Immigrazione e pandemia, donne e lavoro, regolarizzazioni ed eque filiere.

Questi i temi affrontati nell’evento organizzato da Veronetta Centoventinove, La Sobilla, Cestim Onlus e Fairtrade.

Un’occasione di confronto che, sulla base dei dati 2020 raccolti nella 31esima edizione del Dossier Statistico Immigrazione 2021, ha analizzato la situazione migratoria nel territorio veronese.

Nuovi cittadini italiani a Verona

Nonostante la forte battuta d’arresto che la pandemia ha assestato alla libertà di circolazione, le presenze di residenti stranieri nel Veneto sono andate crescendo facendone registrare 509.420 nel 2020 rispetto alle 485.972 dell’anno precedente.

A Verona, negli ultimi 6 anni, sono diventati cittadini italiani 22mila stranieri riconfermando anche quest’anno, a livello di distribuzione provinciale, la città in prima posizione per presenze straniere con più di 115mila residenti non italiani, seguita da Treviso, Venezia e Padova.

Nel territorio comunale e provinciale veronese il 12,4% dei residenti è cittadino non italiano.

Questi aumenti riguardano però stranieri provenienti da Paesi dell’Unione Europea, mentre tra i soggiornanti non europei con permesso di soggiorno cala la presenza.

Diventare cittadini italiani, più facile a dirsi che a farsi

Al conteggio si devono poi integrare anche altri due gruppi: le persone che hanno un permesso di soggiorno ma per diversi motivi non hanno la residenza e le persone che non sono in situazioni di irregolarità. I motivi di queste ultime sono da ricercarsi soprattutto negli ostacoli all’acquisizione di cittadinanza.

«Uno dei motivi principali – spiega la sociologa Gloria Albertini diIDOS/Cestim Onlus – è il Decreto 113 del 2018, il Decreto Salvini che, nonostante sia stato modificato e abrogato in diversi punti a fine 2020, ha fatto scivolare migliaia di persone nell’irregolarità». Il decreto conteneva tra i suoi punti l’abrogazione della protezione per motivi umanitari, la revoca o diniego della protezione internazionale e altre restrizioni del sistema di accoglienza.

Lavoro: tra penalizzazione delle donne e mancate regolarizzazioni

Catalizzatrice poi dell’analisi proposta da Albertini è stata la tematica lavorativa soprattutto in chiave di perenne svantaggio al femminile.

La sociologa ha infatti spiegato che «a subire il maggior impatto della pandemia sono le donne, che nel 2019 erano il 42,3% degli occupati stranieri mentre nel 2020 sono scese al 39,2%. Un disoccupato straniero su 4 è una donna».

Altro dato in negativo, senza però distinzione di genere è quello relativo all’inattività, che nel 2020 ha visto aumentare gli stranieri rispetto agli italiani. Tendenza raramente osservata in tempi pre-pandemici. Tendenza pressoché stabile è invece quella del gap salariale che vede una differenza di quasi 250€ mensili tra lo stipendio di un lavoratore italiano e uno straniero.

Nodo chiave è però quello delle regolarizzazioni. A Verona soltanto il 9% dei permessi di soggiorno è per motivi lavorativi, conseguenza anche della mancanza di ingressi stabili per lavoro al di fuori di quelli avuti durante la pandemia attraverso la regolarizzazione del 2020 attuata con il Decreto Flussi.

Regolarizzazione che si è però rivelata lenta e che «ha interessato una parte limitata delle persone richiedenti», ovvero solo le categorie di lavoratori del settore primario e domestico. «Molte persone hanno fatto domanda come lavoratore domestico pur non essendolo per tentare di rientrare nella sanatoria. Questo processo si rivela però pericoloso perché le persone vengono portate, nel momento in cui tentano di mettersi in regola, a dover attraversare dei sotterfugi» commenta Albertini.

Elena Guerra mentre presenta Monica Falezza di Fairtrade. Foto di Alice Silvestri

Filiere nel mondo

A chiudere poi il cerchio intorno alla questione lavoro è l’intervento di Monica Falezza di FairTrade Italia, organizzazione internazionale impegnata nello sviluppo del commercio equo e solidale.

Come raccontato da Falezza, «la pandemia ha esacerbato delle criticità che hanno messo ancora più in difficoltà i produttori agricoli di Asia, Africa e America Latina tra cui le chiusure forzate, l’aumento dei costi di energia e trasporti, l’aumento del lavoro minorile (160milioni di bambini coinvolti) come conseguenza della perdita del lavoro o delle quarantene dei genitori».

Nonostante questi ostacoli i produttori agricoli hanno reagito creando nuovi progetti autonomi come piccole vendite online e altri progetti per far fronte agli impatti long-term del Covid-19.

Iniziative proprio come quelle portati avanti in ambito locale anche dalla realtà ospitante l’evento, La Sobilla, che ha presentato alcuni dei suoi progetti di riqualifica, come ad esempio quello riguardante campi confiscati alle mafie e ex fabbriche dove si produce caffè.

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