«Le biblioteche dovrebbero essere per tutti, non solo per chi legge, ma anche per chi non ha confidenza con i libri. Oggi nelle biblioteche entra solo il 7% della popolazione». Ha esordito così Antonella Agnoli in dialogo con monsignor Bruno Fasani all’incontro promosso dalla Biblioteca capitolare di Verona sul tema “Avremo ancora bisogno di biblioteche?”, lo scorso venerdì 11 novembre.

Antonella Agnoli. Foto di Laura Bertolotti

Consulente di diverse amministrazioni per la progettazione di biblioteche e la formazione del personale, Agnoli con il suo lavoro mira a favorire la creazione di luoghi non solo votati alla conservazione del sapere, ma anche aperti al “saper fare”. Nel suo curriculum, la fondazione e la guida della biblioteca di Spinea, Venezia, poi la progettazione e direzione della biblioteca San Giovanni della città di Pesaro. Per la Civica di Verona, ha collaborato al progetto di ristrutturazione.

A questo si aggiunge anche il ruolo di assessora alla Cultura del comune di Lecce nel 2017 su invito del sindaco Carlo Salvemini, e l’esperienza quale componente del Consiglio superiore dei Beni culturali e paesaggisti del Mibact.

A tutto ciò, affianca un’attività di saggista e ha pubblicato diversi volumi, tra cui La biblioteca per ragazzi (Aib 1999), Le piazze del sapere (Laterza 2009), Caro Sindaco, parliamo di biblioteche (Bibliografica 2011), La biblioteca che vorrei (Bibliografica 2013), Un viaggio fra le biblioteche italiane (Anci 2016).

La biblioteca come spazio sociale

In alcune sue pubblicazioni, Agnoli parla preferibilmente di “biblioteca sociale“, sul modello statunitense e nordeuropeo. Rispetto alla fruizione del servizio nei piccoli centri e nei quartieri, ha sottolineato durante l’incontro veronese che «bisogna ascoltare i cittadini, individuare i loro bisogni e creare luoghi con i libri disseminati nel territorio, perché il tema della prossimità è riemerso con vigore durante e dopo la pandemia».

Una fase che secondo Agnoli ha messo in luce «la necessità e l’abitudine di cercare vicino una serie di servizi pubblici e commerciali, per una vita che non richieda necessariamente l’uso dell’auto».

Antonella Agnoli con il prefetto della Capitolare, monsignor Bruno Fasani, durante l’incontro sul tema “Avremo ancora bisogno di biblioteche?”.
Foto di Laura Bertolotti

Il welfare della conoscenza

Nella riflessione che propone Agnoli le biblioteche potrebbero essere rinominate “case di cultura”, o “mini-piazze del sapere”, o “case del popolo”, per togliere loro quell’aura che allontana chi non studia e non legge e pertanto non osa entrarvi. «La biblioteca è parte del sistema di welfare della conoscenza, per essere attrattiva per tutti, democratica», ha sottolineato l’esperta durante l’incontro, che fa parte di un ciclo di dibattiti organizzato dalla Fondazione Biblioteca Capitolare di Verona.

«La biblioteca deve diventare un centro polifunzionale, con spazi flessibili al suo interno, a seconda dell’orario della giornata. Così da ospitare non soltanto scaffali e scaffali, ma anche laboratori, corsi, concerti, conferenze, mostre».

La biblioteca diventa così un centro di relazione, come lo erano le piazze di una volta: aperta, gratuita, in cui si entra e si esce senza essere giudicati. Funzionante persino in orario serale e nel fine settimana, con personale dotato di competenze trasversali, capace di comunicare e facilitare la fruizione dei servizi, prestito dei libri compreso.

Accessibili per tutti

«Questo è uno spazio culturale fatto prima di tutto dalle persone, poi dal personale e dalle sue collezioni», ha sottolineato Agnoli. La biblioteca “silenziosa”, con i libri in attesa di lettori, sembra aver fatto il suo tempo e lo dimostrano ampiamente le esperienze di altri Paesi e, in Italia, le sezioni di biblioteca per l’infanzia, dove i libri sono alla portata di bambini e bambine, le sedie sono a loro misura e vi si raccontano storie molto animate dagli stessi piccoli lettori.

Una biblioteca da vivere, foto di Photo Vinicius “amnx” Amano, Unsplash

Ma la reputazione delle biblioteche come luoghi per pochi cambia solo se ne cambia la percezione tra la gente, se le biblioteche sono situate vicino ai luoghi commerciali, per esempio, come dimostrano esperienze compiute in altri Paesi, e se vi si può accedere liberamente, a prescindere dall’estrazione sociale o dalla provenienza geografica.

Quale patrimonio per i posteri

Già in Le piazze del sapere del 2014, Agnoli sottolineava che “in un mondo dove abbiamo barattato l’illusione della sicurezza con un controllo capillare delle nostre vite […] le biblioteche, le piazze, i parchi devono essere difesi come territori dell’anonimato, dell’incontro casuale, della libertà metropolitana”.

Alla domanda del prefetto monsignor Fasani sull’effetto che le ha fatto la Biblioteca capitolare, Agnoli ha risposto apprezzandone la cura e la volontà di aprirla al grande pubblico e «non solo agli studiosi. Biblioteche di questo tipo continueranno a esistere, ma c’è il rischio che manchino, in futuro, le persone in grado di capire il patrimonio che custodiscono».

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