Un grande palcoscenico, un’altra partita folle. Lazio Verona ha fatto divertire tutti e ha regalato il finale più giusto per una stagione da incorniciare. Sì, perché c’è tutto il campionato del Verona nel 3-3 dell’Olimpico, nel bene e nel – poco – male.

La partenza è a razzo, con due gol in poco più di dieci minuti. Entrambi significativi, entrambi che riportano la mente dei tifosi gialloblù ai trascorsi di questo campionato fuori da ogni logica. Il primo è frutto dell’ennesima combinazione dei meravigliosi esterni: Faraoni ribalta il fronte, Lazovic controlla, alza la testa e la mette in testa al Cholito da fermo, come a calcetto. 

Faraoni, Lazovic, Simeone. Quanti dei 65 gol stagionali sono arrivati dai piedi o dalla testa di questi ragazzi? Tra gli inserimenti implacabili del 5 sul secondo palo, i 17 gol segnati dal Cholito – letteralmente in tutte le maniere – e i sette assist di Darko, la serata romana non poteva che aprirsi con una rete così, una rete che contiene un bel pezzo dello spirito Hellas. 

Due pali son troppi, anche per Lasagna

Come proseguire per riassumere l’anno? Beh, non è difficile. Metti un Lasagna nel motore, fagli coprire 50 metri in pochi secondi e poi lascia che liberi il sinistro. Palo. Ovvio, il ragazzo è sfigatiello. Ma uno non basta, facciamo che li prende entrambi. Sembra troppo anche per lui. Questa volta il pallone entra, suvvia, è l’ultima di campionato, anche Paperino Lasagna si merita un momento di gioia di fronte ai 50mila ammutoliti dell’Olimpico. 

Kevin vede la palla colpire un palo, poi l’altro, alla fine entra. Lui quasi non esulta, forse pensa a tutti i pali colpiti e le occasioni sfiorate. Non sa, forse, che proprio quella nuvola fantozziana che si è portato dietro quest’anno gli ha fatto conquistare un posto nel cuore dei tifosi dell’Hellas. E se non lo sa, allora non è stato attento. 

Siamo sul due a zero. Questa scena l’abbiamo già vista! Se vogliamo riassumere la stagione ora ci vuole una bella imbarcata fatta di un misto di disattenzioni, sfortuna e leggerezza. Una di quelle che fanno incazzare tutti, specie il croato in panca. Servito.

Tra rimpalli, chiusure morbide e deviazioni, la Lazio la riprende, anzi, ci supera. Proprio nella porta simbolo della cafonaggine burina con cui il buon Mattia Zaccagni da Bellaria ha deciso di scoprire il sesso del futuro figliolo (congratulazioni). Proprio Zaccagni, peraltro, decide di farci rivivere qualche momento dell’inizio stagione, quando ancora giocava in gialloblu e ci stava più simpatico. Sì, perché all’epoca il suo “mestiere” faceva piovere cartellini sugli avversari…

Il primo gol laziale arriva perché la difesa lascia qualche metro di troppo, ma Coppolone – come lo chiama il mister – ha tutte le carte in regola per imparare da questi errori di gioventù. Il secondo invece è la dimostrazione, l’ennesima, che le mezze palle non le perdi con la sfortuna, le conquisti con la cattiveria: Cabral vince un rimpallo sulla trequarti, la palla rotola tra i piedi di Felipe Anderson che tira addosso a Sutalo, rimpalla su Veloso e si ritrova la palla sul destro fronte a Berardi.

Un’altra fastidiosissima rimonta dal due a zero, dunque. Ci sta. È un classico. Arriva anche il terzo. Ma chi c’è in difesa? Ah già: Adrien Victorinox Tameze. È entrato nel secondo tempo per far uscire Ceccherini: fumantino come piace a noi, ma che stava rischiando il rosso. Il francese fatica a star dietro a Felipe Anderson, e sul terzo gol qualche responsabilità ce l’ha. Ma criticare Tameze, dopo un’annata così, semplicemente non è cosa.

Il lieto fine è di Martin Hongla

È il momento del gran finale, l’ultima del Verona di quest’anno non può essere una sconfitta! E allora ci vogliono ingredienti vecchi e nuovi: Caprari si sveglia e comincia a farsi sentire dalle parti di Strakosha, e se il copione è scritto bene l’ultimo lampo di stagione non può che essere di Martin Hongla, il brutto anatroccolo del campionato che contro la Lazio ha dimostrato che una chance per l’anno prossimo probabilmente la merita. Il motivo è nel gol(lonzo) e nelle riflessioni di Tudor a fine gara: Milinkovic è il più forte centrocampista delle Serie A, e uno in grado di tenerlo non lo trovi dietro ogni angolo.

Alla fine entra Dawidowicz. Rientra e come fai a non volergli bene? Al Bentegodi era entrato con la fascia di capitano e si era subito fatto sentire. A Roma si piazza dietro e aiuta a difendere il risultato, il 53esimo punto, uno solo dal record. Ed è ancora il sentimento ricorrente della stagione: un mix di tanta e tanta soddisfazione per una grande prova contro la quinta in classifica e un pizzico di famelica consapevolezza che basterebbe poco per fare ancora, incredibilmente, meglio.