Anche ieri dal comignolo del Quirinale esce fumo nero. Nulla di fatto, se ne riparla a partire dalle ore 11 di oggi, ultimo giorno di votazione con maggioranza qualificata.

La giornata di martedì non registra grossi passi in avanti rispetto alla precedente. Inizia a diffondersi la consapevolezza che il centrodestra si stia intestando l’onore e l’onere di guidare le operazioni con Salvini nel ruolo del king-maker, colui che tira le fila della strategia politica e riesce a imporre il suo candidato.

Peraltro, il ruolo del king-maker non è che porti poi così tanta fortuna a chi se lo assume: lo sa Bersani che nel 2013 venne impallinato nella sua faticosa opera di portare Franco Marini al Quirinale e da lì arrivò a perdere il controllo del Partito Democratico. E lo sa Matteo Renzi che nel 2016, imponendo Mattarella, fece saltare il Patto del Nazareno e perse l’appoggio di Berlusconi, il quale si vendicò, con interesse, nel referendum costituzionale del dicembre dello stesso anno.

Tre nomi a destra, nessuna convergenza

Forte del suo auto-assegnato ruolo, Salvini in conferenza stampa congiunta con Meloni e Tajani ha presentato ieri pomeriggio una rosa di candidati papabili per il Colle. In ordine alfabetico: Moratti, Nordio, Pera.       
Tre candidati con una forte connotazione di centrodestra, troppo forte per poter essere accettati dalle varie controparti politiche. E infatti, sono ipotesi durate complessivamente circa 180 minuti: alle 19 un comunicato stampa a firma congiunta Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana diceva in tono perentorio “rifiutiamo e andiamo avanti”.  

Un diversivo chiamato Frattini

Sono ore molto dense nell’agenda di Salvini: nella mattinata di ieri era filtrato l’incontro con Conte, durante il quale è circolato il nome di Franco Frattini, ex Ministro degli Affari Esteri in due governi Berlusconi. Immediatamente il Partito Democratico, con la straordinaria partecipazione degli ex-compagni di Italia Viva, si è affrettato a dire che la candidatura Frattini non fosse ricevibile in alcuna maniera. Anche l’ipotesi Frattini pare insomma un’operazione destinata ad essere un diversivo un po’ per continuare a tenere le carte coperte, un po’ per ricordare al Pd che i due ex-amanti politici (Salvini – Conte) non è detto che necessariamente non si potrebbero rincontrare in futuro.

Salvini incontra Draghi, ma ne esce con un no

Il vero incontro, quello pesante, Salvini lo ha avuto la notte tra domenica 23 e lunedì 24 con il Presidente del Consiglio Draghi e il fatto che se ne abbia avuto notizia solo nella giornata di martedì 25 conferma la massima delicatezza dell’evento. Voci di corridoio dicono che il colloquio tra i due non sia stato dei più cordiali. Salvini si è presentato con uno scambio piuttosto netto: voti della Lega che manderebbero l’ex presidente della Bce al Quirinale, in cambio della sicurezza che il prossimo governo avrebbe visto lo stesso Salvini al ministero degli Interni e alla Lega lo strategico ministero delle Infrastrutture, che con i soldi del Patto nazionale di rinascita e resilienza diventa una gallina dalle uova d’oro. La sintesi della risposta di Draghi pare sia stato un fragoroso “No”.  

La sinistra in cerca di un nome super partes

Un no che non cambia la prospettiva generale, l’attuale Presidente del Consiglio è e rimane il principale candidato e il suo nome dovrebbe prendere quota dalla quarta votazione in poi, ma l’opinione (o la paura) che si inizia a diffondere nei palazzi romani è che il tempo stia passando e la situazione invece di risolversi, si sta via via complicando, tra nomi buttati nel tritacarne e candidature, come quella di Draghi appunto, che non si concretizzano.         

A esprimere lo spirito del tempo della giornata di martedì è Enrico Letta, che in serata dichiara di volerla finire con i tatticismi e di trovare una soluzione con un nome condiviso, super partes e senza forzature.    

Vedremo tra poco: il voto riprende alle 11, al momento pare che all’orizzonte non ci sia alcuna intesa plausibile.

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