A EXTRA sci-fi festival la fantascienza è donna
La sci-fi è sempre meno un club per maschietti e sempre più un genere inclusivo, e non potrebbe essere altrimenti.

La sci-fi è sempre meno un club per maschietti e sempre più un genere inclusivo, e non potrebbe essere altrimenti.
La fantascienza è stata spesso considerata un genere prettamente maschile. Isaac Asimov, Philip K. Dick, Arthur C. Clarke, tra i padri della fantascienza letteraria moderna, erano tutti invariabilmente maschi bianchi, così come molti dei registi – Ridley Scott, John Carpenter, James Cameron – che hanno fatto grande la sci-fi cinematografica.
Talmente poco spazio hanno avuto le donne, per così tanto tempo, che si tende a dimenticare che una delle chiavi di volta della fantascienza fu un romanzo scritto proprio da una donna, Frankenstein di Mary Shelley.
Senza di lei non ci sarebbe stata tutta la fiction speculativa sull’umanità artificiale, gli androidi, i robot, le A.I. che tanto hanno ancora oggi peso nella science-fiction.
Forse non tutti ricordano, oltretutto, che dietro al successo di Star Trek non ci fu solamente Gene Roddenberry, ma il coraggio di una donna, Lucille Ball, che, con la sua casa di produzione Desilu (fondata insieme al marito Desi Arnaz; la loro storia è stata raccontata di recente in Being the Ricardos), decise di scommettere su una serie di fantascienza utopica che avrebbe segnato per sempre la storia del genere, sia in TV che al cinema.
E non va dimenticato che quella stessa serie introdusse una delle prime donne afroamericane non relegate al ruolo di domestica o personaggio minore, la Uhura di Nichelle Nichols. Erano i primi anni ’60, e di strada ce n’era ancora tanta da fare.
Di strada, per la verità, ce n’è tanta da fare ancora oggi. Hollywood resta un microcosmo sessista, in cui il genere e il colore della pelle, nonostante gli sforzi titanici degli ultimi anni, hanno ancora un peso.
Per rendersene conto è sufficiente vedere quante donne sono costrette ad alternare le regie per il cinema con quelle televisive. Nomi come Michelle MacLaren, Leslie Linka Glatter o la stessa Patty Jenkins, che dopo Monster (vincitore di un Oscar) ha dovuto attraversare quattordici anni di “gavetta” prima di avere la sua seconda grande occasione con Wonder Woman. Ma pensiamo anche a Lisa Joy, nome emergente della sci-fi televisiva – sua è l’acclamata Westworld – che ha potuto finalmente dirigere il suo primo film, Frammenti dal passato – Reminiscence, dopo tre stagioni della serie.
E pensiamo, dall’altro lato dello spettro, a gente come Colin Trevorrow (Jurassic World), Gareth Edwards (Godzilla, Rogue One), Jordan Vogt-Roberts (Kong: Skull Island) e Josh Trank (Fantastic 4), che hanno potuto dirigere grossi blockbuster quasi subito dopo aver diretto un singolo indie di successo variabile, spesso senza dover passare dal purgatorio della TV. La sproporzione è evidente.
Eppure qualche passo sta venendo compiuto nella giusta direzione. Qualche anno fa, parlando di donne che lavoravano regolarmente nel “circolo dei maschietti” dei blockbuster hollywoodiani, il nome a venire in mente era sempre e solo uno: Kathryn Bigelow.
La regista di Point Break e di un cult della fantascienza come Strange Days, entrambi prodotti dal suo ex marito James Cameron, è stata una pioniera del coinvolgimento delle donne nel cinema americano ad alto budget, in un’epoca in cui pochi si sarebbero sognati di associare le donne all’action.
Negli ultimi anni c’è stata una vera esplosione, però. La cartina di tornasole è forse Chloé Zhao, che ha potuto replicare l’improvviso balzo di carriera dei già citati colleghi maschi, passando dall’indie (Nomadland) alla sci-fi Marvel ad alto budget (Eternals). Un salto che arriva sulla scia di quello di Patty Jenkins, promossa dalla rivale DC Comics a demiurgo della saga di Wonder Woman. Un chiaro caso di competizione a chi è più inclusivo, ma, anche se le ragioni sono forse più aziendali che creative, l’importante è il risultato.
Nella fantascienza tout court, le donne che stanno lasciando un’impronta non sono più un gruppo sparuto: Claire Denis, Ana Lily Amirpour, Jessica Hausner, le Soska Sisters e Ava DuVernay si sono affermate come nomi importanti, da tenere d’occhio e a cui affidare progetti ambiziosi. Non possiamo non citare Lana e Lily Wachowski, infine, anche se, forse, se avessero iniziato come donne nell’industria del cinema avrebbero incontrato qualche ostacolo in più.
La presenza femminile è un dato importante anche nella programmazione di EXTRA sci-fi festival Verona, che partirà tra pochi giorni (qui tutti i dettagli) e che accoglie ben tre lungometraggi su sette diretti da donne. Sabato 12 marzo, alle 21.30, si terrà la proiezione di Witch Hunt di Elle Callahan, alla sua opera seconda dopo Head Count (2018). Il film è un’ucronia distopica, ambientata in un’America in cui le streghe esistono e vengono perseguitate dal governo. Un ribaltamento totale della figura della strega, tradizionalmente un’allegoria in negativo della donna emancipata, che qui diventa invece eroina ribelle e anti-sistema.
Domenica 13 marzo l’appuntamento è doppio: alle 17.30 verrà proiettato The Trouble with Being Born di Sandra Wollner, storia di una androide che vive con un padre adottivo e mette in discussione la sua umanità. Alle 20.30 chiuderà il festival Warning di Agata Alexander, regista di videoclip che debutta al cinema con questo racconto a episodi sulla tecnologia e i molti modi in cui sta cambiando per sempre il nostro stile di vita. Una visione a 360°, che non demonizza la tecnologia, ma sottolinea come siamo noi esseri umani a usarla, spesso, nel modo più distruttivo.
Quando si parla di inclusività, al cinema e nell’arte in generale, spesso c’è chi storce il naso, come se l’espressione artistica dovesse restare il monopolio di pochi per evitare un imbarbarimento culturale. Concetti come la rappresentazione, al cinema e in TV, vengono attaccati quasi fossero delle forzature, dei passaggi obbligati voluti da una società sempre più piegata all’obolo del politicamente corretto.
In realtà, a ben vedere, la pluralità di punti di vista è necessaria per evitare la stagnazione narrativa, specialmente in un genere, la fantascienza, che ha costantemente bisogno di nuovi stimoli e idee. Che per sua stessa natura deve raccontare il presente, la società umana. Per farlo, non può che osservare quella società, rappresentarla per quello che è, con tutti i suoi cambiamenti, le continue mutazioni e trasformazioni. La fantascienza per alcuni sarà un genere maschile, ma in realtà non è né maschile né femminile. È genere umano.
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