Quando nel 2013 Bolzano entrò a far parte della “Ebel”, ovvero in una sorta di supercampionato austriaco, i vertici dell’hockey italiano iniziarono ad interrogarsi sul futuro dello sport di squadra con mazza e disco sul ghiaccio. Sette società italiane, tra cui le venete Cortina e Asiago, dalla primavera 2016 sono confluite nella neonata Alps Hockey League (AHL) insieme alle cadette austriache e alcune compagini slovene. Le ulteriori restanti compagini dell’hockey tricolore, tra le quali anche Alleghe, sono impegnate invece nella Italian Hockey League (IHL) che assegna anche la Coppa Italia ma non consente alla promozione in AHL. Tutto chiaro? Forse no, ma non importa. Chissà che dalla prossima stagione, dopo quest’ultima segnata dallo stop causato dall’emergenza coronavirus, non cambi nuovamente qualcosa.

Italian Hockey League: punto e a capo?
Ci hanno insegnato che il postmoderno sia irriverente nei confronti della tradizione. Mai, come in queste settimane, ci si è però interrogati sul possibile ritorno al futuro dell’hockey italiano, alle prese con l’eventualità di una fine anticipata del progetto Alps Hockey League, dovuta essenzialmente a motivazioni che potremmo definire “socioeconomiche” di squadre austriache e slovene. Si passa dalla ventilata partecipazione di alcuni sodalizi al campionato di terza divisione tedesca, al rigetto della propria iscrizione per motivi economici di altre realtà. Ecco che, per quanto ancora in fase di approfondimento, l’hockey su ghiaccio potrebbe svoltare verso un clamoroso ritorno ad un’italica Serie A che aggiunga qualche club della IHL ai sette della AHL.

Come e verso quale destinazione potrebbe viaggiare oggi l’hockey nazionale? Proviamo a capirlo con l’ampezzano Massimo Da Rin, ex giocatore e attualmente allenatore del Varese. Pur ben informato, anche per il nipote dei leggendari Alberto e Gianfranco Da Rin si resta nel campo della teoria. «Mi pare ci sia ancora un po’ di confusione, tra squadre della “Ebel” che non garantiscono la loro partecipazione, qualche ritiro illustre, le slovene che non intendono più sborsare i quattrini delle scorse edizioni del torneo. La sensazione però è che l’idea di tornare a giocare, a determinate condizioni, un campionato italiano che faccia perno sulle “magnifiche sette”, ovvero le società che militano nella AHL, sia più che una ipotesi.» La serie di ragioni che potrebbero aprire un tavolo progettuale attorno al quale sedersi in tempi medio-brevi sembrano potenzialmente interessanti. Dove stanno però gli inghippi? Il 59enne tecnico qui ha pochi dubbi. «La marcata differenza tra i giocatori delle due leghe non riguarda prevalentemente lacune di tipo tecnico. Posso garantire che alcuni giocatori che alleno a Varese potrebbero giocare in AHL, a condizione che possano allenarsi da semiprofessionisti e non alle dieci di sera come accade spesso in IHL. Un’altra delle caratteristiche che differenzia molte realtà è quella relativa al livello del settore giovanile. Per abbattere determinati costi è fondamentale poter schierare un buon numero di ragazzi competitivi che permetterebbe di speculare sul budget.» Il timore è che, a prescindere da Bolzano che potrebbe restare nel gotha austriaco, possa nascere un campionato con squadre impreparate e strutture societarie non tutte all’altezza. I budget tra le attuali leghe minori sono lontani tra loro. «Si deve tener presente un dato piuttosto realistico: in AHL le società sono organizzate in maniera professionistica per un buon ottanta percento, mentre in IHL siamo a livello di dilettantismo per la stragrande maggioranza di giocatori e staff tecnico. Trasferte, materiale ed emolumenti incidono per almeno due terzi in meno. È un fatto che potrebbe causare iniquità di intenti tra chi vorrebbe giocare un campionato italiano da 50 partite e chi pur volendolo non potrebbe permettersene il costo. Tuttavia, credo che l’anno zero dell’hockey potrebbe essere costruito sulla base di una limitazione del numero di giocatori stranieri e un livellamento del torneo. È impossibile ipotizzare un campionato senza creare delle condizioni di base per renderlo avvincente..

Nel frattempo si guarda anche oltre. Nel 2026 Cortina e Milano saranno sede dei XXVesimi Giochi Olimpici invernali. Massimo Da Rin è anche allenatore della nazionale azzurra di ice sledge, l’hockey su slittino, e ha già partecipato alle Paralimpiadi. «Si tratta di una bella notizia: ho avute esperienze olimpiche anche a Vancouver e Pyeongchang ma, credetemi, Torino 2006 è stata la migliore quanto a organizzazione. Fu un’edizione davvero genuina e coinvolgente. L’asse Milano-Cortina può essere una fantastica occasione per ribadire che in Italia sappiamo lavorare bene». È una grande occasione anche per tutto il Veneto. «Avremo una visibilità mondiale. A Cortina siamo già ben attrezzati. Da noi non manca nulla a livello sciistico e strutturale. Come del resto è avvenuto a Torino, semmai i Giochi ci permetteranno di perfezionarci ulteriormente».