Al termine del terzo episodio una parte di me pensava davvero che sarebbe finita lì, perché la chiusura era di quelle che sfiorano la perfezione. Un’altra parte, invece, sapeva bene che un franchise così remunerativo per la Pixar difficilmente sarebbe stato abbandonato al proprio giusto destino di entrare a far parte dei classici intramontabili e intoccabili. Vabbè, diciamo “intoccabili” fino a quando qualcuno non penserà di far interpretare i giocattoli da attori umani, vista la spesso insulsa moda del momento…

Solo apparentemente, nei primi minuti di proiezione, la sensazione che si ha è che cambi tutto per non cambiare niente: il soggetto prevede il classico salvataggio di un giocattolo, ma alla Pixar non piace ripetersi e, che piaccia o meno, gli autori riescono sempre a inserire elementi spiazzanti nelle loro storie. Senza spoilerare nulla, in questo nuovo episodio si parla di ricerca della propria identità (sia da parte del nuovo arrivato Forky sia del protagonista Woody), di indipendenza, di dipendenza, di femminismo (è brutto dire che “è di moda”, ma confido che un giorno sarà una consuetudine della quale nessuno si accorgerà più perché ben assimilata dalla società, soprattutto da quei miserabili che pensano di poter fare ciò che vogliono in quanto maschi) e, naturalmente, di amicizia.

Per la prima volta vedremo Woody affrontare un’avventura senza la costante compagnia del fidato Buzz. Il protagonista imparerà nuove cose abbandonando la sua consolidata routine quotidiana, ritroverà una vecchia fiamma, incontrerà nuovi amici, nemici che forse tali non sono, ma tutti – dal primo all’ultimo – bisognosi di una cosa che accomuna l’umanità intera: l’affetto, l’amore di qualcuno.

Le cose migliori sembrano provenire dallo sfondo, da quei piccoli elementi non sempre in primo piano: ho riso come un pazzo alle “violente” gag dell’improbabile coppia formata da un coniglio e da un pulcino e mi ha incuriosito la riproposta di un taglio un po’ horror – dopo l’episodio precedente con l’orsetto bastardo – con ciò che avviene nel negozio delle cose usate, abitato da quei pupazzi da ventriloquo dalle teste penzolanti. Però, si sa, la saga di Toy Story non è mai stata un’esclusiva per bambini, tutt’altro.

Come se non bastasse la traumatizzante sostituzione del doppiatore di Woody (il pur bravo Angelo Maggi non riesce a farmi scordare il compianto Fabrizio Frizzi), il cambio di registro del quarto capitolo vorrebbe rompere con il passato senza scontentare nessuno, ma è un’impresa troppo ardita; non sempre l’equilibrio narrativo è quello giusto, senza contare il fatto che il finale rappresenta davvero un brutale punto di rottura di difficile digestione per i fan dei colorati giocattoli di John Lasseter. Si aprono nuovi scenari, è vero, ma varrà il prezzo pagato? Di sicuro il prezzo del biglietto del cinema sì.

Forse non all’altezza dei precedenti film, ma da vedere.

Voto: 3/5

Toy Story 4

Regia di Josh Cooley