UK: il pensiero unico del Capitalismo
In Inghilterra, a scuola, si insegnerà che esiste solo il sistema capitalista, forse anche a scapito della storia. A breve toccherà anche alla scuola italiana?
In Inghilterra, a scuola, si insegnerà che esiste solo il sistema capitalista, forse anche a scapito della storia. A breve toccherà anche alla scuola italiana?
Come il sistema liberale si autotutela nella formazione dei cittadini di domani. E l’Italia?
La notizia è di questi giorni, ovvero che il dipartimento per l’Istruzione inglese ha varato nuove linee guida dalle quali stralciamo qualche passaggio: “Le scuole non dovrebbero in nessun caso utilizzare risorse prodotte da organizzazioni che assumono posizioni politiche estremiste” né, attraverso i docenti, chiamati a garantire l’applicazione delle linee, fomentare “il desiderio dichiarato pubblicamente di abolire o rovesciare la democrazia, il capitalismo o di porre fine a elezioni libere ed eque; l’opposizione al diritto alla libertà di parola, alla libertà di associazione, alla libertà di riunione o alla libertà di religione e di coscienza; l’uso o l’approvazione di comportamenti razzisti, incluso antisemitismo; linguaggio o comunicazioni che incoraggino o approvino attività illegali; la mancata condanna di attività illegali compiute in suo nome o a sostegno della loro causa, in particolare azioni violente contro persone o proprietà”.
Sembra tutto ispirato al buon senso – un no deciso alla violenza e alla discriminazione – ma un passaggio, nascosto tra gli altri, è indicativo: viene imposto il silenzio su autori e testi che propongono alternative al Capitalismo. Scelta coerente con l’evoluzione economica del mondo anglosassone ma che desta una certa impressione perché certifica il timore di sistema economico che, oggi messo in discussione, cerca di tutelare se stesso; in effetti, proprio nel momento in cui il mondo si trova a dover fare i conti con il cambiamento climatico e il global warning, che impongono cambiamenti strutturali al nostro modo di vivere e di produrre.
In gioco, insomma, è il senso della scuola: l’obiettivo si sta spostando dal formare cittadini attivi in addetti al mondo del lavoro? Si insegnerà che questo è l’unico dei sistemi possibili? E, soprattutto: questo cambio accadrà anche in Italia? Il percorso, in verità, è già cominciato da tempo nella forma e nella sostanza. La Riforma Gelmini, della quale abbiamo parlato qualche tempo fa, ha cominciato a intrecciare un rapporto più stretta tra scuola e azienda; la Riforma Renzi, ovvero la legge 107/2015, ha successivamente reso più profondo questo legame ampliando l’Alternanza Scuola-Lavoro. In più, ha trasformato i Dirigenti Scolastici in Dirigenti d’azienda e gli istituti in “progettifici” per attirare gli studenti; ha reso, infine, dilagante l’ossessione della certificazione delle competenze (naturalmente all’italiana: un risibile algoritmo traduce le consuete valutazioni curricolari in presunte “competenze”). Va detto tuttavia che non si tratta di una scelta tafazziana degli ultimi governi ma, piuttosto, la naturale evoluzione della formazione secondo la “Strategia di Lisbona” del 2000, prospettiva elaborata dall’UE, che mirava ad irrobustire il sapere tecnico/scientifico e creare maggiore una maggiore connessione col mondo del lavoro.
Quindi sì, sta già accadendo ma, in Italia, resiste un piccolo e inaspettato argine: il residuo ideologico. La polemica di una quindicina di anni fa, ovvero l’introduzione della Giorno del Ricordo (il 10 febbraio, per la tragedia delle vittime delle foibe) a completamento (per qualcuno, a contrapposizione) del Giorno della Memoria (27 gennaio, ovvero l’Olocausto) ci indica che, anche se il modello liberale dilaga nella nostra società e nella nostra cultura, resistono delle sacche ideologiche (a destra come a sinistra) che si riferiscono a partiti e ideologie novecentesche non capitaliste; queste ancora contano negli equilibri di governo e, per perpetuarsi, hanno bisogno di un luogo di cultura aperto.
Residuo ideologico, poi, che si manifesta anche nel ritorno dell’educazione Civica previsto dal governo giallo-verde (Lega-M5s) che mantiene l’idea di scuola come luogo dello stare insieme della socialità e in cui sopravvive, soprattutto per iniziativa dei docenti che hanno studiato negli anni ‘70 e ’80, la scelta formare, più che addetti al mondo del lavoro, giovani cittadini consapevoli.
Ideologia che torna pure nella stessa Costituzione italiana e nel suo studio a scuola che, quindi, mostrerà agli studenti come, a livello economico, l’Italia non rientri del tutto nel dogma capitalista ma sia, di fatto, caratterizzato da un’economia mista come evidenziato dagli art. 41, 42 e 43.
A quanto detto finora si aggiunge un fattore esterno: la recente consapevolezza acquisita da molte famiglie, che hanno sperimentato il lockdown e la Didattica a Distanza, che la scuola prima di tutto è palestra di socialità, relazione e cittadinanza prima ancora che di addestramento tecnico al mondo del lavoro.
Paradossalmente, dunque, a tenere in vita l’idea di scuola come palestra di cittadinanza attiva è il teatrino ideologico della politica. Teatrino come sappiamo fintissimo (i comunisti in Italia non esistono almeno dai tempi di Don Camillo e Peppone, così come i neofascisti e neonazisti sono marginalissimi nell’attuale destra) ma che ha bisogno della libertà di pensiero e di parola almeno in ambito scolastico per perpetuare la propria retorica. Anche a costo di scatenare le ire del dio Capitalismo.