Dopo gli esercenti, anche gli sportivi scendono in piazza. Sabato 31 ottobre, infatti, è stata indetta una manifestazione per protestare contro le chiusure previste dall’ultimo Dpcm. È il segnale, questo, che anche in ambito sportivo molti sono i malumori tra i tantissimi appassionati e gli addetti ai lavori. Si sperava in una nuova stagione sportiva senza intoppi, invece il Covid-19 ha nuovamente invitato il Governo a prevedere misure restrittive del contagio.

La situazione non è affatto rosea. Da un lato le Federazioni degli sport di contatto si trovano a dover rimodulare e riprogrammare calendari e attività ma, soprattutto, sono costrette a dover prendere delle decisioni che siano in linea con le varie fonti normative. Tra Dpcm che si susseguono e una miriade di ordinanze Regionali e locali si sta generando, come già successo nello scorso marzo, un caos normativo che rende quasi impossibile la prosecuzione delle attività nell’osservanza dei principi di equità sportiva.

Non stanno meglio le società che organizzano le attività. In questi mesi hanno studiato protocolli, investito denaro e risorse per rispettarli, programmato con prudenza e incertezza la stagione sportiva. Ora, pur non avendo registrato un aumento di casi di positività durante i primi allenamenti stagionali, si trovano a dover chiudere, mettendo a rischio il loro futuro. Non se la passano affatto meglio nemmeno le migliaia di persone che basano il loro reddito sullo sport. Collaboratori a tempo pieno, ma anche tanti addetti part time, quasi tutti per nulla tutelati dalla Legge italiana. Da ultimo gli atleti, di ogni ordine e grado, incapaci di cogliere il senso di norme che differenziano i professionisti dai dilettanti o che elencano le categorie di interesse nazionale distinguendole dalle altre, quasi a suggellare la diversa priorità di diritti tra amatori e agonisti. Ognuna di queste categorie rivendica i propri, evidenziando come i provvedimenti del Governo siano stati accolti con insofferenza e frustrazione, in particolar modo dalla numerosa base dei praticanti.

Se il primo lockdown non aveva intaccato la speranza di tornare al gioco e alle gare, questo secondo stop appare molto più problematico. Si rischia una gigantesca ecatombe tra le società sportive più piccole e un generalizzato abbandono tra gli atleti. Una diffusa e generalizzata disaffezione. È tangibile il disorientamento tra gli appassionati, sia tra quelli confinati a casa, sia tra quelli che per ora continuano ad allenarsi, facendo lo slalom tra test sierologici e quarantene, nella usurante incapacità di misurare l’effettivo rischio di contagio, personale e dei propri familiari.

Per tutti questi motivi la manifestazione di sabato appare comprensibile. Resta però da comprendere verso chi è rivolta la protesta, perché di questi tempi ci si assume una grossa responsabilità nello scendere in piazza, peraltro la medesima soggetta a ordinanza comunale che ne limita la fruizione. Il rischio assembramento esiste. Inoltre, e questo è il tema più delicato, c’è il dubbio che la manifestazione possa essere strumentalizzata per fini politici. Non sarebbe la prima volta in simili occasioni. Occorre, dunque, che gli organizzatori chiariscano bene i motivi della protesta. Verso chi o che cosa saranno rivolte le contestazioni mosse dal mondo sportivo veronese nel corso della manifestazione? Si protesterà con tutta probabilità contro il Governo, reo di aver bloccato lo sport. È evidente che il diritto al dissenso rimanga elemento cardine della democrazia anche in pandemia, quando civile e non violento. Occorre, però, porre delle precisazioni al riguardo, entrando più nel merito dei principi ispiratori della manifestazione di sabato. Se si protesta per affermare l’idea per la quale lo sport debba essere centrale in una visione di società moderna che ha a cuore i propri cittadini, in primis quelli giovani, è evidente che siamo di fronte a un approccio giudizioso e largamente condiviso. Viene da dire che l’affermare tali principi non necessiti di una manifestazione. Se, viceversa, lo sport dovesse scendere in piazza con slogan del tipo: “lo sport non va fermato” o “Io non ci sto”, come reca la locandina dell’evento di sabato, allora qualche perplessità in più emergerà. Le misure prese dal Governo, per quanto discutibili e fallibili, rappresentano il tentativo di arginare l’epidemia, di salvare vite umane, ma soprattutto di preparare quanto prima possibile il terreno migliore per poter riprendere ogni attività sportiva in modo duraturo e al minor rischio possibile. Medesimo approccio sta venendo attuato anche dalle altre nazioni europee. D’altra parte, chiedere in pubblica piazza che lo sport non si fermi, quando migliaia di ragazzi sono costretti alla didattica a distanza, appare davvero fuori luogo. Portare avanti lo sport e non la scuola, genererebbe il paradosso di vedere i ragazzi uscire dalle proprie abitazioni solo per andare in palestra. In molte famiglie queste valutazioni e perplessità sono già emerse e occorre tenerne conto. Affermare che lo sport sia importante, utile e formativo, è senza dubbio corretto, ma considerarlo una priorità assoluta non eliminabile in periodi di emergenza, può apparire del tutto illogico e, se vogliamo, addirittura in antitesi con i valori etici promossi dal Coni.

Non è certo la priorità di questo periodo storico, ma occorre rilevare come sia sempre più urgente una riforma strutturale dello sport in Italia. Sono le stesse criticità emerse con il Covid a suggerire la necessità di rivedere l’intero sistema sportivo. Sarebbe, dunque, più opportuno manifestare non contro la chiusura dello sport, ma a favore di una nuova fase riformista. Serve discutere con serenità di quanto l’educazione fisica, la formazione sportiva e l’agonismo non professionistico non possano essere delegate in toto alle società sportive. Inoltre, occorre dibattere sulla natura delle società stesse e delle norme che ne regolano la vita, persone giuridiche che oggi sono esclusivamente sostenute da contributi pubblici e sponsorizzazioni, per lo più gonfiate a favore di una riduzione di imposizione fiscale in capo alle aziende. Infine, si dovrebbe anche disquisire liberamente e senza pregiudizi del ruolo delle Federazioni o magari cercare una soluzione per i tanti lavoratori dello sport che giacciono ancora oggi in una condizione di totale assenza di garanzie previdenziali. Queste sono le domande per le quali dallo Stato e dal Governo ci si deve aspettare una risposta.