Un’ora di attesa per undicimila fan accorsi dai cinque continenti per ascoltare il Re Inchiostro all’Arena di Verona lunedì 4 luglio. La pioggia, invocata come non mai in questa torrida estate, ha rischiato fino all’ultimo di far sfumare l’evento, a quattro anni di distanza dall’ultima apparizione del Bardo australiano, dopo l’ennesimo lutto, la scomparsa del figlio trentunenne Jethro avvenuta lo scorso maggio. 

Forse per questo Nick Cave durante il generoso show di quasi due ore spesso scende tra il pubblico cercando abbracci e stringendo mani, rivolgendosi al pubblico in platea come «the deads» e a quello in gradinata come «the livings». 

La discesa nel fucking hole

SI parte con “Get ready for love”, dichiarazione d’intenti di una scoperta verso l’altro (il pubblico? Dio?) che sia di accettazione, nonostante la sofferenza che questo può significare. “There she goes, my beautiful world” e “From her to eternity” sembrano risolvere questa ricercare, con il frontman dei Bad Seeds che scende nel fucking hole – come lui stesso definisce il pit davanti al palco – e stringe mani, cerca il contatto. 

Nick Cave and The Bad Seed dominano il palco dell’Arena di Verona, con uno storico concerto lo scorso 4 luglio.

Al pianoforte per i due figli scomparsi

Sapendo che per lui la platea è the deads vien da chiedersi se questo non sia per lui una tensione verso quell’eternità irraggiungibile. “Oh children”, il pezzo successivo, cosi come le struggenti “I need you” e “Waiting for you” dedicate ai due figli scomparsi, rimettono in luce quella tenerezza che il fondatore dei Birthday Party sembrava da sempre aver rinnegato, tale è il trasporto con cui si siede al pianoforte.

“Bright horses” che lui dedica alla band, epica e travolgente, è la gemella cattiva del “Higgs Boson blues”, ineluttabile tanto nel suo incedere quanto nelle liriche. “Jubilee street” e “Carnage” sono già dei classici, anche se pubblicate negli ultimi dischi, con arrangiamenti forse meno sontuosi e più diretti. 

“Tupelo” riporta Cave in mezzo al pubblico, mentre con l’omaggio al blues gospel di Blind Willie Johnson “City of refuge” e la critica antirazzista di “White elephant” si va di corsa verso il bis.

Il sorriso di Cave e gli incubi dell’anima

Nick Cave rientra sul palco dal solo e suona al piano la delicata “Into my arms”, che viene cantata in coro dall’Arena. E per il finale sceglie “Vortex”, un lato b incluso nella recente raccolta “B-sides & rarities part II”. Salta, per motivi di orario, l’ultimo pezzo dall’album Ghosteen

Un’esibizione sciamanica per il pubblico e per lo stesso songwriter, che riesce comunque a proporsi in simpatici sketch da turista, prima di calarsi negli incubi della sua anima. 

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