Viola ama il blu. Ogni giorno, indossa il suo cappotto blu, va a scuola con la sua cartella blu e ha anche un monopattino blu. È davvero il suo colore preferito.

Ma la sua è una passione incompresa, i compagni, le compagne e a volte anche gli adulti la deridono, le dicono che così non va bene perché alle bambine deve piacere il rosa. Viola non ci sta, si confronta con il padre, pittore, che qualcosa sui colori sembra saperla. 

Dall’innesco cromatico Viola intraprendono insieme un percorso che racconta le diverse forme degli stereotipi di genere, dai colori, al linguaggio fino a tutte quelle definizioni culturali e sociali che ci inquadrano in una serie di comportamenti attesi in base al sesso di nascita. 

La storia di Viola è raccontata nel libro Viola e il Blu, edito da Salani e scritto e illustrato da Matteo Bussola – fumettista, scrittore e conduttore radiofonico –  che abbiamo incontrato in occasione della diretta streaming per il primo compleanno di Heraldo lo scorso 31 marzo. 

Cose da maschi e cose da femmine

Viola scopre così che l’idea che il colore blu non è sia cosa da femmine è piuttosto recente. Il padre accompagna Viola in un viaggio attraverso i simboli delle opere d’arte per farle scoprire che una volta era il contrario: il rosa era il colore dei maschi e il blu quello delle femmine. Ne sono dimostrazione due esempi, nella maggior parte dei dipinti occidentali Maria indossa un velo blu e nella creazione di Adamo, raffigurata da Michelangelo negli affreschi della Cappella Sistina, Dio indossa una veste rosa. Cosa che fa dire a Viola: «Ma quindi Dio è femmina?». 
Ci sarebbe molto da riflettere anche su questo. 

Matteo Bussola torna alle sue origini di illustratore-fumettista, con un libro, che come ci ha raccontato, nasce proprio dal suo bisogno di ricominciare a disegnare. Parole e disegni sul tema degli stereotipi di genere, rappresentati attraverso una narrazione in grado di parlare in maniera trasversale a lettori diversi.

Viola e il Blu, infatti, è pensato come un racconto per bambini, dagli 8 anni in su, ma è un libro per tutti o come riporterebbero le scatole dei giochi: adatto a bambini dagli 8 ai 99 anni.  La ragione, ci spiega Matteo, sta proprio nel tema affrontato: gli stereotipi di genere coinvolgono tutti. Nella lettura, gli adulti sono portati a scoprire quei luoghi comuni che in qualche modo hanno condizionato la loro vita per chiedersi se siano riusciti a liberarsene o se, invece, ne siano ancora vittime e allo stesso tempo carnefici riflettendoli sui ragazzi di oggi. 

I colori sono un pretesto per mettere l’accento su un modello educativo e culturale da cui la nostra società non si riesce a liberare. Esistono colori, cose, emozioni, caratteristiche da maschi e cose da femmine? No, ci sono solo cose che ci piacciono e cose che non ci piacciono, cose che siamo e cose che non siamo indipendentemente dal nostro genere. Ognuno di noi ha una parte maschile e una femminile ed entrambe vanno coltivate, assecondate e lasciate libere di esprimersi. 

Nell’autodeterminazione la nostra parte migliore

Dice Bussola nella nostra intervista: «Ognuno deve accedere allo stesso modo a forza e tenerezza, alla dolcezza e alla determinazione, alla rabbia e alla gentilezza. senza che qualcuno decida al posto nostro che queste caratteristiche ci aspettino per statuto o per genere di nascita».

Significa che è arrivato il momento di abbandonare la convinzione di dover essere quel qualcuno che la società si aspetta, per diventare quello che davvero siamo: solo nell’autodeterminazione può realizzarsi la migliore versione di sé stessi. 

La sovversione di questo modello deve partire da come educhiamo i bambini e ancora prima dal modo in cui rappresentiamo loro la realtà. Per questo motivo è necessario che gli adulti siano i primi a compiere il primo passo per fare cadere il castello di preconcetti di genere.  

È un cambiamento che deve iniziare delle famiglie, il primo specchio educativo per bambine e bambine sono i genitori, che devono accogliere i figli per quello che sono lasciandoli liberi di autodeterminarsi.

Una rivoluzione che però deve necessariamente andare oltre le famiglie e abbracciare la società nella sua complessità. C’è una responsabilità condivisa nella definizione degli stereotipi di genere che attraversa tutta la cultura e che negli anni ha costruito modelli e scatole in cui bambini e bambine si sono sempre sentiti, e ancora oggi si sentono, in dovere di essere incasellati. Che il rosa sia un colore da femmine, infondo, come ci ricorda l’autore, è stato deciso non molti decenni fa con l’arrivo della Barbie. 

Per troppe generazioni alle bambine è stato permesso unicamente di immedesimarsi con principesse in pericolo, facendole crescere nell’attesa che qualcuno – possibilmente un principe azzurro sul cavallo bianco – arrivi a salvarle.

Leggi anche l’intervista a Matteo Bussola «Ho imparato ad accogliere le cose».

Liberi di scegliere cosa diventare

Oggi c’è sicuramente più attenzione, le storie, in particolare i film di animazione ma anche i giochi e gli idoli per bambine e teenager, propongono personaggi e protagoniste diverse, insomma le principesse hanno iniziato a salvarsi da sole, e a quanto pare sono perfettamente in grado di farlo. La strada è lunga ma forse siamo nelle direzione giusta, o almeno ci stiamo dotando di equipaggiamenti adeguati. 

Matteo Bussola, con questo libro però non vuole per dare istruzioni o strumenti educativi. Dice «Il compito degli scrittori è raccontare storie, le storie contengono quello che uno riesce o più spesso vuole trovarci. Non è un libro che spiega ma un libro che mostra e ognuno è libero di trovarci qualcosa di vicino o lontano alla propria esperienza o anche non essere d’accordo». 

Il libro è uno spunto di riflessione, l’occasione per guardarsi dentro ma è anche uno spazio importante per dire ai più piccoli “Va bene se sei una femmina e ti piace il blu e va bene anche se ti piace il rosa. Va bene se sei un maschio e ti piace giocare a calcio ma, allo stesso tempo, è ok se piangi davanti agli altri, va bene esattamente così come sei”.

Tutti dobbiamo essere liberi di scegliere quello che vogliamo essere o diventare. Se saremmo in grado di liberarci da tutti quei costrutti mentali, allora potremmo auspicare in un’umanità probabilmente migliore e senza dubbio più felice. Il racconto di Viola ci mostra un passo che possiamo decidere di fare in quella direzione. 

Riguarda qui sotto la diretta del compleanno di Heraldo (Matteo Bussola è visibile dal minuto 01:04:00)

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