Quella che imperversa in Ucraina e occupa buona parte dei media, oltre che dei nostri pensieri, è una guerra atipica, molto diversa da quelle che abbiamo conosciuto, malamente, dai libri di scuola. È diversa sia per la portata geografica, sia per quella metodologica.

Papa Francesco, parlando con i gesuiti della regione russa, ha tenuto a precisare che «non ci sono buoni e cattivi, vanno indagate le ragioni scatenanti» ed è stato forse il primo tra i capi di Stato a definire chiaramente la situazione. «Non è una guerra tra Russa e Ucraina – ha detto, senza giri di parole – È una guerra mondiale». Ma non è solo questo.

La guerra ibrida

La definizione “hybrid warfare” accoglie numerose tipologie di guerra che privilegiano interventi mediati a quelli prettamente militari, il cui comune denominatore è rappresentato dalla coercizione per interposto avvenimento, nel senso di costringere il Paese attaccato a comportarsi come desidera l’aggressore senza l’uso delle armi convenzionali, fuori dagli schemi fisici di azione e reazione.

Solo per citare alcuni casi a titolo di esempio didattico, sono parte della guerra ibrida gli attacchi contro le infrastrutture di comunicazione, le sanzioni economiche o il boicottaggio politico e finanziario, il sabotaggio di impianti produttivi strategici e perfino il supporto logistico ed economico alle rivoluzioni o ai ribaltoni di governo.

Sabotaggio a Nord Stream

L’evento più recente di hybrid warfare è ben rappresentato dalle esplosioni che hanno causato falle ai due gasdotti paralleli che uniscono la zona di San Pietroburgo alla Germania. Va subito detto che entrambi non erano operativi: il primo per volontà del presidente Putin che, adducendo ragioni di manutenzione straordinaria ha progressivamente chiuso il rubinetto a monte; il secondo, fortemente voluto dalla cancelliera Merkel è stato per qualche motivo accantonato dal suo successore Scholz subito prima dell’invasione in Ucraina.

A differenza di quanto riportato nel mainstream, non ci sono state perdite effettive alla fornitura di gas, che già era praticamente nulla, così come non si dovrebbe avere un impatto di rilievo sugli ecosistemi per lo sversamento minimo del gas comunque sempre presente nelle tubature. L’effetto più concreto di questa azione di sabotaggio sta nella semplicità con cui è stata portata a termine, dal dover riconoscere la massima vulnerabilità dell’Europa ad attacchi contro le proprie infrastrutture.

Chiunque abbia lanciato i siluri, e nel Baltico ci sono più sottomarini che storioni, di tutte le bandiere, sapeva che il danno economico sarebbe stato minimo e puntava invece a renderlo un monito per ulteriori, più dirompenti azioni, magari indirizzate a satelliti o cavi sottomarini per la rete internet. Se ne parla da un po’ ma due buchi in un tubo hanno dimostrato che “si può fare”. E senza grandi difficoltà.

Armi tattiche nucleari

Contenere le perdite reali ma spaventare con quelle potenziali è in sostanza lo stesso principio alla base delle armi tattiche nucleari, anch’esse tornate alla ribalta mediatica dopo il discorso di Putin alla nazione, in cui l’accenno all’uso “di ogni mezzo a disposizione” ha portato molti analisti alla conclusione che potrebbero essere utilizzati proprio questi ordigni.

In generale, la differenza tra armi tattiche e armi strategiche risiede nella dimensione fisica, nella forza distruttiva ma anche, forse soprattutto, nel diverso scopo di utilizzo: mentre le armi tattiche mirano a contrastare un’azione determinata e presente dell’avversario, quelle strategiche hanno una finalità di deterrenza e avvertimento in ottica futura.

Numeri: potenza e distanza

Per quanto riguarda la dimensione, le armi nucleari convenzionali misurano tra 100 e 1000 chilotoni, mentre quelle tattiche variano tra 1 e 50 chilotoni. Questo non significa che siano “light” quanto alla distruzione che comportano. Basti pensare che l’atomica sganciata su Hiroshima misurava “soltanto” 15 chilotoni.

Un’altra differenza sta nel sistema di trasporto, con le armi tattiche che hanno ovviamente un raggio d’azione più corto, tipicamente sotto i 500 km, mentre quelle convenzionali sono disegnate per rotte intercontinentali. Le armi tattiche nucleari possono essere lanciate da navi, aerei e anche forze di terra; la maggior parte sono installate su missili a corto raggio, proprio come quegli Iskander M convenzionali che la Russia sta utilizzando in Ucraina.

Altri numeri: dove e quante

Nonostante non siano espressamente citati (ovvero, vietati) nei trattati contro la proliferazione delle armi letali più famosi, il numero degli ordigni tattici nucleari appare in forte ridimensionamento a partire dalla Guerra Fredda. Purtroppo, ciò non avviene per ragioni di sensibilità dei Governi ma solo perché nel frattempo sono state create alternative altrettanto potenti (se non di più) e con minori problemi logistici.

Regno Unito e Francia hanno smantellato il proprio arsenale, mentre gli USA mantengono sul suolo europeo circa 150 ordigni a caduta libera B61, soprannominati “bombe stupide” perché colpiscono il suolo per pura spinta gravitazionale, appena condizionata da fattori quali direzione e velocità dell’aereo. Altri ordigni tattici nucleari sono nelle mani di Cina, Corea del Nord, India, Israele e Pakistan, in ordine puro alfabetico.

Guardando ai numeri complessivi del nucleare, tattico e strategico, gli USA contano circa 3700 ordigni, mentre la Russia ne conserva 4500. Numeri in forte calo dai 19.000 e 35.000 rispettivi durante la Guerra Fredda. Ma numeri ancora enormi.

LA domanda, quella vera

Putin stesso ha tenuto a precisare che il suo “non è un bluff”, probabilmente perché ben conscio delle reazioni degli analisti militari e politici a una minaccia di escalation. Un effettivo attacco all’Ucraina con un ordigno tattico nucleare avrebbe infatti molti svantaggi, anche per la Russia.

Prima di tutto, sganciare sull’Ucraina, seppur contenendo la potenza dell’arma nucleare utilizzata, porterebbe distruzione a un Paese già dilaniato ma anche contaminazione radioattiva. E sono per natura elevate le probabilità che tale fallout radioattivo possa raggiungere la Russia stessa e colpire quei territori che sta facendo ogni sforzo per annettere al proprio territorio. Inoltre, aumenterebbe la probabilità di un intervento diretto della NATO, che un esercito oggettivamente indebolito avrebbe difficoltà a contrastare, oltre a distruggere l’immagine della Russia nel mondo.

Già, il mondo. Gli amici storici di Putin si stanno progressivamente allontanando, con dichiarazioni piuttosto radicali – e in qualche modo sorprendenti – seppur senza un’aperta condanna all’invasione. L’economia reale allo stremo e la recente chiamata alla leva obbligatoria contribuiscono ad accrescere scontento e proteste nella popolazione, mentre una corrente di pragmatisti sta emergendo anche a livello politico. Tutte quisquilie, argomenti che in tempi normali neppure sfiorerebbero la ferrea volontà dello zar.

Ma questi sono tempi eccezionali e noi continuiamo a sperare che usi la testa, per una volta.

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