«Il popolo è un bambino», racconta in un suo celebre testo Ascanio Celestini. In fondo non si può dire che abbia tutti i torti a veder bene a volte come viene trattato. A chi se non ai piccoli occorre ricordare costantemente di lavarsi le mani e non starnutire in faccia agli altri ma farlo in un fazzoletto? Quando poi i figlioli sono costretti a stare in casa perché hanno la febbre, è d’uopo un regalino per colmare la loro tristezza di non poter andare a giocare al parco. La probabile decisione della diretta televisiva urbi et orbi di Juventus-Inter, che sarà disputata a porte chiuse per le note ragioni di sicurezza Coronavirus, sembra rispondere a questa logica, di sicuro non di ispirazione montessoriana. Proviamo a ragionare: davvero esiste una priorità nazionale, una necessità impellente tale da far entrare in cima all’agenda politica e mediatica la possibilità di trasmettere una specifica partita di calcio dal vivo in chiaro?

Juventus Stadium

Ad occhio, no. Non rientra tra i beni di prima necessità e neppure la si scorge tra le prescrizioni mediche. Al di là del fastidio creato ai quarantamila tifosi che sarebbero andati allo Stadium, di cui peraltro quattromila di loro oggi seguono i bianconeri a Lione senza problemi, mentre ci si dovrebbe domandare quanto può reggere l’economia italiana di fronte a una serie di decisioni oggettivamente clamorose per portata e dimensioni, la sensazione è che, dopo averlo terrorizzato, di fatto si intenda strizzare l’occhio al popolino che nel frattempo ha svuotato i banchi del supermercato immaginando di doversi barricare in casa nel fine settimana. Quel che semmai sorprende è l’importanza della questione-partita sul piano politico e mediatico. Di certo la visibilità del pallone è superiore, ad esempio, del settore del turismo martoriato dagli eventi di questo periodo. Da sempre una sorta di Cenerentola a livello di considerazione nelle stanze dei bottoni nonostante, come ha ricordato TTG Italia, contribuisca al 13 per cento del Pil e impieghi il 14,7 degli italiani. Per dire: il calcio pesa al 7 per cento (Rapporto Italia 2019 Eurispes) e occupa 40mila posti di lavoro.

Il comparto dei viaggi è in ginocchio come mai era avvenuto in passato. Una situazione senza precedenti. Blocchi, sconsigli, divieti, vincoli in serie impediscono di lavorare non solo con serenità – al netto della gestione dei clienti sul piano psicologico, con riflessi diretti sulle prenotazioni –- ma anche nella pratica: agenzie, tour operator, albergatori, società di pullman, guide e vettori in molti casi sono immobilizzati. Centinaia di imprenditori, incoming così come outgoing, con migliaia di collaboratori non hanno certezze su come operare. Da giorni viaggiano senza tutele e soprattutto senza sapere come e quando il mercato ripartirà. “A seguito del recente e repentino aggravarsi degli eventi Aidit, Assoviaggi, Astoi e Fto chiedono con forza che il turismo sia tutelato e supportato in questo momento di profonda crisi”, è il messaggio inviato al Governo. La richiesta è molto più semplice dell’esecuzione di un doppio passo da Ronaldo: essere ascoltati e risposte concrete. La crisi è stata generata dalle scelte delle istituzioni. Ora la palla è nell’altra metà del campo: il mondo dei viaggi attende risposte dalla politica e, in fondo, chiede la stessa attenzione, premura e celerità riservata a Juve-Inter.