaroni, e il mercato deve rapidamente entrare nel vivo, anche per alimentare la fiammella accesa in queste prime due gare.

Ora si va a Milano con la testa di chi non ha nulla da perdere, anche se non è vero. Un risultato contro l’Inter varrebbe ancora più dei punti in questa fase delicatissima. Sarebbe una soffiata potente sotto quella fiammella che va preservata: una scintilla di speranza che deve riaccendere l’altoforno.

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