Vedo qualche giorno fa un articolo su una questione apparentemente innocua: a Bologna, alla festa del patrono si decide di proporre tortellini privi di maiale, sostituito dal pollo, per intercettare anche l’utenza islamica nel nome dell’integrazione culinaria. Si innesta, ovviamente, una pronta polemica tra Lega (“difendiamo le tradizioni, anche alimentari”) e la Curia (“favoriamo l’integrazione anche a scapito della tradizione”).

Comincio a discutere su Facebook con un amico (reale) sulla questione a partire da un post condiviso. Mi arrabbio e molto presto la questione diventa “LA questione” più importante della giornata. Non capisco come l’interlocutore possa prendere una posizione così netta contro dei tortellini non tradizionali. Faccio ricerche e trovo i ravioli mondialisti di Giovanni Rana che con i suoi ripieni, dai banchi del supermercato, non istigano di certo alla jihad. Mi chiedo se il pollo non abbia cittadinanza nel mondo animale; se il maiale percepisca tronfio il privilegio di essere arrivato ad assurgere al livello di animale simbolo, privilegio che sconta finendo nei tortellini ortodossi. Non posso avere torto, è ovvio che ho ragione io. Com’è possibile che l’altro non ci arrivi? All’improvviso, chiudo gli occhi e respiro. E all’improvviso capisco una verità: “e chi se ne importa del ripieno del tortellino!”

Il problema vero, a dirla tutta, sarebbe la complessità della questione che sui social viene banalizzata in “maiale sì-maiale no-maiale jamme” per rappresentare il conflitto tra omologazione forzata del diverso e integrazione prona alla cultura del migrante. Una questione enorme che comprende il conflitto di civiltà, la relatività del pensiero occidentale che riscopre il fondamentalismo religioso e culturale solo in funzione identitaria difensiva.

Mi rendo conto, solo allora, di subire l’effetto Dunning-Kruger, ovvero una distorsione cognitiva che mi porta a sopravvalutare le mie abilità autovalutandomi, a torto, come esperto della questione e pretendere di risolverla nello spazio di un post. E, soprattutto, di vivere un’aggressività temperata nella forma, ma non nella volontà di imporre la mia verità che, A ME, pare così evidente: a tutti gli effetti, sui social mi sorprendo ad avere una personalità diversa, perché “quando si comunica online, la gente non solo sembra più brusca e aggressiva, in realtà lo è davvero”.

Il guaio, leggendo i giornali, è che questa modalità dicotomica giusto-ingiusto, bianco-nero che banalizza la realtà estremizzandola è linguaggio corrente. Anche l’informazione televisiva ha introiettato oramai questa dinamica. Hai voglia a ragionare sul fatto che la Lega vuol insegnare alla Curia cos’è il cristianesimo e che per la Curia l’accoglienza è facile con le risorse degli altri. Il tortellino resti col maiale, ma il prosecco diventi pure analcolico: c’è la benedizione di Zaia (pecunia non olet).

La questione, nascosta nel ripieno del tortellino, è se esista una morale assoluta (che ci permetterebbe, ad esempio, di intervenire con diritto in ogni parte del mondo per imporre il giusto – ovvero il nostro modo concepire la civiltà) o una relativa, nella quale ogni cultura può fare quello che vuole coi propri componenti, mutilazioni e matrimoni forzati compresi. E se uno Stato, inteso come popolo o come espressione territoriale, possa decidere che la sua cultura storica escluda o limiti le altre. Esempio banale: se una 14enne in Bangladesh viene fatta sposare con un connazionale di 40 ci sta bene, è la loro cultura. Ma se la stessa ragazza ora vive in Italia e viene riportata dai genitori in Bangladesh, magari con l’inganno, per un matrimonio combinato, allora è reato. Ma dico, siamo seri? E invece no, ci azzanniamo per i tortellini col maiale che poi, oggi come oggi, sono rimaste solo le nostre amate nonne a farli perché le nipoti, fondamentalmente, non sanno cucinare. E comunque non li mangiano perché fanno ingrassare.