Lo sport è uno strumento di integrazione e di trasmissione di valori, tuttavia, può anche diventare un elemento divisivo in grado di inasprire la competizione, sino a trasformarla in conflitti addirittura violenti. In tutto questo, influisce sicuramente il peso dei social network, un terreno fertile in cui molti trovano spazio e tempo per linguaggi d’odio. Questo è il mondo del cosiddetto hate speech, termine anglosassone che identifica appunto l’utilizzo di questa decisamente poco consona modalità di comunicazione.

Una risposta in grado di dare una chiave di lettura a questo fenomeno ci arriva dalla ricerca “Barometro dell’odio nello sport”, realizzata dal Centro Coder dell’Università di Torino, nel quadro del progetto di prevenzione e contrasto dell’hate speech, finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo. I dati sono stati presentati in una diretta Facebook sulla pagine “Odiare non è uno sport” alla quale hanno partecipato Sara Fornasir, coordinatrice del progetto “Odiare non è uno sport” e Giuliano Bobba del Centro Coder dell’Università degli Studi di Torino.

«Si tratta di una ricerca molto interessante – ha commentato Bobba – che ha cercato di individuare l’incidenza dei linguaggi offensivi nelle conversazioni sportive. In tre mesi, dal 7 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, abbiamo analizzato oltre mezzo milione di post su social come Facebook e Twitter, riscontrando un’incidenza di utilizzo di commenti d’odio pari circa al 3%. Abbiamo analizzato solo questi due social – precisa – in quanto più diffusi e in grado di generare interazione tra gli utenti. In questo ambito, poi, abbiamo privilegiato il mondo del giornalismo sportivo, focalizzando la nostra attenzione su tutti i commenti inseriti sui profili di quotidiani e canali sportivi. I parametri di base dai quali siamo partiti per identificare la presenza di messaggi offensivi sono stati l’aggressività verbale, quella fisica, la discriminazione di tipo etnico, sessuale e quella riscontrabile nelle situazioni dove era possibile ravvisare una diversità».

Sara Fornasir ha aggiunto «i social sono una componente importante, molto usata, soprattutto nel mondo dei giovani. Lo sport deve trasmettere i valori di aggregazione e integrazione tuttavia, attraverso l’anonimato che il social in un certo senso garantisce, il commento sfocia spesso nell’insulto e nella discriminazione. Il compito del nostro progetto è quello di trasmettere valori positivi al fine di contrastare con forza il fenomeno dell’hate speech, coinvolgendo anche maggiormente il mondo dei più giovani con l’obiettivo di far comprendere un uso più corretto del mondo dei social network».

Parlando di risultati lo sport maggiormente oggetto di hate speech su Facebook è il calcio (12,3%) seguito a ruota da Formula 1 (9,7%), Basket (8,7%) e Tennis (7,6%). Diversa, invece, è la situazione su Twitter dove in testa con i commenti d’odio troviamo il basket (31,8%) con immediatamente a ridosso il calcio (31,3%). Alle loro spalle Formula 1 (21,4%) e Tennis (15,2%).

Il focus ha, poi riguardato il mondo calcio sono state individuate le squadre oggetto di maggiori “attenzioni”. Su Facebook in testa troviamo l’Inter (14,1%) seguita da Lazio (13,5%), Juventus (13,2%). Nel mondo di Twitter, invece, la prima posizione spetta al Napoli (34%) con alle spalle rispettivamente Inter (32,8%) e Juventus(30,9%).

Il fenomeno dell’hate speech rappresenta senza dubbio una “sfumatura” del mondo dei social che non ha nessun punto in comune con quelli che sono i valori dello sport che per essere mantenuti e rispettati abbisognano della fattiva collaborazione di tutte le forze in campo.