Lo so, avevo detto che con l’ultima pillola avevo chiuso di scrivere sul Mundial. Però c’erano un paio di cosette che mi premevano, alcune troppo lunghe per un post social. Quindi, eccoci qui.

Messi o Maradona?

Parto subito dal nodo gordiano, una di quelle domande irrisolte che ci portiamo dietro da anni tipo se sia più forte Batman o Superman, vuoi più bene alla mamma o al papà e perché i Jalisse non tornano a Sanremo. Ora che Messi ha vinto tutto il vincibile sul globo terracqueo, e che tutto il panegirico su chi ha portato l’Argentina sul tetto del mondo va considerato come archiviato, possiamo osservare la questione dal giusto punto di vista. Maradona o Messi è il paragone più inutile della storia.

Leo non avrebbe mai potuto essere Diego, e viceversa. Gli uomini sono diversi, il calcio è diverso ma, soprattutto, l’Argentina è diversa, il mondo è diverso, la storia ha fatto il suo corso e i personaggi ne seguono le pieghe.

Parto dagli uomini: anche prima di ieri pensare di ritrovare la malizia della strada, che assottiglia il già labile confine tra coraggio e astuzia truffaldina, in uno che è stato un 13enne trasportato dall’altra parte del mondo, sottoposto a cure con ormone della crescita e diventato adulto nel contesto certamente più ovattato della Masia, era un’ipotesi azzardata, se non ingiusta.

Il campo lo lasciamo perdere, altrimenti non ne usciamo più tra chi mette sul piatto le emozioni dei propri ricordi e chi numeri e titoli. Guardiamo al contesto storico, piuttosto. Diego si rivela in un’Argentina stritolata dalla dittatura, dove i cadaveri dei giovani dissidenti vengono gettati dagli aerei in mezzo all’oceano e l’ESMA (Escuela de Mécanica de la Armada) viene riconvertita in un centro di tortura che nulla ha da invidiare a certe esperienza europee che ora sembrano lontane secoli. In questo scenario Maradona muove i primi passi pallonari da professionista. Il fuoriclasse ribaldo che non sopporta le regole, dei generali e degli uomini, non può che diventare l’unico specchio in cui un’intera generazione vede riflessi i propri aneliti di libertà. Un popolo senza diritti civili ha sempre bisogno di un Robin Hood in grado di trasportarne i sogni. E pazienza se segna di mano, se finisce per soccombere ai propri demoni, l’importante è che ci abbia fatto volare quando tutti cercavano di spezzarci le ali.

Leo viene calcisticamente al mondo in una realtà totalmente diversa. In una società che nel giro di pochi anni si trasforma da analogica a digitale, dove ogni suo passo può essere seguito da migliaia di cellulari e non esiste un solo istante delle sue prestazioni sportive che non venga ripreso, trasmesso e analizzato in ogni angolo del globo. Messi non deve combattere contro i generali, ma contro la bulimia di titoli e record di uno show che forse non menerà come i difensori degli anni ’80, ma corre a velocità pazzesche, da toglierti il respiro. Non gli sarebbero stati permessi i vizi di Diego, non sarebbero state perdonate le sue cadute, perché il mondo non ne ha più bisogno. L’Argentina stessa, pur mantenendo salda la propria fede laica verso Diego, cerca qualcuno di diverso. D’altronde non solo Robin Hood, ma anche la Bibbia, fossero scritti oggi, finirebbero a prendere polvere sugli scaffali. E vivere fuori dalla storia, comunque, non giova mai a nessuno.

Oltre il calcio, nei territori della fede.

Ode agli sconfitti

In un mondiale che verrà ricordato più per i giocatori che per il gioco, a rendere indimenticabili certe partite ci vogliono anche le storie di chi, alla fine, esce sconfitto. E, ovviamente, il primo riferimento non può essere che Mbappé, che segna una storica tripletta in finale, non la vince e va a ritirare il premio del capocannoniere con lo sguardo di chi si trova una busta verde nella cassetta della posta. Il futuro è suo. Fisicamente devastante come solo il primo Ronaldo, Luis Nazario, ci ha regalato un mondiale sul quale ha dominato e una finale che per èpos la metto a fianco della straziante Nadal vs Federer a Wibledon 2008.

E poi l’irrisolvibile devozione alla sconfitta degli inglesi, la disciplina sociale del Giappone e il suo amore per la bellezza che gli impedisce ontologicamente di vincere nella maniera meno pura, dal dischetto. Il coraggio belluino del Marocco, che affronta le partite come una carica di cavalieri Tuareg, lanciati attraverso il deserto offrendo il petto alle scariche dei fucili dell’Armée d’Afrique.

Peccato per la parabola triste, solitaria y final di Cristiano Ronaldo. L’epilogo malinconico di una gestione pessima dell’ultimo anno e mezzo del portoghese.

Date un Nobel a Bizzotto

Personalmente, che l’indole austriaco-teutonica di Stefano Bizzotto non abbia preso il sopravvento, evitando di mettere al muro il profeta di Correggio durante le telecronache, la considero una grande vittoria della civiltà umana. Se abbiamo dato un Nobel per la pace ad Obama non vedo perché Bizzotto non debba già essere in viaggio verso Stoccolma.

A parte gli scherzi, Adani l’ho già abbondantemente preso in giro durante il Mondiale, ma il motivo, di base, c’è. Ed è la sensazione che in lui tutto (gli eccessi, le emozioni e pure la sofferenza) sia abbondantemente preparato in minuziose prove in camerino. La faccia stravolta durante il collegamento in studio durante la finale, le urla sguaiate, le citazioni e pure il video “rubato” del bacio alla bandiera, spostano l’attenzione dai protagonisti del campo verso l’ego di un narratore che vuole prevalere sul suo stesso racconto.

Le emozioni vere, quando sono così forti, atterriscono. Fateci caso, date un’occhiata al video che ritrae i telecronisti argentini di Telemundo (lo trovate facile sul web) mentre Montiel sta battendo il rigore decisivo. Perdono le parole, uno tsunami li travolge e, tremanti, l’unica cosa che riescono a fare è ripetere ossessivamente “Argentina Campeón del Mundo“. Toccandosi a vicenda come a cercare la prova tangibile che quell’istante stia accadendo davvero. Adani probabilmente avrebbe colto l’occasione per snocciolare una decina di aneddoti, riferimenti ai trisavoli e all’amore per il gioco. Tutto nel calderone, dimenticando che Victor Hugo Morales è figlio dello stesso mondo di Maradona, e allora sì un gol, o una giocata, è forse l’unico momento in cui puoi permetterti di piangere per qualcosa che va oltre il campo e, soprattutto, di chi sta dietro un microfono.

Quando ancora non sai che sta per arrivare il Dibu Martinez

Re Mida Infantino

Eredita un Mondiale che puzza di petroldollari, geopolitica e morte. La frittata l’ha fatta chi gestiva il business del calcio prima del suo arrivo al vertice della FIFA, ma di certo non fa niente per addolcire la pillola. Anzi, cerca di rendere l’atterraggio in Qatar il meno turbolento possibile. Fa il paggetto dell’emiro anche a costo di perdere sponsor milionari tipo Budweiser. Metteteci anche le polemiche per i prossimi Mondiali a 48 squadre e l’ultima novità di un Mondiale per Club aperto a trenta e passa formazioni e che sembra più un carrozzone senza capo né coda per tirar su anche gli ultimi spiccioli di diritti tv. Diciamo che non siamo di certo al cospetto del campione del “calcio più umano”.

Ecco, di fronte a tutto questo gli capita tra le mani la finale più bella degli ultimi 40 anni e una sfida tra i due più forti al mondo che farà parlare di questo match e del mondiale invernale anche per i prossimi 40. Non sarà simpatico eh, ma una discreta dose di culo dobbiamo riconoscergliela.

Italians do it better

Dovendo trovare argomenti quotidiani per le pillole, questo mesetto ho girovagato parecchio su siti, blog social e via discorrendo. E niente, è stato davvero come uno studio sociologico su un popolo, il nostro, che qualche domandina dovrebbe porsela. Siamo partiti dal boicottare i Mondiali e siamo finiti in massa davanti alla tv a seguire anche la tragedia umana dei quattro minuti di Bobo TV che ci propinavano ogni giorno.

Sono rimasto obiettivamente perplesso di fronte alla rabbia e al livore coi quali migliaia di noi si gettavano su qualsiasi argomento, video o scatto che potesse scatenare una polemica. E, sinceramente, la solita spiegazione che sui social e sul web le gente sfoga le proprie frustrazioni, comincia a starmi un pochino stretta. C’è qualcosa che va oltre lo sport, il campanilismo e le idee. Come la rabbia cieca di chi non capisce, si sente tradito e reagisce disperato come una belva ferita. È un rumore profondo, che non stiamo analizzando come si deve.

Poi mi rendo conto che, in qualche modo, anche le Pillole hanno contribuito a dare ossigeno a certi dibattiti. E allora benedetta sia la coppa alzata al cielo e la fine di un mese così intenso. C’è bisogno di prendere aria, rallentare il battito e riflettere. Almeno per il sottoscritto. Per cui sì, queste sono davvero le ultime parole su Qatar 2022.

BONUS TRACK: Batman è meglio di Superman. Scrivetelo sulla pietra.

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