Il conflitto generazionale sembra espandersi negli ultimi tempi. Complice una politica nostrana che non sa più guardare ai giovani come una risorsa fondamentale per il futuro del Paese e a una pandemia che ha acuito le differenze socio-economiche. La demografia, d’altronde, rispecchia questo andamento e all’orizzonte non sembrano apparire correttivi a un treno in corsa che prima o poi, se non cambia binario, andrà a schiantarsi. Ma i giovani non stanno a guardare e si organizzano per provare a portare avanti le proprie istanze, che poi di base sono esattamente quelle di cui ha bisogno – anche se a volte sembra esserne inconsapevole – l’intera nazione. Ne abbiamo parlato con Caterina Bortolaso, giovane avvocata veronese attualmente residente a Bruxelles e co-fondatrice di AssembraMenti. Con lei abbiamo parlato di equità generazionale, dell’importanza delle prospettive per le nuove generazioni e di vari temi sociali analizzati, per una volta, dal punto di vista dei giovani. 

Bortolaso, come nasce AssembraMenti?

«AssembraMenti nasce ad aprile 2020 in pieno lockdown, quando noi fondatrici ci siamo rese conto che la nostra generazione stava subendo il contraccolpo della situazione sanitaria ben più di quanto se ne parlasse. La crisi provocata dal virus è andata ad aggravare una questione generazionale che era già presente, ma che con la pandemia è scoppiata. Chi esce oggi dall’università si trova davanti un mercato del lavoro a pezzi, e con esso tutte le problematiche che ben conosciamo: precariato perenne, assenza di prospettive, necessità di andare all’estero. Dopo gli anni 2018 e 2019 in cui sembrava vedersi un barlume di speranza dal punto di vista del mercato del lavoro, il 2020 è stata una vera e propria mazzata, in particolare per i giovani che, va detto, si trovano a dover rispettare delle forti limitazioni della libertà a fronte di un pericolo per la propria salute che via via si è rivelato sempre più relativo. È importante ricordare che non ci sono vite più importanti di altre, ma la limitazione della libertà dovrebbe essere sempre proporzionata al rischio, lo dico da giurista, anche se mi rendo conto che agire nell’emergenza non è mai facile. È bene ricordare che ad aver proposto la chiusura per fasce d’età non sono stati certo dei pazzi, ma lo stesso ISPI.» 

Dove individuate le cause delle disuguaglianze generazionali?

«I problemi su cui ci confrontiamo nelle nostre assemblee sono sempre legati alla questione del precariato, della difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro e di pianificare una vita adulta indipendente, ma la causa prima di queste problematiche è a mio parere la crisi demografica, un problema gravissimo di cui si parla troppo poco. Siamo un popolo troppo vecchio. Nel 2018 dal punto di vista demografico gli over 60 hanno superato gli under 30, e questo ha due conseguenze importantissime. Una è puramente aritmetica: i giovani sono una minoranza, e solo la parte sopra i 18 anni può votare, questo li rende numericamente meno rilevanti dal punto di vista elettorale. Non sorprende che le politiche sociali vengano realizzate tenendo a mente principalmente l’elettorato over 40 o over 50. Peraltro i pensionati dimostrano di saper fare rete, battere i pugni sul tavolo e ottenere ciò che vogliono. Mentre i giovani spesso non hanno nessuna rappresentanza, neanche a livello sindacale, dove l’intera fascia delle partite iva, spesso a mono-committenza, viene completamente dimenticata. Oggi non esito a definire queste realtà lavorative una nuova schiavitù.» 

E l’altra conseguenza?

«L’altra è che, visto che la ricchezza monetaria del Paese è detenuta dagli over 60 ed è una ricchezza ferma e stagnante, in italia oggi la ricchezza principalmente si eredita. Questo fenomeno, assieme alla staticità del mercato del lavoro, immobilizza l’ascensore sociale, obbligando spesso i giovani a guardare all’estero per poter pianificare una vita privata e lavorativa soddisfacente. Queste difficoltà vengono spesso derubricate a “gavetta” accusando i giovani di volere tutto e subito. In realtà il problema è che di fronte ai sacrifici devono esserci delle prospettive, deve valerne la pena. In Italia non c’è la prospettiva per un giovane che parte da zero di raggiungere il livello di benessere della generazione precedente, posto che ciò sia giusto e possibile, quello che è comunque necessario è avere condizioni di lavoro e di vita dignitose. 

La sua ultima osservazione solleva il problema della sostenibilità. È davvero possibile puntare a un benessere simile a quello delle generazioni precedenti?

«L’ equità intergenerazionale è legata al tema dello sviluppo sostenibile. Non possiamo realisticamente pensare che vivremo come i nostri genitori dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse. La generazione precedente è cresciuta in un mondo in cui era possibile pensare di arricchirsi come se le risorse della terra fossero illimitate, non è più così. Dall’altro lato è importante evidenziare che lo sviluppo sostenibile è fatto di diversi tasselli: c’è quello ambientale ma c’è anche quello economico-sociale. Purtroppo questo messaggio è andato perso in un disegno di legge che è quello dei Figli Costituenti, in cui si volevano modificare gli articoli 2 e 9 della Costituzione inserendo il principio di equità intergenerazionale e sviluppo sostenibile tra i principi costituzionali. Purtroppo il disegno è stato storpiato nel suo significato, limitandolo all’ambientalismo e cancellando la parte della sostenibilità economica e sociale.» 

L’atteso piano di rilancio Europeo si chiama Next Generation EU. Credete che rispetterà il suo nome? 

«Il piano lascerà un buco di bilancio enorme che dovrà essere un investimento per le prossime generazioni e non l’ennesimo programma di sussidi a pioggia come è stato fatto in passato con politiche miopi che guardano al ritorno elettorale immediato. Sono comunque sicura che il piano europeo sia stato pensato per le prossime generazioni, il problema è che ogni stato membro sarà abbastanza libero di declinarlo nel modo che gli è più proprio, pur con un monitoraggio dell’Unione Europea che, francamente, mi rassicura. Purtroppo in Italia nessuno lo chiama Next Generation EU, tutti lo chiamano Recovery Fund, un nome che guarda indietro e non in avanti. In Europa l’aspetto del Next Generation è sempre presente anche nella comunicazione.» 

Tornando ad AssembraMenti, su quale piano vi proponete di agire? Locale, nazionale o, magari, Europeo?

«Credo fermamente nell’importanza della dimensione locale, tant’è che faccio politica locale in prima persona (Caterina è consigliera di 2a Circoscrizione per Traguardi, ndr). Al contempo credo che AssembraMenti debba avere una connotazione nazionale, in quanto tratta di un problema importante che va da nord a sud. Si declina diversamente in diversi territori naturalmente, ma persino a Milano – capitale economica più vicina all’Europa – i giovani per essere competitivi devono accettare orari e salari improponibili. Ci sono sicuramente delle dinamiche comuni ai giovani dal punto di vista europeo, ma i problemi dei giovani in Italia sono sicuramente peculiari.» 

Il manifesto/decalogo che avete pubblicato si divide tra investimenti, semplificazione e diritti, toccando punti sensibili delle diverse anime politiche tradizionali: è possibile in Italia un movimento giovanile trasversale e non legato alle ideologie e alle logiche di partito?

«Io dico sì, soprattuto perché è trasversale il disinteresse rispetto a questo tema a livello di partiti, se non in contesti molto minoritari. Penso che il movimento sia trasversale, anche se è chiaro che per forza di cose deve appartenere a una bolla. La nostra bolla è quella dei giovani qualificati che non si vedono apprezzati e non possono dare il proprio contributo in patria: dai giovani laureati ai dottorandi e ricercatori. Persone su cui il Paese ha investito dei soldi per poi lasciarli andare senza   sfruttare il loro potenziale. Il nostro paese sta perdendo la sua intellighenzia, non è un discordo di spocchia radical chic. Anche quando si parla di saldo migratorio, non possiamo guardare la questione solo dal punto di vista quantitativo. Personalmente sono per la massima apertura riguardo ai temi migratori, ma non possiamo accontentarci della semplice frase “i figli li fanno gli immigrati”. Importare forza lavoro a basso costo ed esportare giovani formati che dovrebbero costituire l’élite culturale ed intellettuale del paese non può essere una soluzione al problema demografico. Potremmo parlare di saldo migratorio se fossimo un paese con un mercato del lavoro attrattivo rispetto alle eccellenze internazionali, purtroppo il nostro mercato del lavoro non è cresciuto di pari passo all’istruzione superiore, e ha più bisogno di forza lavoro da sottopagare rispetto all’enorme numero di laureati costretti ad andarsene a causa di questo skill mismatch.» 

Guardando al futuro più vicino, qual sono i prossimi step di AssembraMenti?

«Vogliamo continuare con importanti collaborazioni che stiamo già mettendo in atto. In particolare con il network della Generatività che nasce dall’Università Cattolica, con La prossima Generazione con cui abbiamo portato a termine un percorso di mentoring e che ci ha aiutato a capire cosa vogliamo essere. Vogliamo coniugare l’attività di ricerca, fact-checking e inchiesta per portare attenzione sulla questione generazionale, con l’attività di rete e di advocacy. La nostra idea è di continuare ad allargare la nostra rete, continuare a scrivere per Pandora, collaboreremo con Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) e il suo Futura Network. La nostra idea è di riuscire a creare un osservatorio dei giovani sui giovani, realtà che a nostro avviso in Italia non esiste.» 

© RIPRODUZIONE RISERVATA