«Mi considero un poeta minore che scrive componimenti di pochi versi. Preferirei fare un film su un ragazzo che porta in giro un cane piuttosto che sull’imperatore della Cina.»

Con questa citazione da un intervista di Jim Jarmusch del 1989 iniziamo ad analizzare I morti non muoiono, l’ultima sua opera uscita a giugno nelle sale italiane. Il cineasta dell’Ohio è senza dubbio uno dei maggiori interpreti del cinema indipendente americano ed è riuscito a rimanere incredibilmente al di fuori delle grandi produzioni permettendo cosi di poter coltivare la sua concezione autoriale, mutuata sicuramente anche dalla Nouvelle Vague francese, e la propria libertà creativa.

Chiunque conosca la poetica di Jarmusch non si sarà di certo meravigliato della trattazione del materiale, ovviamente chi si aspettava un film di genere con gli “zombie” è rimasto deluso. Ciò sta nel fatto che il cenasta applica la sua poetica a qualsiasi soggetto trasformandone cosi le attese e scardinandone le premesse.

Danny Glover, Bill Murray e Adam Driver

Per chi deve ancora vedere il film, senza voler anticipare nulla, è la storia di un piccolo paesino negli Stati Uniti, Centerville, nel quale improvvisamente, a causa dello spostamento dell’asse terrestre, accadono situazioni incoerenti: gli orologi si fermano, gli animali impazziscono e i morti escono dalle tombe. Il perfetto canovaccio per il classico film di genere viene filtrato e decostruito. Bill Murray e Adam Driver, i due poliziotti antieroi, persi, assenti, spaesati assolutamente non sorpresi dalla situazione. Chi dovrebbe garantire l’ordine è assente e invece chi, nella concezione comune, il barbone, il disadattato, nel nostro caso un Tom Waits che interpreta Bob l’eremita che vive nei boschi, pare colui che alla fine della vicenda abbia colto l’essenza degli accadimenti.

Tom Waits

Il tempo nel film è «autentico, non ricreato» citando Andrei Tarkovskij, il piano sequenza è usato con insistenza, c’è la volontà di registrare lo scorrere del tempo cogliendo anche situazioni banali, filmando ciò che di solito viene tagliato con il montaggio.

L’ironia, i momenti drammatici, tutto viene svuotato di enfasi, lo spettatore medio sulle poltrone della sala si agita poiché non coglie l’ironia e la decostruzione del film di genere: il ritmo non esiste, i colpi di scena sono inesistenti.

Un cast notevole viene, come spesso accade nella filmografia di Jarmusch, impiegato in maniera imprevedibile, Selena Gomez resta in scena dieci minuti, Steve Buscemi lo stesso. Le citazioni si sprecano, l’auto dei ragazzi che arrivano nella piccola cittadina è lo stesso modello di quella che si trova nel film La notte dei morti viventi di George A. Romero. Debiti a John Carpenter e Wes Craven sono sparsi nella pellicola.

Gli Zombie si muovono mimando ciò che facevano da vivi, vogliono il caffè cercano i cellulari, la reiterazione consumistica è evidente: i morti non muoiono, sono già morti ma nei loro comportamenti sono più vivi che mai. Al contrario i vivi sono già spacciati, rassegnati. Come ricorda Chiara Renda, nel suo libro Jim Jarmusch, il fascino della malinconia: pellicole come Dead Mean, Ghost Dog e Broken Flowers «si confrontano con tre generi ben precisi della tradizione classica americana, western, gangster movie, road movie, ribaltandone le convenzioni, decostruendone i principi fondamentali e creando qualcosa di totalmente innovativo».

Le inquadrature finali con Murray e Driver che lottano contro i morti viventi, lotta impari, e il commento di Waits sui non morti ricorda molto le taglienti analisi del pensatore francese Guy Debord: «Il consumatore reale diventa consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale».

Una pellicola minore che offre però inquadrature, dialoghi e situazioni caustiche, divertenti, irriverenti degne del cineasta dell’Ohio.

Voto: 4/5

I morti non muoiono

Regia: Jim Jarmusch
Con Bill Murray, Adam Driver, Chloë Sevigny, Tilda Swinton, Steve Buscemi, Selena Gomez, Tom Waits, Iggy Pop, Danny Glover