“Spendiamo bene il tempo che abbiamo in vita”
Stefano Massini, nell'ultimo appuntamento veronese del Festival della Bellezza, ha incantato il pubblico con un monologo dedicato all'amore e ai suoi modelli letterari. Per invitare a non usarli.
Stefano Massini, nell'ultimo appuntamento veronese del Festival della Bellezza, ha incantato il pubblico con un monologo dedicato all'amore e ai suoi modelli letterari. Per invitare a non usarli.
Non poteva finire meglio l’appuntamento con Verona del Festival della Bellezza 2022, che in realtà prosegue in questi giorni con altri appuntamenti a Mantova, Firenze e Padova.
Il monologo dal titolo “Amore e dopoguerra” di Stefano Massini, andato in scena al Teatro Romano domenica 25 settembre al termine di una settimana di incontri (da Rampini a Sgarbi passando per Galimberti e Soncini) è stata la ciliegina sulla torta di una kermesse iniziata a giugno e che da ben nove edizioni porta a Verona alcuni degli autori, attori, giornalisti ed esperti più apprezzati a livello nazionale. Certamente il Festival ha saputo negli anni conquistare sempre più veronesi, interessati ai contenuti e alle performance proposte di volta in volta, ma negli ultimi anni, con l’ingresso nella “scuderia della bellezza” di nuove e originali voci, come quella di Arianna Porcelli Safonov o dello stesso Massini, ha avuto il merito di ridare fiato e sostanza a una manifestazione splendida ma la cui unica pecca è stata, nel tempo, proprio quella di riproporre ogni anno quasi sempre gli stessi autori, a tal punto da creare negli spettatori l’inevitabile e non sempre piacevole effetto deja vù.
Eppure la formula evidentemente piace e raggiunge un numero sempre maggiore di consensi e quindi, come si suol dire in questi casi con una frase che Massini, come vedremo alla fine, non avrebbe certo apprezzato…squadra che vince non si cambia. Se non nei minimi dettagli o nei particolari. E di particolari e dettagli Stefano Massini l’altra sera, ad una infreddolita ma determinata platea, ha concesso oltre un’ora di commovente monologo, che ha saputo cavalcare il tempo e i riferimenti letterari e storici nel modo più temerario ed efficace possibile, conducendo per mano chi lo ascoltava lungo un percorso partito da Guttemberg (e la sua invenzione della stampa a caratteri mobili) e finito con l’interpretazione di impareggiabili capolavori della letteratura mondiale.
Per dire che cosa? Per dire che in fondo in amore siamo quasi tutti affannati a ricreare un modello, quel modello che ci viene dato – proprio da quando è stata inventata la stampa e poi il cinema, la televisione e internet – in pasto continuamente e che ha creato più danni di qualsiasi altro tentativo di manipolare la mente delle persone. Persino il “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, tanto caro alla nostra città, ha rappresentato una distorsione di quello che è il vero racconto sentimentale, contribuendo a creare appunto un modello – insieme a tanta altra letteratura, discografia e filmografia mondiale, senza dimenticare l’epoca d’oro dei serial televisivi anni ’90 con Dinasty, Dallas e Beautiful – ben poco vicino alla realtà. E cioè che per amare bisogna essere giovani e belli e possibilmente ricchi. Tutti gli altri non hanno diritto ai sentimenti.
Eleanor Green, celebre scrittrice di romanzi rosa, arrivata alla fine della sua lunga vita disse a chi la intervistava e le chiedeva un insegnamento sull’amore: “Noi arriviamo impreparati all’amore”. E non è un caso se Dante mette all’inferno, pur con tutta la compassione di cui è capace, Paolo e Francesca, i due innamorati che si lasciarono andare alla passione proprio seguendo il modello “galeotto” di Lancillotto e Ginevra, fedifraghi nei confronti di Re Artù. E che dire di Madame Bovary, la celebre eroina di Flaubert, intrisa di amore letterario, che arriva allo struggimento e alla morte nel tentativo vano raggiungere l’ideale romantico? In quel capolavoro di “Onegin”, scritto da Aleksander Puskin, i protagonisti si scontrano con le loro aspettative e le loro paure, ma poi la bella Tatiana prima rimane delusa e poi – sul finire della novella – insegna al fatuo Onegin che “l’amore è la scienza degli attimi e di chi sa coglierli e viverli”.
La storia, il mito, sono intrisi di questa ricerca del modello, che spesso però porta a disastri enormi. Si pensi a Teseo e ad Arianna, abbandonata su un’isola dall’eroe che per lei aveva accettato la sfida di entrare nel labirinto di Cnosso e uccidere quella bestia feroce del Minotauro, salvo poi, appagato da se stesso e dalla propria impresa, disinteressarsi alla donna, fuggita con lei e rimasta poi, letteralmente, sedotta e abbandonata. O Pablo Picasso, che nei confronti di Dora Maar aveva un rapporto che lei stesse definiva “la replica continua di un modello”, cercato e allontanato dal celebre pittore di Malaga.
L’episodio più significati e che in qualche modo è la “summa” del discorso di Massini è quello relativo a Erik Weisz (in arte Houdini) e a sua moglie Bess, la quale per dieci anni, dopo la morte del marito e su sue precise istruzioni, fece nel giorno dell’anniversario della sua morte una seduta spiritica, allo scopo di entrare in contatto con il defunto. “Se nell’aldilà c’è un modo per mettersi in contatto con i vivi io ti prometto che lo troverò”, disse l’illusionista in punto di morte alla consorte. E lei, per dieci anni e con ineguagliabile costanza, tentò e per dieci anni rimase delusa. Dopo l’ultimo tentativo, però, a chi fra i giornalisti presenti all’ultimo evento le chiese un riscontro, lei disse: «Questa è una bella notizia. Significa che il tempo che abbiamo per amare è quello che abbiamo in vita, quando siamo su questa Terra. Non ne abbiamo altro, perché dall’aldilà non possiamo metterci più in contatto con i nostri cari. E quindi spendiamo bene il nostro tempo, perché è unico e irripetibile. E quel tempo lo dobbiamo passare con le persone che ci rendono felici e che amiamo, senza compromessi e senza accontentarci.»
Un excursus storico-letterario da applausi, raccontato tutto d’un fiato e con la consueta maestria da Massini, che ha saputo catturare dall’inizio alla fine l’attenzione del pubblico accorso al Teatro Romano. Il quale, giustamente, lo ha applaudito a lungo. Massini, fresco vincitore dei Tony Awards a Broadway con la sua trilogia sui Lehmann, ha voluto infine regalare un’ultima “chicca” al suo pubblico e con un cambio repentino di “mood” ha incanalato in un bis raccontato “senza fiato” prendendosela in maniera divertente con i luoghi comuni, utilizzati spessissimo nel linguaggio corrente, da evitare ed evitare ed evitare ancora. Un pezzo di teatro intelligente e sagace, che ha saputo regalare, dopo le lacrime della prima parte dello spettacolo, anche un sorriso ai veronesi, usciti commossi e divertiti da un incontro che di sicuro ricorderanno a lungo.
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