Oggi, 18 giugno, James Paul McCartney ne compie 80. Il mondo lo celebrerà, come si confà a una divinità della musica che doppia boe importanti. 

Un po’ di noia, no?

Allora ho pensato: perché non parliamo male di Paulie e ci divertiamo a vedere l’effetto che fa?

Paul, cambia format

Parto dal punto forte. Con la voce che ti ritrovi oggi non puoi andare in giro come se fossero ancora gli anni Settanta. Forza, su, è una questione di rispetto per chi ha costellato la propria vita delle tue melodie, ossia svariate generazioni di migliaia e migliaia di adoratori. Ma io dico, hai ancora energie (più di me, peraltro), cambia format, per la Veronica Ciccone.

Una sedia, due chitarre, tre toni sotto, quattro archi a spingere con un po’ di armonici, riarrangi il classico che fa ancora fico e ci fai piangere tutti, stadi interi, e ti costa anche meno. E invece no. Mega tournée, l’ennesima, “got back” (fantasia portami via) e brani dei Beatles a raffica, incisi quando avevi l’età che oggi non basta nemmeno a essere considerati usciti dall’adolescenza.

Tra i record anche qualcosa di imbarazzante

Secondo punto a sfavore: ok, numeri da record, cento LP, duemila canzoni, primati dei guinness e bla bla bla. Ma la qualità? Io ho comprato qualsiasi cosa a marchio Macca, dall’underground di The Fireman al classico infinito e inascoltabile dell’album Liverpool Oratorio, e ho anche avuto il coraggio di ascoltarli, più volte. Ma io sono patologico, non conta, anzi in effetti sì, perché io e tutti gli altri come me lo abbiamo reso uno degli uomini più ricchi del globo (invidia magna). Ancora mi partono brutte parole quando penso che ho speso soldi per LP come Memory Almost Full o, peggio ancora Driving Rain, passando da Broad Street, imbarazzante. 

Il cattivo dei Fab Four

Ma passiamo alle cose gravi. McCartney, per chi non lo sapesse, è la causa dello scioglimento dei Beatles, ossia la cosa più bella che abbia mai emesso onde sonore dal Big Bang in poi. Ora tutti quelli che tifano Lennon come il solito mi minacceranno di morte perché i Beatles li ha sciolti lui. Noiosi. John, sempre un passo avanti al resto del mondo, si è stancato dei Beatles ben prima degli altri, e ha iniziato a farsi i fatti suoi. Ogni tanto tornava, regalava una genialata, poi diceva “vi lascio”, si faceva un giro, per riapparire puntualmente, dopo un po’, sempre scocciato, con qualche altra perla.

I “Fab Four” l’8 agosto del 1969 attraversano le strisce pedonali ad Abbey Road: uno degli scatti ripresi dal fotografo Iain Macmillian sarà la copertina dell’LP intitolato come la strada londinese.

Paul l’ha fatto una volta sola, quando un killer ha osato toccargli The Long and Winding Road, e dal giorno dopo i Beatles non c’erano più. Dati di fatto, quindi il cattivo è Paul. 

Paul era cattivo anche in studio, parecchio. Il recente documentario sulle registrazioni prodromiche al celeberrimo e celebrato concerto sul tetto, testimoniano senza timore di smentita ciò che molti autori e biografi, nonché operatori di staff del gruppo, predicavano da anni. La macchina da milioni di sterline degli “scarafaggi”, soprattutto verso fine avventura, girava totalmente e senza possibilità di scampo dietro a un solo dittatore illuminato, vulcano di idee musicali proprie, prezzemolino in quelle degli altri, chiamato Paul e anche James e anche McCartney.

Ringo stava buono, ma gli altri due, eccelsi artisti, sembravano asteroidi in gravitazione attorno al pianeta padre, motore unico dell’universo della loro musica. Annoiati (ma sempre geni eh), venivano attratti dall’energia del belloccio del gruppo, e finivano per fare sempre e comunque ciò che lui aveva nella capoccia. Cattivo, quindi, Paul! Tutto sommato, però, va detto, il risultato di tale dittatura artistica non è da considerarsi così male.

Chi ha scritto la più bella?

Possiamo fare la conta, c’è chi l’ha fatta (io ad esempio), su quanto bello è stato uno e bravo l’altro, ma se tu mi tiri fuori Eleanor Rigby di Paoletto (la cosa più bella che possa capitare a un paio di orecchie, cit.), io ti piazzo Strawberry Field Forever di Johnny, e come la mettiamo? Chi vince? De gustibus, come se spari Let it Be (la canzone più scaricata di forever da ITunes), e io rilancio con I am the walrus. Oppure Yesterday e Help. Storia di rivalità infinita, che siamo stufi di percorrere, perché a noi piacciono tutte (o quasi, dai, perché di schifezze ne hanno fatte anche i Bitols).

Il chitarrista di McCartney durante un concerto a Candlestick Park, 2014, foto di Phil Sherry, Flickr, CC BY-NC-ND 2.0.

Sir del basso elettrico

Andando oltre, qualcuno potrebbe detestare McCartney perché ha inventato John Elton. Nel senso che prima di Paul (che ne ha infilate 4 o 5 di fila da fare fermare il cuore) non risultano molte ballate piano e voce, una delle sue specialità di casa. E se odi Elton o altri che fanno pianobar, la colpa ricade sempre su Paoletto.

Stessa cosa se ti vanno di traverso loschi individui come Flea, dei Reduci di Peppe (cit.), o Pistorius, ossia gente che è diventata famosa con un basso elettrico in mano. Prima che Paul fosse costretto da John a diventare il bassista degli emergenti Beatles, perché il titolare aveva altro per la testa (un ictus, poveraccio), quello strumento era anonimo e inutile.

Mr. McCartney, per vendetta, gli ha dato dignità, autonomia, riversandoci addosso la sua straripante ecletticità musicale e convincendo ettolitri di persone a investirci su, e non più solo quelli che venivano relegati nelle retrovie perché incapaci (come quando mandi in porta i nerd). 

Un registro di quasi cinque ottave

McCartney, inoltre, può legittimamente suscitare rabbia e antipatia per la canna che il padreterno gli ha dato in dotazione. Non scendo nei dettagli tecnici, ci sono video sul tubo a profusione sull’argomento, ma mi limito a dire che pochi, nella storia della musica, hanno saputo incidere note che vanno dal registro del baritono (The girl is mine, con Michael Jackson), a quello delle aquile in picchiata (alcune urla in pieno in Hey Jude e simili), per un totale che con il falsetto, nel caso di Paul particolarmente alto e sostenuto, copre un range di circa cinque ottave. Della serie, Mengoni e Sting gli rubano un paio di mezzitoni in alto (senza falsetto), ma McCartney, rispetto a loro, ha mezzo pianoforte di ottave basse in più. Impressionante e, obiettivamente, fastidioso. 

Gli archi con McCartney diventano pop

Dobbiamo al solito ottantenne, in questo caso in concorso con Martin George, il produttore che ha scoperto i Beatles, anche un’altra cosa davvero irritante. Gli archi nella musica pop, che io sinceramente non sopporto più. McCartney ha insistito per inserirli in Yesterday, per poi reiterare il reato con Eleanor Rigby e pisciare nettamente fuori dal vasetto con A Day in the Life, mentre gli altri tre scarafaggi venivano esclusi dai giochi e stavano a guardare.

Risultato egregio, senza dubbio, ma da lì ciao, inflazione senza freni. Ogni star del rock ci arriva prima o poi, persino i Metallica, e molti di me sono stufi. 

McCartney in concerto in Brasile, a San Paolo, nel 2010, foto di Eduardo Pelosi, FLickr, CC BY-NC-ND 2.0.

Pochi lo sanno, ma prima dei Beatles gli artisti musicali non si scrivevano le canzoni. Loro, gli inventori di fatto del music business con la Apple, prima casa di produzione musicale quotata in borsa, hanno cambiato anche tale regola e, giusto per fare danni ovunque andassero, hanno insegnato come scrivere anche ai Rolling Stones, amici imberbi e allora quasi cloni, regalando loro la prima canzone con cui sono entrati nelle chart inglesi. I danni di tale proditoria iniziativa si vedono ancora, con quel gruppo che riscrive la stessa canzone da sessant’anni (dai qui scherzo, ma oggi ci sta). 

La normalità della trasgressione

Se cerchiamo il responsabile delle ore perse da automobilisti di tutto il mondo ad aspettare idioti che si devono fare fotografare attraversando le strisce, dobbiamo bussare alla porta di una delle miriadi di case da nababbo di Mr McCartney, l’ideatore della copertina di disco più famosa della via lattea. È stato inoltre tra le prime celebrità a dichiarare apertamente di fare uso di droghe, cosa che di certo non gli fa onore, ma che ridimensiona e non poco le velleità da paladini dell’illecito di tutti i fenomeni attuali che si sentono, dopo cinquant’anni e fischia, dei trasgressori anticonformisti.

Avviandoci alla conclusione di questa meritatissima invettiva, Paul ha deciso di diventare vegetariano prima che diventasse una moda, quindi gli attribuirei anche parte delle colpe del fastidio di trovare in giro anche shampoo vegani. 

Otto decadi per farsi odiare (o amare tanto)

Pare, inoltre, Paul sia morto, a un certo punto. Non poteva farsi celebrare come tutte le icone morte prematuramente, lui no, doveva strafare, ed è resuscitato. Tipico atteggiamento da sbruffone.  

Io chiudo, perché ho raggiunto il minimo di battute che garantisce paga e notorietà. Ci ho provato, ma sono certo di non esserci riuscito, a fare apparire cacca il cioccolato.

Auguri, Paul, Dio della musica. Mi sento fortunato, e non poco, ad aver vissuto in parte della tua era, ad averti visto dal vivo (non dico quante volte che mi vergogno) e, chiosando, mi inchino alla tua luminescenza, che otto decadi di successi sensazionali non hanno scalfito.  

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