Risale a pochi giorni fa la clamorosa scoperta dei pavimenti romani sotto le vigne in Valpolicella. Un ritrovamento di grande importanza culturale, la cui notizia ha fatto il giro del mondo. Sentiamo alcune impressioni direttamente dalla voce dell’archeologo Gianni De Zuccato, direttore per conto della Soprintendenza delle indagini preventive nell’area nelle vicinanze di Negrar.

Dai sondaggi come appare lo stato di conservazione? Sono state scoperte nuove aree o si ipotizzano altre ispezioni?
«I sondaggi sono stati realizzati per lo più tramite lo scavo di strette trincee tra i filari del vigneto. Ciò che si è potuto constatare, riguardo allo stato dei resti e dei mosaici in particolare, è abbastanza limitato. In generale la conservazione delle pavimentazioni sembrerebbe soddisfacente: abbiamo riconosciuto, in parte, alcune porzioni di superficie nelle stesse condizioni delle foto scattate nel 1922, ma è una situazione che sarà possibile verificare soltanto con l’auspicabile scavo in estensione dell’area, sperando di non trovare brutte sorprese. Colgo l’occasione per lanciare due appelli: il primo rivolto a tutti coloro che si sono interessati a questa ri-scoperta e in particolare agli abitanti del territorio di Negrar di Valpolicella e del veronese: personalmente cercherò, per quanto mi è possibile, in ogni modo, di adoperarmi affinché sentiate il patrimonio archeologico come vostro e quindi proteggetelo, vigilate perché non venga danneggiato. Il secondo appello è il seguente: per il momento i mosaici non sono visibili, sono stati ricoperti per proteggerli dagli eventi atmosferici e da eventuali folli malintenzionati, quindi adesso non venite a vederli, non vedreste nulla. Non appena sarà possibile – e speriamo sia presto, fondi e organizzazione permettendo – ne sarà data ampia notizia sui social e a mezzo stampa.»

Gianni De Zuccato, a destra, con il sindaco di Negrar Roberto Grison

Avendo lei visto il contesto e conoscendo la situazione, ritiene probabile o fattibile una prossima valorizzazione del sito con la creazione di un’area archeologica? Oppure si può pensare a un trasferimento dei mosaici come per la parte mancante al Teatro Romano?
«L’ipotesi di un’asportazione dei mosaici, come quella dei tre pannelli strappati nel 1887 e ora esposti al Museo Archeologico al Teatro Romano, mi fa profondamente orrore e la ritengo assolutamente esclusa: personalmente mi batterò, per quanto mi è possibile, perché il Mibact, attraverso la Soprintendenza, con il soprintendente Vincenzo Tinè, il comune di Negrar, con il sindaco Roberto Grison, ma anche la regione Veneto, possano elaborare e portare a compimento un progetto di valorizzazione, anche con il supporto economico di privati e, perché no, di singoli cittadini sensibili, con la musealizzazione del sito, unica modalità per restituire questo bene alla collettività. Credo che un’area archeologica ben realizzata e gestita, collegata ad altre realtà archeologiche del territorio, possa essere un volano culturale ed economico per Negrar e per tutta la Valpolicella.»

Pur essendo noto il sito e avendo lei una lunga esperienza, che emozioni ha provato nel farlo riaffiorare?
«Da quando avevo 10 anni ho sempre sognato di fare l’archeologo. Un evento come questo per me non è soltanto una soddisfazione professionale ma è una grandissima, inesprimibile emozione, che auguro di cuore a chiunque voglia intraprendere questa strada. Come ho già detto altre volte – e forse può sembrare un’affermazione infantile, non archeologicamente corretta, ma è sincera – queste realtà non sono soltanto freddi resti di manufatti, di beni appartenenti ad altre culture e civiltà lontane nel tempo, ma per me sono testimonianze di persone che ci hanno preceduto e che hanno vissuto qui la loro vita, provando emozioni, passioni, dolori, che hanno amato, sognato, sofferto esattamente come noi. Questi mosaici sono stati progettati, realizzati e poi vissuti, calpestati durante feste e banchetti. Insomma, questi resti archeologici sono una vera e propria “macchina del tempo”.»

Secondo lei, come mai ha fatto tanto scalpore a maggio 2020 un evento noto ai giornali dall’agosto 2019?
«I primi scavi sono stati fatti a luglio 2019 e hanno riportato alla luce alcuni elementi murari, un mosaico (nell’immagine qui sotto, ndr) ma non i pavimenti immortalati in suggestive fotografie negli anni ’20. Era uscito un comunicato e poco più. Il fatto è che nei documenti dei vecchi interventi le posizioni dei mosaici più importanti non erano segnati con precisione: ai primi di maggio li abbiamo finalmente trovati in un’altra area e questo spiega, in parte, la risonanza a mesi di distanza dall’inizio dei lavori. Ma c’è un altro fattore da considerare: l’impatto di certe immagini sui social, più dei tradizionali comunicati stampa e articoli, ha dato una visibilità assolutamente inaspettata e che si è autoalimentata in pochissimo tempo. Persino il New York Times mi ha chiesto informazioni sui protagonisti delle immagini. Evidentemente la condivisione di un’immagine sui social può, in alcune occasioni, avere un eccezionale valore mediatico, ben oltre la normale comunicazione.»

Il mosaico ritrovato nella prima fase degli scavi a Negrar